Il Nobel per l’economia 2001, Joseph Stiglitz, è tornato sulla crisi di Eurolandia. Ripeteno concetti noti ma che sembrano sfuggire ai politici europei ed italiani: in assenza di crescita il rigore non serve a superare una crisi, anzi tende a peggiorarla… Il mondo cambia rapidamente sotto i colpi dell’innovazione tecnologica e forse presto al posto di banche e assicurazioni potremmo vedere Apple e Alibaba concedere credito e assumersi rischi. Ma in Europa e in Italia in particolare il tempo sembra scorrere più lentamente, quasi fino a fermarsi. Così ancora ieri Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia 2001, già consigliere economico del presidente Bill Clinton e capo economista della Banca mondiale dal 1997 al 2000, a Roma per un intervento allo Strategic Forum della Banca d’Italia e poi ad una lectio magistralis sulla crisi dell’euro a Montecitorio, ha dovuto ripetere concetti che per quanto noti da almeno un paio d’anni evidentemente non riescono a far breccia nel mondo “da sogno” della politica italiana.
Primo concetto: la colpa “originaria” di Eurolandia, quella per cui il vecchio continente ha visto calare la sua produttiva pur in assenza di guerre o eventi devastanti come in passato, è stato voler far partire un progetto (l’euro) che doveva avere natura politica e invece si è limitato ad un’unione monetaria. Unione che è una camicia di forza molto più rigida di qualunque precedente accordo sui cambi (come lo Sme) e dunque avrebbe richiesto preventivamente una serie di azioni (di politica economica e fiscale) per ridurre i divari esistenti tra i vari paesi intenzionati ad aderire all’euro. Cosa che non è avvenuta perché i politici di tutta Europa ritenevano che da sola la moneta unica avrebbe reso l’Europa più coesa innescando un processo virtuoso che invece non c’è stato. Col risultato che la Ue è attualmente più divisa di quanto non fosse fino al 2001 e che movimenti populisti e nazionalisti stanno riprendendo forza in tutto il vecchio continente.
Secondo concetto: tentare di dar vita agli “Stati Uniti d’Europa” imitando il modello americano, limitandosi alla sola unione monetaria, per di più con tempi di reazione decisamente deludenti e una grande rigidità “culturale” da parte del paese egemone (la Germania) che neppure dopo la crisi del debito sovrano greco del 2010 ha cambiato strategia, continuando a puntare solo su una politica di repressione fiscale, semplicemente non è possibile. Perché? Perché “i 50 stati federali degli Usa hanno un quadro di bilancio comune, con due terzi della spesa a livello statale e se un singolo stato ha un problema entrano in gioco meccanismi di salvaguardia” automatici attraverso un fondo che serve ad assorbire gli shock economici. Fondo di cui il Meccanismo europeo di stabilità (Esm) non è che un parente molto alla lontana. Inoltre negli Stati Uniti se uno stato attraversa un momento di crisi i lavoratori possono facilmente spostarsi in cerca di lavoro in altri stati, cosa che in Europa non è altrettanto agevole, vuoi per barriere culturali vuoi linguistiche.
Terzo concetto: è stato un errore pensare che bastasse porsi come obiettivo bassi rapporti di deficit/Pil o debito/Pil per risolvere la questione. La crisi ha dimostrato che anche paesi fino a quel momento in eccellenti condizioni (“Spagna e Irlanda -ha ricordato Stiglitz- avevano dei solidi avanzi di bilancio prima della crisi del 2008, eppure ora hanno difficoltà gravissime”) possono subire l’effetto di shock dovuti a varie cause, dalla volatilità dei flussi di capitali mondiali alla crisi del mercato immobiliare fino alla dipendenza dell’economia solo o quasi dalla domanda interna (come in Grecia) o di un solo grande mercato di sbocco estero (come nel caso del Portogallo, legato a doppio filo alla Spagna). Insomma: “il Fiscal Compact, che impone forzosamente di superare il disavanzo e il debito, non risolverà i problemi dell’Eurozona e non aiuterà a prevenire la prossima crisi”, almeno se continuerà a mancare un elemento chiave, la crescita.
1 commenti:
Ha detto chiaramente che il nostro problema e' l'Euro ed ha declinato correttamente tutte le conseguenze nefaste della scelta del cambio fisso nell'Eurozona.
Ha puntualizzato che ridurre i salari ed il welfare in questo momento sarebbe da dementi e da bravo Yankee ha poi concluso:
- accelerando l'Unione Bancaria;
- istituendo gli Eurobond;
- istituendo un budget fiscale comunitario (anche solo pari al 20% del gettito fiscale EU, in modo da poter implementare i necessari trasferimenti fiscali volti alla vera convergenza economica);
- con l'intervento attivo dei governi nell'economia.
Cioè, "piu' Europa"...manco si sogna di dover uscirne.Analisi buona,conclusioni un po' meno.
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