Il favore delle tenebre induce in tentazione. E la tentazione, stavolta, ha avuto il sopravvento nell’istinto di conservazione della casta sul fronte dei doppi incarichi. Siamo alla Camera, in commissione Affari costituzionali e Bilancio. E’ notte fonda di martedì, la seduta va avanti da ore, sul tavolo il decreto “Del fare”. All’improvviso, quando ormai sono le due di notte passate, il pidiellino Ignazio Abrignani tira fuori un emendamento che con lo sviluppo e con la disoccupazione ha davvero poco a che fare. L’emendamento è firmato anche da Nico Stumpo del Pd e da Martina Nardi di Sel. Nel mirino c’è la legge con cui Tremonti aveva sancito l’incompatibilità di ruoli di governo per chi ricopriva la carica di sindaco. Con un tratto di penna, i tre parlamentari hanno ottenuto l’obiettivo non solo di cancellare questa incompatibilità, ma anche di salvaguardare il ruolo di sindaco per chi è stato eletto parlamentare a patto che il Comune superi i 5mila abitanti. Una sorta di “tana libera tutti”, per intenderci. Di questi tempi, un passo non da poco.
Altro trucco. Nel 2011 era stato previsto di far scattare la norma “dalle prossime elezioni politiche”, cioè quelle che si sono svolte a febbraio. L’emendamento approvato nel blitz notturno, stabilisce invece che l’incompatibilità scatterà solo con le prossime elezioni comunali. In sostanza si permette ai sindaci, attualmente incompatibili, di concludere il loro mandato da primo cittadino. Restando, ovviamente, in Parlamento. Bella mossa. Rivendicata con soddisfazione dallo stesso Abrignani che, comunque, si è schermito sulle reali conseguenze del colpo di penna pro casta: “In realtà – ha sostenuto – i sindaci-parlamentari interessati dalla nuova norma sono in tutto 18, una cifra molto modesta”. Ma come è stato possibile inserire questo tipo di norma in un decreto di matrice economica? Semplice: l’emendamento “salva-sindaci” prevede che “ai fini del contenimento della spesa pubblica per lo svolgimento delle elezioni”, l’articolo 13, comma 3, “del decreto-legge 13 agosto 2011 dovrà essere letto nel senso che la causa di incompatibilità si applica solo per quei sindaci la cui elezione si sia tenuta dopo la data di entrata in vigore del decreto”. Dunque, per chi è stato eletto dopo l’agosto del 2011 l’incompatibilità resta, ma se le elezioni si sono svolte prima , il sindaco potrà restare in sella fino alla fine del mandato. In sostanza si “salvano” tutti quei sindaci-parlamentari che sono stati eletti nel 2009.
A dire il vero, tra i nomi di rilievo che potevano beneficiare della norma, due su tre hanno già portato a compimento l’iter di decadenza dall’incarico comunale, come Flavio Zanonato (ex sindaco di Padova) e Graziano Delrio (Reggio Emilia). Vincenzo De Luca, viceministro ai Trasporti e primo cittadino di Salerno, è invece ancora in ritardo e ora “rischia” di conservare anche la poltrona di sindaco della città campana. Questione che ha fatto saltare la mosca al naso a Mara Carfagna, portavoce del Pdl: “Ritengo sbagliata questa norma – ha sottolineato livida – in aula voterò contro”. Carfagna, che è anche commissario provinciale del partito a Salerno, ha precisato che non è “una posizione contra personam, ma solo di buon senso, visto che proprio De Luca rientra nel novero di chi è beneficiato; consentire di cumulare più cariche è un errore in un momento così delicato della vita pubblica del nostro Paese. E poi, far passare il messaggio che sia opportuno e conveniente concentrare posizioni di potere – ha ribadito ancora – è deleterio; uno schiaffo a tutti coloro che chiedono maggiore trasparenza e correttezza”. Ora, però, la parola passa al governo. Che, molto probabilmente, venerdì metterà la fiducia al decreto. E proprio sul testo (guarda caso) uscito dalla commissione.
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