Gli ex sindaci di Siena Cenni, Ceccuzzi e Piccini e l'ex presidente della provincia Ceccherini avevano già confermato che nelle nomine e nella gestione di Mps i partiti di riferimento a Roma - prima Ds e Margherita e poi Pd - avevano molta voce in capitolo. E adesso a ribadire l'esistenza di una guida politica per la banca più antica del mondo arriva anche la versione data ai pm toscani dal presidente di Fondazione Mps, Gabriello Mancini. Interrogato il 24 luglio del 2012, l'uomo tuttora al vertice della Fondazione, braccio politico del Monte Paschi, mette a verbale la genesi del suo incarico, ricevuto il 9 maggio del 2006, senza giri di parole: «La mia nomina, come quella di Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale, e condivisa dai vertici della politica nazionale». Anche il passaggio di Mussari dalla Fondazione alla banca, dunque, per Mancini avvenne su input «romano»: «(Mussari, ndr) mi confermò di avere il sostegno del partito a livello nazionale». Alle toghe Mancini racconta che il suo «sponsor» era Alberto Monaci, oggi presidente Pd del consiglio regionale toscano, all'epoca nei Dl. E da lui il futuro presidente della Fondazione Mps seppe che «era stato trovato un accordo con i Ds». Le riunioni per le nomine erano locali e nazionali. Quel giro di poltrone della primavera 2006 non fece eccezione. Nei meeting a Siena, ricorda Mancini, «partecipavano Franco Ceccuzzi (indagato con Mussari a febbraio scorso nell'inchiesta salernitana sul crac del pastificio Amato, ndr), il segretario provinciale della Margherita, Graziano Battisti, il sindaco (Maurizio Cenni, ndr) e il presidente della provincia di Siena (Fabio Ceccherini, ndr)». Ma il vertice decisivo si tenne a Roma, spiega Mancini, in una riunione «con l'onorevole Francesco Rutelli, partecipai io ed erano presenti Monaci, Battisti e l'onorevole Antonello Giacomelli». All'ex leader della Margherita «venne prospettato l'accordo raggiunto» e «diede il suo assenso». Che anche i Democratici di sinistra fossero d'accordo con la sua nomina, racconta poi Mancini ai magistrati senesi, lo confermò Ceccuzzi: «Mi riferì che anche per i Ds vi fu un assenso a livello nazionale». In uno slancio bipartisan, Mancini ricorda poi d'aver concordato con Gianni Letta - che gli comunicò il placet di Berlusconi - la nomina di Andrea Pisaneschi nel Cda in quota Pdl. Ma dopo le nomine, a farsi sentire era l'azionista politico di riferimento: i Ds. Mancini racconta continue «sollecitazioni politiche» che riceveva in Fondazione per la concessione di progetti, «dagli uomini di riferimento di Ceccuzzi che indicò in Luca Bonechi (ex segretario senese dei Ds, ndr) e Alessandro Piazzi (componente della deputazione amministratrice della Fondazione, ndr)».
sabato 3 agosto 2013
Mps
Gli ex sindaci di Siena Cenni, Ceccuzzi e Piccini e l'ex presidente della provincia Ceccherini avevano già confermato che nelle nomine e nella gestione di Mps i partiti di riferimento a Roma - prima Ds e Margherita e poi Pd - avevano molta voce in capitolo. E adesso a ribadire l'esistenza di una guida politica per la banca più antica del mondo arriva anche la versione data ai pm toscani dal presidente di Fondazione Mps, Gabriello Mancini. Interrogato il 24 luglio del 2012, l'uomo tuttora al vertice della Fondazione, braccio politico del Monte Paschi, mette a verbale la genesi del suo incarico, ricevuto il 9 maggio del 2006, senza giri di parole: «La mia nomina, come quella di Mussari alla guida della banca, fu decisa dai maggiorenti della politica locale e regionale, e condivisa dai vertici della politica nazionale». Anche il passaggio di Mussari dalla Fondazione alla banca, dunque, per Mancini avvenne su input «romano»: «(Mussari, ndr) mi confermò di avere il sostegno del partito a livello nazionale». Alle toghe Mancini racconta che il suo «sponsor» era Alberto Monaci, oggi presidente Pd del consiglio regionale toscano, all'epoca nei Dl. E da lui il futuro presidente della Fondazione Mps seppe che «era stato trovato un accordo con i Ds». Le riunioni per le nomine erano locali e nazionali. Quel giro di poltrone della primavera 2006 non fece eccezione. Nei meeting a Siena, ricorda Mancini, «partecipavano Franco Ceccuzzi (indagato con Mussari a febbraio scorso nell'inchiesta salernitana sul crac del pastificio Amato, ndr), il segretario provinciale della Margherita, Graziano Battisti, il sindaco (Maurizio Cenni, ndr) e il presidente della provincia di Siena (Fabio Ceccherini, ndr)». Ma il vertice decisivo si tenne a Roma, spiega Mancini, in una riunione «con l'onorevole Francesco Rutelli, partecipai io ed erano presenti Monaci, Battisti e l'onorevole Antonello Giacomelli». All'ex leader della Margherita «venne prospettato l'accordo raggiunto» e «diede il suo assenso». Che anche i Democratici di sinistra fossero d'accordo con la sua nomina, racconta poi Mancini ai magistrati senesi, lo confermò Ceccuzzi: «Mi riferì che anche per i Ds vi fu un assenso a livello nazionale». In uno slancio bipartisan, Mancini ricorda poi d'aver concordato con Gianni Letta - che gli comunicò il placet di Berlusconi - la nomina di Andrea Pisaneschi nel Cda in quota Pdl. Ma dopo le nomine, a farsi sentire era l'azionista politico di riferimento: i Ds. Mancini racconta continue «sollecitazioni politiche» che riceveva in Fondazione per la concessione di progetti, «dagli uomini di riferimento di Ceccuzzi che indicò in Luca Bonechi (ex segretario senese dei Ds, ndr) e Alessandro Piazzi (componente della deputazione amministratrice della Fondazione, ndr)».
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