Mentre mi accingo a scrivere di Massimo Bray, neo ministro pd dei Beni Culturali, ho come la sensazione che, per parlarne, dovrò spesso ricorrere alla parola: nulla. Per cominciare, è dal nulla che proviene. Nessuno, tranne la cerchia dalemiana che lo ha prodotto, ne conosceva l'esistenza fino al debutto da deputato in febbraio e alla nomina a ministro il 28 aprile. Il ministro ai Beni culturali, Massimo BrayDue en plein in un paio di mesi per un uomo di mezza età - Bray ha 54 anni - che, toccato dalla bacchetta di Max D'Alema, ha emulato il cavallo promosso senatore da Caligola. Se n'è indignato Ernesto Galli della Loggia, in genere cauto commentatore del badiale Corriere della Sera, al punto da vergare un corsivo al gas nervino. «Mentre nessuno - scrisse il giorno stesso in cui Bray divenne ministro - avrebbe mai osato nominare all'Economia o all'Istruzione, un illustre sconosciuto, o qualcuno dalle competenze inesistenti, per i Beni culturali, si è potuto benissimo. È bastato che così abbia voluto un ras politico... per bassi calcoli di potere correntizio». Questo - concluse l'Ernesto furioso - è «cosa inaccettabile. Destinata a segnare un distacco ulteriore tra il Paese... e la politica». Ferocia forse eccessiva - alle mezze figure i Beni culturali sono abituati, dalla bella Melandri, ai diplomati Rutelli e Veltroni - ma il curriculum del neo ministro conferma che nulla lo destinava all'incarico se non il divin capriccio di D'Alema, ras del Salentino di cui il Nostro è nativo.
È di Lecce, infatti, Massimo Bray, cognome che da quelle parti si pronuncia con l'accento sulla ipsilon, Braì, rampollo di uno stimato cardiologo, oggi ultranovantenne. Dopo il liceo, il giovanotto traslocò a Firenze dove, a 25 anni, si laureò in Lettere. Ebbe il suo primo lavoro a 31 anni, assunto dall'Enciclopedia Treccani come redattore per le voci di Storia moderna. Come e perché sia stato reclutato in veste di storico, non è dato sapere. La biografia ufficiale nel sito del governo è avara di dati concreti, mentre largheggia in fronzoli. Non si capisce, per esempio, se sia laureato nel ramo storico o abbia approfondito la materia in studi successivi, così da giustificare l'assunzione. Neanche si afferra cosa abbia combinato dalla laurea nell'84 al primo impiego nel '91. La biografia parla per questi sette anni di «un itinerario da borsista», espressione mondan-turistica che evoca l'immagine di un chierico vagante per le strade d'Europa. Secondo il sito, ha usufruito di borse di studio a Napoli, Venezia, Parigi e Simancas. Per cosa e conto di chi è un mistero. Le borse di studio, che si sappia, si ottengono da università, Cnr e simili istituzioni culturali. Chi le ha date a Bray per consentirgli di trotterellare a lungo prima di guadagnarsi da vivere con un normale lavoro? Ha per caso messo a frutto le ricerche con libri, saggi, articoli? Vattelapesca. Solo il soggiorno a Simancas, villaggio castigliano di tremila abitanti, ci dà una traccia. Costà ha sede, infatti, l'Archivio di Stato spagnolo che, ovviamente, ha attinenza con la Storia.
Massimo è tuttora dipendente della Treccani, dove ha collaborato alla digitalizzazione delle enciclopedie treccanesche. Quale sia stato, in quest'ambito, il suo reale contributo è, al solito, indecifrabile. Secondo la nota scheda, «ha seguito l'apertura al web con grande entusiasmo». Significa che ha materialmente fatto qualcosa o si è limitato a gridolini e salti di gioia? Vai a saperlo. Alla Treccani il forse storico ha frequentato Giuliano Amato, che presiedeva l'Istituto fino a una settimana fa quando è passato alla Consulta. Amato inoltre era socio della fondazione di D'Alema, Italianieuropei. Così, con la doppia protezione di Max e Giuliano, Massimo è diventato anche direttore dell'omonima rivista. Poi, come una ciliegia tira l'altra, Lucia Annunziata - che avendo in D'Alema il proprio faro, pensava di fargli cosa grata - ha offerto a Bray una rubrica sull'Huffington Post, il giornale digitale, affiliato alla catena dell'Espresso debenedettiano, che dirige. Collaborazione che Massimo ha proseguito imperterrito dopo la nomina ai Beni Culturali. Quindi, oggi abbiamo un ministro schierato con un gruppo editoriale e, se non scrive gratis, a libro paga del medesimo. Si è invece dimesso da un'altra curiosa prebenda ottenuta grazie al milieu pugliese di D'Alema: la presidenza de «La Notte della Taranta», fondazione che organizza nella Grecìa salentina un danaroso Festival di musica popolare, dedicato - nientemeno - che al recupero della pizzica. A dargli l'incarico anni fa furono i cacicchi locali di Baffino - Sergio Blasi e Salvatore Capone -, gli stessi che in febbraio lo hanno catapultato in Parlamento. Assurto a ministro, Bray ha dato il meglio di sé come piacione. Su diversi siti, su Facebook ecc., dice ininterrottamente la sua sulla cultura - «salviamola per salvare il Paese»; «su questo ci giochiamo tutto» -, infarcendo ogni riga di «fruizione», «nicchie di ricezione», «turismo consapevole» che danno la chiara sensazione del nulla. Tanto più che considera il bene culturale monopolio statale, con esclusione degli aborriti privati, in un momento in cui le casse pubbliche sono a secco. Ai pistolotti politici in rete, alterna citazioni, poesie di suo gusto, brevi cenni sull'universo che mandano in sollucchero le signore sue fan le quali, come Maya Santo commentano: «Fantastico, il mio ministro preferito» o come Alessandra che gli spedisce via web un fumettistico: «Smack».
Non inquietatevi se un giorno, visitando un museo o una dimora storica, vi troverete accanto un tipo bizzarro, con zainetto e auricolare, che pare sfuggito a un sorvegliante. È il Nostro in una delle sue incursioni a sorpresa nei luoghi d'arte, dove controlla che il personale sia efficiente e i sovrintendenti degni del ruolo. È già successo a Pompei dov'è andato in treno - ma senza riuscire ad arrivare perché a metà viaggio la Circumvesuviana fu manomessa da vandali -, alla Reggia di Caserta dove è giunto in bici e in altri luoghi. Inquietatevi invece se tornerà al Teatro Valle di Roma, dove ha trascorso una serata per assistere alla pièce della collega di Repubblica, Concita De Gregorio, del suo stesso gruppo editoriale. Il Valle, come si sa, fu occupato due anni fa alla maniera dei no global da borghesi e suffragette e vive illegalmente a spese della collettività. Diversi trovano chic andarci per sentirsi progressisti in trincea. Passi per Stefano Rodotà che deve dare un senso ai suoi ottant'anni. Ma se lo fa anche Bray, amoreggiando da ministro con l'illiceità, del ruolo che ricopre non ha capito nulla. E se il premier Letta fosse serio, il nulla dovrebbe tornare nel nulla.
3 commenti:
Lo seguo su facebook ed è come dice Perna: proclami ai quali i professionisti rispondo per le rime (senza ricevere mai uno straccio di risposta) e poi le signore in visibilio che lo adulano e i leccesi che ne hanno fatto una loro bandiera. E' solo un uomo di potere, ben agganciato. Gira come un picchio per l'Italia (suppongo a spese nostre) e posta foto a manetta dei suoi viaggi che manco un bimbominkia.
Io ormai Elly non m'arrabbio più. E' uno schifo totale, assoluto, e non se ne esce. Aspetto solo il botto e mi auguro che avvenga presto. Con timore, perché cancellare questa iattura di politici non vuol dire automaticamente che le cose andranno meglio...
Eh, è quello che mi terrorizza un bel pò. Credo d'averlo scritto anche nel blog di Johnny Doe. Se poi viene un governo ancor peggiore? Abbiamo visto il dopo monti cos'è. E pensavamo che con monti avevamo visto il peggio del peggio...
Infatti, Elly. Per questo il mio pessimismo è cosmico. Vedo marciume ovunque, e una nazione ormai invasa e sotto assedio, in cui sono le stesse persone che dovrebbero difendere il popolo (= i politici) che invece aprono le porte agli invasori e tagliano le gambe agli autoctoni indebilendoli sempre di più sotto tutti i punti di vista. E se qualcuno alza la voce contro questo stato di cose, arriva l'UE a stroncarlo. Che speranza c'è? Io non ne vedo
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