"Condanniamo con forza l'orribile attacco chimico del 21 agosto nei sobborghi di Damasco, che ha causato la morte di molti uomini, donne e bambini. Le prove puntano chiaramente a una responsabilità del governo siriano, all'interno di uno schema di utilizzo delle armi chimiche da parte del regime". Undici paesi del G20, Italia compresa, hanno firmato oggi un documento che contiene anche queste parole e che richiama il governo di Damasco alle sue responsabilità, di fronte alle numerose vittime causate da un attacco chimico a Jobar, nella periferia della capitale siriana. Leader e rappresentanti di Australia, Canada, Francia, Italia, Spagna, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti hanno siglato di comune accordo una dichiarazione che colma il vuoto di un G20 che si è concluso senza che la dichiarazione ufficiale dei Grandi dedicasse una sola parola alla crisi internazionale in corso a Damasco. La Siria è stata comunque argomento di molte delle conferenze stampa, da quelle di Barack Obama e François Hollande a quella di Enrico Letta. Nel documento un appello perché "la missione degli osservatori Onu presenti i suoi risultati il prima possibile", perché il Consiglio di sicurezza possa agire di conseguenza. Gli esperti che stanno indagando in Siria non dovranno puntare il dito su un colpevole, ma piuttosto fornire chiare prove sull'utilizzo di armi chimiche, che hanno ucciso centinaia di persone - numeri più alti nelle stime Usa - vicino a Damasco. La riunione dei Venti non ha potuto ricucire lo strappo inevitabile tra Russia e Stati Uniti, su due fronti contrapposti. Vladimir Putin si è incontrato con Barack Obama, ma dal testa a testa non è scaturita una posizione condivisa. Fumosa anche la posizione del presidente statunitense in caso di voto contrario all'intervento da parte del Congresso: alla domanda dei giornalisti ha preferito non rispondere. Un primo voto arriverà mercoledì 11, a due giorni dal ritorno in Aula dei parlamentari.
venerdì 6 settembre 2013
11 buffoni senza prove
Siria, da 11 paesi un documento condiviso che condanna Assad. Tra i firmatari anche l'Italia. Mercoledì un primo voto al Senato negli Stati Uniti di Andrea Cortellari
"Condanniamo con forza l'orribile attacco chimico del 21 agosto nei sobborghi di Damasco, che ha causato la morte di molti uomini, donne e bambini. Le prove puntano chiaramente a una responsabilità del governo siriano, all'interno di uno schema di utilizzo delle armi chimiche da parte del regime". Undici paesi del G20, Italia compresa, hanno firmato oggi un documento che contiene anche queste parole e che richiama il governo di Damasco alle sue responsabilità, di fronte alle numerose vittime causate da un attacco chimico a Jobar, nella periferia della capitale siriana. Leader e rappresentanti di Australia, Canada, Francia, Italia, Spagna, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti hanno siglato di comune accordo una dichiarazione che colma il vuoto di un G20 che si è concluso senza che la dichiarazione ufficiale dei Grandi dedicasse una sola parola alla crisi internazionale in corso a Damasco. La Siria è stata comunque argomento di molte delle conferenze stampa, da quelle di Barack Obama e François Hollande a quella di Enrico Letta. Nel documento un appello perché "la missione degli osservatori Onu presenti i suoi risultati il prima possibile", perché il Consiglio di sicurezza possa agire di conseguenza. Gli esperti che stanno indagando in Siria non dovranno puntare il dito su un colpevole, ma piuttosto fornire chiare prove sull'utilizzo di armi chimiche, che hanno ucciso centinaia di persone - numeri più alti nelle stime Usa - vicino a Damasco. La riunione dei Venti non ha potuto ricucire lo strappo inevitabile tra Russia e Stati Uniti, su due fronti contrapposti. Vladimir Putin si è incontrato con Barack Obama, ma dal testa a testa non è scaturita una posizione condivisa. Fumosa anche la posizione del presidente statunitense in caso di voto contrario all'intervento da parte del Congresso: alla domanda dei giornalisti ha preferito non rispondere. Un primo voto arriverà mercoledì 11, a due giorni dal ritorno in Aula dei parlamentari.
"Condanniamo con forza l'orribile attacco chimico del 21 agosto nei sobborghi di Damasco, che ha causato la morte di molti uomini, donne e bambini. Le prove puntano chiaramente a una responsabilità del governo siriano, all'interno di uno schema di utilizzo delle armi chimiche da parte del regime". Undici paesi del G20, Italia compresa, hanno firmato oggi un documento che contiene anche queste parole e che richiama il governo di Damasco alle sue responsabilità, di fronte alle numerose vittime causate da un attacco chimico a Jobar, nella periferia della capitale siriana. Leader e rappresentanti di Australia, Canada, Francia, Italia, Spagna, Giappone, Repubblica di Corea, Arabia Saudita, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti hanno siglato di comune accordo una dichiarazione che colma il vuoto di un G20 che si è concluso senza che la dichiarazione ufficiale dei Grandi dedicasse una sola parola alla crisi internazionale in corso a Damasco. La Siria è stata comunque argomento di molte delle conferenze stampa, da quelle di Barack Obama e François Hollande a quella di Enrico Letta. Nel documento un appello perché "la missione degli osservatori Onu presenti i suoi risultati il prima possibile", perché il Consiglio di sicurezza possa agire di conseguenza. Gli esperti che stanno indagando in Siria non dovranno puntare il dito su un colpevole, ma piuttosto fornire chiare prove sull'utilizzo di armi chimiche, che hanno ucciso centinaia di persone - numeri più alti nelle stime Usa - vicino a Damasco. La riunione dei Venti non ha potuto ricucire lo strappo inevitabile tra Russia e Stati Uniti, su due fronti contrapposti. Vladimir Putin si è incontrato con Barack Obama, ma dal testa a testa non è scaturita una posizione condivisa. Fumosa anche la posizione del presidente statunitense in caso di voto contrario all'intervento da parte del Congresso: alla domanda dei giornalisti ha preferito non rispondere. Un primo voto arriverà mercoledì 11, a due giorni dal ritorno in Aula dei parlamentari.
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