martedì 22 maggio 2012

La domanda... e si parla di aumentare la benzina


ROMA - C'è una data da segnare sul calendario dei tempi difficili che attendono l'Emilia Romagna. È il 28 agosto di quest'anno, quando scadrà lo stato d'emergenza che sarà deciso oggi dal Consiglio dei ministri e che, con la riforma della Protezione civile appena approvata, non può durare più di 100 giorni. Fino ad allora toccherà allo Stato coprire i costi del terremoto di domenica. Ma nelle prime settimane, dice l'esperienza, c'è spazio per i soccorsi, per gli interventi urgenti, al massimo per la messa in sicurezza. Scaduti i 100 giorni, senza alcuna possibilità di proroga, la palla passerà alle Regioni. Toccherà all'Emilia Romagna, dunque, pagarsi la ricostruzione? La risposta, in realtà, è un punto interrogativo. La riforma della Protezione civile è ambigua: dice che suonato il gong dei 100 giorni lo Stato si chiama fuori, ma poi sulla fase due non spiega quasi nulla. In prima fila c'è la Regione perché ha in mano la «tassa della sfortuna» nella sua nuova versione facoltativa, con la possibilità di alzare fino a 5 centesimi le accise sulla benzina. Ma è difficile che una leva del genere basti per ricostruire case, ospedali, uffici e tutto quello che viene giù quando la terra trema. Il vero obiettivo del governo è infatti un altro, e cioè spostare il costo della ricostruzione dalle casse pubbliche, anche loro in un certo senso terremotate, al settore privato. Per questo la riforma fa un primo passo, introducendo su base volontaria le assicurazioni anticalamità sulle case. Ma il sistema non è ancora pronto, e stavolta Stato e Regione si divideranno le spese per gli interventi di lungo periodo. Come dice il sottosegretario Antonio Catricalà «passati i 100 giorni lo Stato non abbandonerà l'Emilia». Il percorso, però, è tracciato. Oggi, dice Catricalà, «il governo valuterà tutte le richieste degli enti locali, coinvolti nel sisma come il rinvio dei pagamenti, di tributi e dei contributi e la derogabilità al patto di stabilità. Faremo tutto ciò che è necessario fare, tutto quello che è possibile fare».

Appena due mesi fa, alla Camera, è stato il capo del dipartimento Franco Gabrielli a indicare chiaramente l'obiettivo finale: «Credo che un'assicurazione obbligatoria sia uno strumento utile e rappresenti anche una forma di equità». Nelle prime bozze del decreto si parlava di polizze obbligatorie, non facoltative. Ma poi, visto che sulla casa sta già arrivando l'Imu, il governo ha preferito frenare. Adesso per far partire il sistema ci vuole, entro 90 giorni, un regolamento che stabilisca i dettagli e anche la deducibilità delle polizze dalle tasse in modo da favorirne la diffusione. A quel punto, in caso di calamità, le case assicurate saranno ricostruite dalle compagnie private mentre a tutte le altre continuerà a pensare la Regione o lo Stato. Anche il comunicato che sarà diffuso dopo il Consiglio dei ministri di oggi preciserà che questa novità non riguarda il terremoto di domenica perché il regolamento ancora non c'è. Ma lo scenario fa discutere, specie a sinistra. Dal Pd Rosi Bindi chiede al governo di «cambiare questa stranezza», mentre l'ex sottosegretario all'Interno Ettore Rosato avverte che «bisogna spiegare bene che cosa succede dopo quei 100 giorni, che forse sono pure troppo pochi». Le stime dicono che il costo medio di una polizza anticalamità sarebbe di 100 euro l'anno. Ma con differenze enormi. Ecco cosa osservò l'allora sottosegretario alla Protezione civile Franco Barberi: «Le assicurazioni farebbero pagare prezzi altissimi nelle zone a rischio per non andare gambe all'aria come avvenuto a molte compagnie della California». Era il 1998, a parlare di assicurazione era stato Romano Prodi, e da allora tutti i governi ci hanno provato per poi fare marcia indietro. Anzi, Prodi non fu nemmeno il primo. Nel 1993 toccò al governo Ciampi, con il sottosegretario Vito Riggio aprire verso una proposta che finanziava l'assicurazione aggiungendo l'1 per mille all'Ici. Adesso il consiglio degli architetti propone di usare un pezzo dell'Imu per risarcire i danni. Cambiano i nomi, ma siamo sempre lì.

Lorenzo Salvia

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