mercoledì 9 maggio 2012
Facce come culi
Sulla norma che consentiva trattamenti previdenziali privilegiati anche ai dirigenti pubblici che con il tetto agli stipendi avevano subito una riduzione delle retribuzioni, una settimana fa il governo era stato battuto a Palazzo Madama. E’ di nuovo polemica sulle pensioni d’oro per i manager. La Lega attacca l’esecutivo e fa sapere che il governo è pronto a reinserire nel decreto sulle commissioni bancarie all’esame della commissione Finanze della Camera, la contestata norma già abrogata dal Senato. A lanciare l'allarme è stato, in mattinata, il vice capogruppo della Lega Nord alla Camera, Maurizio Fugatti: "Il governo si è presentato in commissione e dicendo che il testo del decreto sulle commissioni bancarie è blindato e quindi non subirà modifiche alla Camera, a meno che la commissione non accetti di reintrodurre quanto abrogato al Senato. E’ una scelta scandalosa, fatta dall’esecutivo per salvare le pensioni d’oro degli alti manager di Stato", ha spiegato l’esponente del Carroccio. Sulla norma che consentiva trattamenti previdenziali privilegiati anche ai dirigenti pubblici che con il tetto agli stipendi avevano subito una riduzione delle retribuzioni, una settimana fa il governo era stato battuto al Senato. Il ministro per i Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, ha smentito da parte sua l'intenzione di modificare la norma sulla pensioni d'oro.
I tecnici, per assecondare il rigore voluto dalla Cancelliera, hanno caricato il Paese di tasse portandolo alla recessione. Con la modestia e la finezza che lo contraddistinguono, ieri Mario Monti ha elegantemente scaricato sulle spalle di chi lo ha preceduto la catena di suicidi per motivi economici che sta costellando i suoi primi mesi di governo: «Le conseguenze umane della crisi dovrebbero far riflettere chi ha portato l’economia in questo stato e non chi da quello stato sta cercando di farla uscire», ha scandito un premier sempre più nervoso per l’inefficacia dei provvedimenti adottati e per la fibrillazione dei partiti che lo sostengono, duramente puniti nelle urne elettorali e quindi tentati di fargliela pagare. Di fronte alle reazioni degli uomini del Pdl e dei leghisti, Palazzo Chigi ha poi emanato l’ormai consueta nota di rettifica («non ha parlato di suicidi») che non ha rettificato alcunché, essendo le «conseguenze umane» nient’altro che le tragedie indotte dalla disperazione, delle quali il Professore ritiene Berlusconi colpevole, mentre lui si considera immacolato come le sue camicie. Ora, che i problemi del Paese abbiano radici lontane è fuori discussione. E che l’esecutivo del Cavaliere abbia responsabilità per non averli affrontati con la dovuta risolutezza questo giornale l’ha scritto decine e decine di volte. Ma è piuttosto grave che Monti parli della crisi come di un prodotto esclusivamente italiano, anzi dei governanti italiani, ignorandone l’origine internazionale e fingendo di non sapere che, ben più delle nostre colpe, a portarci in questa situazione è stata la pessima gestione dell’attacco speculativo da parte della governance europea e in primo luogo della sua amica Angela Merkel.
Bastonata fiscale - E ancor più sbalorditivo è che se ne chiami fuori fischiettando, proprio lui che sulle spalle già curve degli italiani ha caricato una mole impressionante di nuove tasse, portando il Paese in recessione. Anche perché c’è una pesantissima ombra sulla necessità della bastonata fiscale da 40 miliardi inflittaci da Monti non appena insediato dal blitz di Napolitano nella stanza dei bottoni. Lui l’ha sempre giustificata con la sua litania preferita: «Eravamo sull’orlo del baratro, abbiamo rischiato di non pagare gli stipendi, senza di me facevamo la fine della Grecia». Ma tra gli economisti i dubbi c’erano, eccome. Già l’8 dicembre scorso su Libero scrivevamo: «Diciamo le cose come stanno. La manovra Monti è stata fatta per compiacere la Germania. Le precedenti stangate non avevano fatto schizzare abbastanza sangue e, di conseguenza, oltre le Alpi non avevano sentito i lamenti di quei lazzaroni degli italiani. Ora, finalmente, sì. E forse adesso la Merkel acconsentirà a ritoccare un po’ le regole europee».
Verità nascosta - Il governo dei sobri si era guardato bene, ovviamente, dall’ammettere le vere ragioni della spremuta di tasse. E anzi aveva poco sobriamente continuato ad aggiungere pennellate al quadro apocalittico che, parola di Professori, ritraeva alla perfezione l’Italia prima del loro provvidenziale intervento. Però ieri, 8 maggio, a pagina tre di Repubblica, abbiamo letto il seguente virgolettato attribuito a Mario Monti: «La Germania, prima di accettare di discutere di crescita, voleva che gli europei del Sud piangessero un po’. Adesso abbiamo pianto abbastanza». Non essendo stavolta arrivata alcuna smentita dai solerti portavoce montiani (usi, come detto, a smentire con prontezza qualsiasi affermazione priva del bollino doc, fosse pure favorevole al premier, come per esempio l’intenzione di parlare con l’uomo asserragliato con ostaggi all’Agenzia delle Entrate), siamo autorizzati a registrare che, esattamente cinque mesi dopo, il nostro leader in loden ammette di aver scarnificato il Paese per essere ammesso alla tavola di Frau Merkel e non per reale stato di disastro dei conti pubblici.
Strategia del bocconiano - Ha pensato di accreditarsi attraverso le nostre sofferenze, il bocconiano preferito dal Quirinale. Ha voluto dimostrare che lui i compiti a casa li sa fare meglio di chiunque altro, l’italiano che si considera più tedesco dei tedeschi. L’ha fatto, ha spiegato, per poi avere più voce in capitolo con i partner europei. E noi speriamo naturalmente che sarà così e che qualche risultato per il nostro povero Paese prima o poi dai suoi viaggi a Berlino, Parigi e Bruxelles lo porterà a casa. Ma non ci venga a raccontare che con «le conseguenze umane» della crisi lui non ha nulla a che fare: perfino ai robot può crescere il naso.
di Massimo De' Manzoni
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