Qualcosa di pesante sta per accadere sul fronte delle ”svendite patrimoniali” delle partecipazioni pubbliche: il duo Saccomanni -Letta vuole mettere sul mercato, entro la fine dell’anno, due delle più importanti aziende di proprietà dello Stato, ovvero la RAI e l’ENI. In quanto a valore da remunerare l’ENI resta però l’obbiettivo primario, e la cessione della quota detenuta dal Tesoro sta sempre più assumendo i contorni di una necessità impellente. Infatti, le fonti citate dall’agenzia Reuters sembrano tradire una certa fretta di fare cassa da parte del governo e, come sappiamo, la fretta di vendere è sempre un indizio poco rassicurante. Per la fine di ottobre, intanto, il comitato per le privatizzazioni, per far partire l’intero progetto di dismissioni, potrebbe anche essere trasformato in un organo permanente. Si sa, il governo possiede oggi il 30 per cento di quello che un tempo era l’intero capitale, di cui il 4,34 per cento direttamente, attraverso il Ministero dell’Economia, e il resto tramite la Cassa depositi e prestiti. Una società, quest’ultima, che sovente è stata tirata in ballo da tutti i media italiani e non solo, in quanto considerata alla stregua di vera e propria cassaforte dei patrimoni pubblici e privati. Si evince quindi che il valore attuale delle azioni di ENI direttamente in “mano” al ministro Fabrizio Saccomanni è poco inferiore ai tre miliardi di euro. Ecco che, come abbiamo anticipato sopra, la fretta di vendere la quota si traduce proprio in un indizio poco rassicurante, ovvero quello di tradire forse l’ottimismo del governo dal lato dei conti pubblici. Infatti, a ben guardare le previsioni del governo si evince per l’anno in corso una contrazione del prodotto interno lordo dell’1,7 per cento, ma le ultime indicazioni certe fornite da tutte le organizzazioni internazionali, tra cui Fondo monetario internazionale e altri analisti, sembrano invece indicare una contrazione dell’1,8, che di conseguenza farebbero mancare alla previsione del governo svariate centinaia di milioni di euro di entrate, rendendo più complicato se non impossibile il raggiungimento del rapporto deficit/Pil, obiettivo che, tradotto, significherebbe il famoso quanto assurdo e sconclusionato 3 per cento.
A tutto ciò andrebbe anche aggiunto un ulteriore ottimismo pregresso del governo: infatti, sul fronte delle entrate, l’ultimo esempio è riconducibile alla Tobin tax, che dagli ultimi dati disponibili dimostrerebbe già una contrazione degli scambi maggiore del previsto, provocando così un ulteriore allontanamento del target di gettito, fissato dal governo Monti a un miliardo di euro. Gli analisti temono però che il gettito effettivo sarà un quarto di quello stimato, e che bisognerà forse fare i conti anche con una caduta della gettito dalle imposte sul capital gain. Insomma, non è dato sapere per quanto ancora il governo ritenga di continuare ad essere ottimista, ma quello che è certo è che non servivano certo dei tecnici raffinati, per capire prima del previsto il principio e i motivi della caduta delle entrate. Si tratta insomma di una débâcle largamente prevedibile, dove le risorse finanziarie che vengono a mancare è ovvio che vadano oggi a giustificare appieno la fretta delle intenzioni di dismissioni del governo. Non sono escluse le vendite di quote in Terna e Fincantieri, mentre per ora restano avulse dal piano di dismissioni ENEL e Finmeccanica. Messa così, sembra la fotocopia di ciò che è capitato alla Grecia: privatizzazioni “camuffate” e vere “svendite” dei patrimoni di un Paese. Alla luce di quanto sopra, il martellante indebolimento degli Stati messo in atto dalla Troika con il rigore pare servito a costringerli ad aderire a una Europa contro le proprie volontà, il vero sistema di potere occulto europeo, ovvero quello della finanza, delle lobby economiche e delle banche private, artefice e complice di questa crisi finanziaria in quanto funzionale a procedere scientificamente al completamento dell’Unione politica Europea a tutti i costi e a qualunque prezzo, continua invece ad imporsi sugli Stati attraverso i trattati delle cessioni di sovranità e il rispetto di parametri sconclusionati e discriminatori.
Fabrizio Dal Col
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