Dietro l'orrore, la pietà, lo scandalo, il buonismo, le tragedie del mare nascondono il business che non t'aspetti. Il giro d'affari del primo soccorso e dell'accoglienza. Da una parte i milioni di euro stanziati dall'Europa e dall'Italia, dall'altra la pletora di personaggi in attesa di incassare. Un migrante dorme nel Centro di prima accoglienza di LampedusaOnlus, patronati, cooperative, professionisti dell'emergenza, noleggiatori di aerei e traghetti, perfino i poveri operatori turistici di Lampedusa: abbandonati dai vacanzieri si rassegnano a riempire camere d'albergo, appartamenti e ristoranti con agenti, volontari, giornalisti, personale delle organizzazioni non governative, della Protezione civile, della Croce rossa. L'emergenza sbarchi comporta un giro vorticoso di denaro pubblico. Nel 2011, l'anno più drammatico, gli sbarchi provocati dalle sanguinose rivolte nordafricane sono costati all'Italia un miliardo di euro. Ogni giorno le carrette del mare da Libia e Tunisia hanno scaricato in media 1.500 persone. Il governo dovette aumentare le accise sui carburanti per coprire parte di queste spese. E a qualcuno che sborsa corrisponde sempre qualcun altro che incassa.
Bisogna gestire la prima accoglienza: acqua, cibo, vestiti, coperte, farmaci. Vanno organizzati i trasferimenti sul continente ed eventualmente i rimpatri; si aggiungono spese legali, l'ordine pubblico, l'assistenza (medici, psicologi, interpreti, mediatori culturali). Ma questo è soltanto l'inizio, perché moltissimi rifugiati chiedono asilo all'Italia. E l'Italia se ne fa carico, a differenza della Spagna che ordina di cannoneggiare i barconi e di Malta che semplicemente abbandona i disperati al loro destino. Nel triennio 2011/13 le casse pubbliche (ministero dell'Interno ed enti locali) hanno stanziato quasi 50 milioni di euro per integrare 3000 persone attraverso il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati. A testa fanno più di 5.000 euro l'anno. L'Europa soccorre soltanto in parte. Il finanziamento più cospicuo arriva dal Fondo europeo per le frontiere esterne destinato alle forze di sicurezza di confine (capitanerie di porto, marina militare, guardia di finanza): 30 milioni annui. Altri 14,7 milioni arrivano dal Fondo per l'integrazione, non riservato all'emergenza. Dal Fondo per i rimpatri piovono 7 milioni di euro. Poi c'è il Fondo per i rifugiati, che nel 2012 ha stanziato 7 milioni in via ordinaria più altri 5 per misure di emergenza. Tutti questi denari vanno considerati come co-finanziamento: si aggiungono cioè ai soldi che l'Italia deve erogare. Il fondo più interessante è quello per i rifugiati, che è tale soltanto di nome perché i veri destinatari dei 12 milioni di euro (sono stati 10 milioni nel 2008, 4,5 nel 2009, 7,2 nel 2010 e addirittura 20 nel fatidico 2011) sono Onlus, Ong, cooperative, patronati sindacali e le varie associazioni umanitarie che si muovono nel settore dell'immigrazione. Dal 2008, infatti, l'Europa ha stabilito che quel fiume di contributi vada «non più all'attività istituzionale per l'accoglienza, ma ad azioni complementari, integrative e rafforzative di essa». Anche queste, naturalmente, co-finanziate dal governo italiano.
Le organizzazioni operano alla luce del sole, sono autorizzate dal ministero dell'Interno che deve approvare progetti selezionati attraverso concorsi pubblici. I soldi finiscono in fondi spese destinati non ai disperati ma a vitto e alloggio delle truppe di volontari e professionisti. Per la felicità degli albergatori lampedusani. Gli operatori sociali spiegano ai nuovi arrivati i loro diritti. Li mettono in contatto con interpreti, avvocati, mediatori da essi retribuiti. Organizzano la permanenza, li aiutano a restare in Italia o a capire come proseguire il loro viaggio della speranza. Fanno compilare agli sbarcati, che per la legge sono clandestini, un pacco di moduli per avere assistenza legale d'ufficio. Pochissime organizzazioni, e tra queste Terre des hommes e Medici senza frontiere, si fanno bastare i denari privati. A tutte le altre i soldi italo-europei servono anche a sostenere i rispettivi apparati, come gli uffici stampa, gli avvocati e gli attivisti per i diritti umani, per i quali martellare i governi finanziatori è una vera professione. E magari usano l'emergenza immigrazione come trampolino verso la politica.
Noi meridionali, di qualunque parte del Sud, siamo abituati a vivere sul confine d'acqua del Mediterraneo. Da quando l'Italia è diventata terra di immigrazione, abbiamo visto quel confine continuamente attraversato, giorno dopo giorno, da migliaia di disperati alla ricerca di pane e lavoro. L'arrivo degli albanesi sulle coste di Puglia, che mi vide giovanissimo volontario, ormai è archeologia dei flussi migratori. Sappiamo accogliere, a Meridione, noi che siamo multirazziali per storie e per definizione, meticci che nel sangue abbiamo i normanni e i saraceni, i celti e le genti di Bisanzio. Dunque, dare del razzista a un italiano di Meridione è ridicolo, e se esiste un qualche meridionale razzista (razzista, dico, non uomo spaventato dalle invasioni) è un pover'uomo che non ha coscienza delle proprie radici, e non sa da dove viene. Personalmente, da destra sono sempre stato un sostenitore dell'idea di un'Italia e di specialmente di un Sud multiculturale, sapendo che l'italianità è un concetto culturale e non biologico o razziale, anzi l'esatto contrario, perché è l'incrocio di razze, popoli e culture che ha reso grandissima ed enormemente ricca la nostra storia patria, e così variopinto il nostro popolo. In poco più di vent'anni abbiamo accolto una quantità enorme di immigrati, caso unico continentale. Ma proprio noi italiani di Sud, più di altri, che ovunque andiamo troviamo subito fratellanza con i popoli del Sud del mondo, sappiamo che i confini sono importanti, e la sovranità di una nazione si misura sulla capacità di presidiarli, di decidere chi sta dentro e chi sta fuori, chi è cittadino e chi no, chi sta dentro le maglie della solidarietà e chi non ha diritto di stare sul suolo nazionale come un fantasma privo di identità.
L'esistenza del confine è il presupposto della solidarietà vera. Per questo trovo imbarazzante, autolesionista, surreale, la piega che il dibattito pubblico avviene ogni qual volta si abbatte sulle coste e, come pugno, sui nostri stomaci occidentali l'ennesima tragedia del mare che inghiotte decina, e stavolta centinaia di clandestini. Solo un animo bestiale può rimanere impassibile di fronte ai cadaveri, ai corpi e corpicini ripescati davanti a Lampedusa, è naturale che la Chiesa e il volontariato, oltre alle strutture pubbliche, si mobilitino per risolvere l'ennesima, drammatica, emergenza. Ma tutto questo non c'entra niente con il dopo, con il «che fare», con l'assurdità di una nazione sovrana lasciata da sola a gestire gli sbarchi, l'accoglienza, le espulsioni, a fare da porta scorrevole per l'ingresso in Europa. Tutto questo non c'entra nulla con la verità che anche e soprattutto di fronte alle tragedie va raccontata: se esiste l'Occidente, se ancora resistono le nazioni occidentali, il problema dei flussi migratori illegali deve essere affrontato e gestito dove partono le rotte dei disperati, non al punto d'arrivo. Gli scafisti non devono solo essere arrestati: non devono partire. Tornare in Africa, e rimediare ai danni che una gestione dissennata e poco lungimirante degli accordi transfrontalieri continua a provocare alle nazioni dell'Europa meridionale, è l'unica strada per evitare morte e illegalità, per impedire che l'industria dello sfruttamento continui a mietere vittime e depositare sulle nostre coste un'umanità che solo in piccola parte riuscirà a trovare reali strumenti di integrazione, e in gran parte finirà nelle mani del caporalato o delle reti di commercio illegale. Intolleranza? No, realismo solidale. Il miglior alleato del razzismo è l'utopismo umanitarista che produce chiacchiere, e non soluzioni. Noi, come italiani e come meridionali, non abbiamo proprio nulla di cui vergognarci.
Kyenge: "Triplicare i posti letto per l'accoglienza"
Dopo l'ecatombe, è il giorno della visita: Cécile Kyenge a Lampedusa, dove è arrivata intorno alle 11 di domenica mattina. Il ministro dell'Interno, poche ore prima, rilascia un'intervista al Corriere della Sera. Scontato l'attacco alla Bossi-Fini: "La legge sull'immigrazione non può essere punitiva". Quindi, in scia al premier Enrico Letta, l'appello all'Europa: "Serve l'intervento della comunità interazionale".
0 commenti:
Posta un commento