La notizia di questi giorni che in un paio di scuole del nord, una in provincia di Novara e una in provincia di Bergamo, alcuni genitori hanno deciso di ritirare i loro figli dalle scuole nelle quali erano iscritti a causa della presenza - massiccia, a loro dire - di bambini con cittadinanza non italiana. In particolare, al centro dello scontro nella cittadina piemontese ci sono i bambini Rom, gli stessi che dieci anni fa hanno salvato Landiona, un paesino del novarese che conta 600 abitanti, dalla chiusura della scuola elementare. Questa vicenda, triste e con risvolti quasi grotteschi mi ha incuriosito e qui provo a condividere qualche riflessione spero utile al dibattito. Come mai, mi sono chiesto, proprio in questi anni in cui è considerato un valore aggiunto frequentare una scuola internazionale e aperta al multilinguismo, accadono episodi simili? Come può un genitore ritirare il proprio figlio da scuola perché l'ambiente è "eccessivamente internazionale"? Tutti i sociologi e gli psicologi dell'età evolutiva sono concordi nell'affermare che crescere in un contesto multiculturale è una ricchezza, che stimola la creatività e il multilinguismo, e allora perché una così rigida chiusura di alcuni genitori?
Il Rapporto nazionale sugli alunni con cittadinanza non italiana, realizzato quest'anno dal Miur evidenzia che il 77,7 % delle scuole del nostro Paese accoglie alunni con cittadinanza non italiana. Questa Italia multietnica, poliglotta e multireligiosa è già una realtà, lo è da tempo e le leggi sono in tremendo ritardo rispetto allo stato dei fatti. Non si può rispondere alle esigenze di questa Italia plurale come ha fatto l'ex ministro Gelmini, costruendo i "recinti delle quote". Il tristemente famoso 30% per classe di "quota immigrata" ha fatto fare dei passi indietro al Paese, e ha contribuito a seminare quella politica della paura e della diffidenza verso tutto ciò che non è perfettamente italico. E poi, chi si può definire "italico"? L' 80% dei ragazzi stranieri che frequentano le nostre scuole sono nati in Italia, sono futuri cittadini della nostra Repubblica, italiani di fatto ma ancora stranieri per legge, tenuti ancora ai margini da una legge che tarda a venire, una legge che voglio fortemente e che so essere largamente condivisa. Perché ormai non è più questione di destra o sinistra, è solo una questione di civiltà e di buon senso. La cittadinanza si deve imparare da piccoli, tra i banchi di scuola, sui quali i bambini devono apprendere la storia, la geografia e la grammatica di un Paese che deve farli già sentire tutti cittadini, valorizzando le differenze e le specificità di ognuno, consegnando loro gli strumenti necessari a stanare stereotipi e pregiudizi, in nome di un'uguaglianza reale, un'uguaglianza dei diritti.
La scuola (e la politica) deve necessariamente lavorare in questo senso; per insegnare ai ragazzi a riconoscere le diversità, e a rispettare l'identità culturale di ognuno considerandola una risorsa. Ci garantiremo così una generazione migliore, dei futuri genitori meno spaventati dalle differenze, e capaci di guidare con saggezza i figli verso un primo giorno di scuola dove conosceranno tanti amici, tutti diversi, come diverse sono le sfumature di ques'Italia sempre più plurale! I veri ritardatari nell'apprendimento sono quei genitori che non hanno ancora compreso il cambiamento in atto nella nostra società. Abbiamo tuttavia il dovere di accompagnarli proponendo politiche a supporto della promozione della scuola interculturale. Questo è il futuro.
2 commenti:
Ah, ma l'ha scritto quel marocchino di m... ora si spiega tutto; x fortuna che alcuni commentatori hanno un pò di sale in zucca, altri invece... il solito mantra 'razzista', con cui chiuderti la bocca...
Eh, ci sono uomini e uomini di merda.
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