venerdì 29 gennaio 2021

Matteo Renzi e l’Arabia Saudita

Ok, ogni tanto facciamo tutti dell'ironia su Renzi; il soggetto si presta, con quella faccia e quei toni, ma è sbagliato. Non c'è davvero niente da ridere. Renzi, che ricordiamolo è stato presidente del Consiglio italiano, è quel personaggio che, convocato dal principe saudita Mohammed bin Salman, in quanto membro del Future Investment Initiative Institute fondato dal monarca stesso (e per cui percepisce 80.000 euro/anno) si è esibito l'altrieri in un'inquietante esibizione di piaggeria e servilismo adulatorio. Saltando le genuflessioni seriali in cui incorona la monarchia saudita come luogo per un Nuovo Rinascimento e magnifica le grandi opportunità che il paese offre nel campo dell'istruzione, Renzi dice di essere "come italiano, molto invidioso del basso costo del lavoro in Arabia Saudita."


Ora, le condizioni del lavoro non qualificato in Arabia Saudita, lavoro delegato interamente a manodopera immigrata, sono state più volte oggetto di inchieste internazionali e denunce, a causa dei vincoli (non possono cambiare posto di lavoro senza il permesso del datore di lavoro), e dei ricatti cui sono sottoposti. Secondo i dati ufficiali questi lavoratori godono di uno stipendio medio mensile di 250 dollari lordi. Ecco, in cambio di modesti 80.000 dollari annui, Renzi prende il primo volo e trotterella scodinzolante al servizio di una monarchia ereditaria assoluta, che vive di Royalties petrolifere, per spiegare quanto lui sia invidioso "come italiano" di salari di 250 dollari al mese. Si tratta dello stesso soggetto che ci fa la paternale sui diritti umani e i diritti delle donne, e sulla scarsa dinamicità dell'industria italiana; lo stesso soggetto che ha tolto l'articolo 18 nel nome di tale dinamicità; lo stesso soggetto che ora scopriamo avere come fulgido modello una monarchia assoluta dove le donne devono chiedere il permesso al tutore maschio per sottoporsi ad intervento chirurgico o sposarsi, o recarsi dalla polizia, un regno ereditario dove vigono salari di sussistenza per il lavoro comune, determinati al ribasso da un 76% di forza lavoro immigrata, disposta a lavorare per un tozzo di pane.   


Ecco, come dicevo, qui non c'è davvero niente da ridere. Qui non si tratta di un problema di gaffe o di fraintendimenti. Questa è l'esibizione a chiare lettere della condizione di asservimento, di vendita al miglior offerente di una parte autorevole della classe politica italiana. E questa stessa disponibilità a vendersi al miglior pagante è parte della loro forma mentis, come una virtù, l'accettazione del gioco di mercato. Anzi l'unica virtù rimasta è proprio quella di farsi pagare bene. L'ex presidente del consiglio infatti è lo stesso che si dice 'disgustato dalle compravendite di senatori' in parlamento, e in effetti lui ha pieno titolo per mostrare tutto il proprio disprezzo per queste operazioni spicciole. Quando ci si mette in vendita o lo si fa in grande stile o è meglio fingersi superiori.


Andrea Zhok

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