Secondo la corte di Cassazione esistono stupro e stupro. Traducendo il consueto faldone di motivazioni dal burocratese tanto caro alla magistratura italiana emergono le motivazioni che hanno portato la Terza sezione penale della Suprema Corte ad accogliere il ricorso di uno stupratore già condannato in appello dalla corte di Venezia. L'uomo era stato condannato per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale sulla moglie costringendola, in preda ai fumi dell'alcool, ad avere rapporti sessuali completi contro la sua volontà. I suoi avvocati hanno richiesto l'attenuante alla pena richiesta dai gip di Vicenza e confermata in appello. Secondo i legali per valutare la gravità di uno stupro, deve "assumere rilevanza la qualità dell'atto compiuto (e segnatamente il grado di coartazione, il danno arrecato e l'entità della compressione) più che la quantità di violenza fisica esercitata".
A questo funambolismo verbale e legale i magistrati hanno risposto accogliendo le ragioni dello stupratore, annullando di fatto la sentenza dei giudici di Venezia. La decisione è stata motivata con queste parole: "ai fini della concedibilità dell'attenuante di minore gravità, assumono rilievo una serie di indici, segnatamente riconducibili, attesa la 'ratio' della previsione normativa, al grado di coartazione esercitato sulla vittima, alle condizioni fisiche e mentali di quest'ultima, alle caratteristiche psicologiche, valutate in relazione all'età, all'entità della compressione della libertà sessuale e al danno arrecato alla vittima anche in termini psichici". Parole che, una volta tradotte in italiano corrente, creano un pericoloso precedente per le future sentenze sul reato di stupro.
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