martedì 5 maggio 2020

Confronti

Il caso Siri e la vicenda Bonafede, parole a confronto

E' passato esattamente un anno da quando il Presidente Conte, assieme a tutto il M5S, pretese le dimissioni del sottosegretario Armando Siri per il sospetto di aver inserito nella manovra una norma sulle energie rinnovabili in cambio del pagamento di una tangente da trentamila euro, della quale peraltro non ne è mai stata rinvenuta alcuna traccia. Ma allora il sedicente avvocato del popolo si impuntò, facendone una questione di onore per l'intero governo da lui presieduto: "lo schiodo io dalla seggiola" disse brutalmente Conte. Ed a lui si accodò tutto il M5S, memore di aver fatto di onestà e trasparenza il manifesto ed il simbolo della sua stessa  essenza politica. Ma veniamo ai giorni nostri: un manipolo di pericolosi capi delle grandi centrali malavitose italiane - tutti già latitanti arrestati dopo anni di ricerche costellate dal sacrificio e dal sangue di molti servitori dello Stato - vengono trasferiti dal regime di carcerazione dura ex art. 41bis agli arresti domiciliari, con risibili motivazioni di salute e con il pretesto del Coronavirus. 

Al clamore che ne segue si aggiunge inoltre una stupefacente dichiarazione del magistrato Nino Di Matteo - una delle icone della lotta alla Mafia - che dice di essere stato contattato dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede per assumere il vertice del DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) ma che lo stesso Bonafede ritirò successivamente questa sua proposta a causa delle pressioni su di lui esercitate dai boss, roba da far tremare i polsi, dichiarazioni di inusitata gravità. Ma qui il salto dalla tragedia alla commedia all'italiana è tanto rapido quanto disinvolto e quello stesso premier che aveva voluto la testa di Siri per un'accusa estremamente più lieve ecco che ora si schiera decisamente dalla parte di Bonafede. E con Conte c'è di nuovo il M5S che evidentemente ha deciso di archiviare lo slogan "onestà onestà onestà" per sostituirlo con le parole d'ordine del suo nuovo corso: opportunismo e poltrone. 

E non finisce qui perchè perfino quella brutta copia di Catone il censore che risponde al nome di Marco Travaglio arriva a smentire se stesso contraddicendo la linea di rigore morale che ha caratterizzato il suo lavoro di giornalista: per lui si è semplicemente trattato di "un equivoco tra due persone in buona fede". Mentre intanto ben 376 grandi mafiosi e trafficanti - tra i quali pure il temibile Pasquale Zagaria - sono stati scarcerati, mi chiedo cosa sarebbe accaduto se il ministro della giustizia fosse stato un esponente del centrodestra e non oso darmi una risposta. E chiudo con le parole di Roberto Saviano alle quali ha dato grande rilievo La Repubblica: "Garantire la salute di qualunque detenuto è fondamentale ed è un atto di un'efficacia antimafia immediatamente misurabile" e il titolo del quotidiano è emblematico: "Lo Stato di diritto deve valere anche per Caino". E mentre il Quirinale come sempre tace e non vede, ecco che  la sinistra giustizialista si è improvvisamente risvegliata collusa con la malavita, chissà, forse avrà pensato che anche i mafiosi e i camorristi votano e di questi tempi tutto fa brodo.

Dalla bacheca di Danilo Bonelli

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