lunedì 28 maggio 2012

L'islamico salto di qualità


«Ordinerete ai popoli la carità e dimenticherete voi stessi?». È il versetto richiamato nella locandina del corso di formazione rivolto ai dirigenti dei centri islamici di Milano, provincia e Brianza. Il senso è chiaro: chi guida gli altri non può essere da meno. Per questo il Coordinamento dei Centri islamici milanesi, con la collaborazione dell'Arci milanese, ha messo in piedi questa sorta di «master» per Imam e direttori di moschee: un corso di formazione in gestione del no profit: «Partecipazione, efficienza e trasparenza al servizio di Dio e della società». Alle lezioni in viale Monza hanno partecipato una trentina di allievi. Fra questi i dirigenti delle associazioni del «Caim» (il coordinamento) e di moschee dell'hinterland, come Sesto San Giovanni, Monza, Pioltello, Legnano, Macherio, Saronno. «Si tratta solo del primo passo - spiega il coordinatore Davide Piccardo - di un percorso che vogliamo proseguire». Le comunità islamiche milanesi sanno che una dirigenza qualificata è una condizione essenziale (non l'unica) che viene posta dalla politica al mondo musulmano milanese. «Ancor prima che delle aspettative degli altri - spiega Piccardo - siamo noi che intendiamo fare questo lavoro, anche perché i valori di trasparenza e democrazia appartengono alla nostra tradizione e ai messaggi del Profeta». I problemi che devono affrontare le associazioni islamiche sono quelli che ogni sodalizio conosce, con alcune complicazioni: «I nostri dirigenti - dice Piccardo - provengono spesso da altri Paesi, in cui l'associazionismo non è così sviluppato, e comunque spesso, nei loro paesi di origine, non rivestivano ruoli del genere. Per questo è indispensabile che acquisiscano una certa preparazione, anche perché le nostre associazioni sono nate in modo spontaneo e per noi è giunto il momento di un salto di qualità».

Tutti i centri delle realtà legate al Caim sono dotate di uno statuto, ma la normativa spesso diventa un rebus inestricabile: «La legge italiana è complessa, non è facile gestire un centro, e con il limite della lingua le difficoltà aumentano». Una professionalità degli «imam» - ma in realtà soprattutto dei dirigenti «laici» dei centri - serve anche a evitare fenomeni e casi di opacità nella gestione delle risorse associative: «I casi di malcostume possono esserci, come in ogni realtà - spiega Piccardo - ma indipendentemente dagli aspetti legati all'onestà, i conflitti interni possono nascere anche sulle regole, sulla loro applicazione». Alcune «moschee» non si limitano alle funzioni religiose, e organizzano una sorta di welfare state. Fornendo per esempio sussidi veri e propri ai fedeli. Esiste dunque anche il problema dei soldi. Per Piccardo è uno dei tanti: «I nostri centri non navigano nell'oro, spesso fanno fatica a pagare l'affitto». «Normalmente - spiega - i centri sono finalizzati all'attività del culto, e i contributi dei fedeli sono destinati a quello, ma spesso c'è anche una funzione di tipo più sociale, mutualistico. Per fare un solo esempio, i centri si occupano di rimpatriare le salme dei nostri fratelli defunti, spesa ingente che non tutte le famiglie possono sostenere».

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