“In termini cumulati la caduta del Pil in Italia è superiore rispetto a quella verificatasi durante la Grande depressione del ’29”. E’ la conclusione a cui è arrivato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, con l’aggiornamento del Documento di economia e finanza. “L’area dell’euro è a un bivio”, aggiunge il ministro sottolineando che i Paesi in assenza di interventi “rischiano di avvitarsi in una spirale di stagnazione e deflazione”. Quindi “occorre muovere con decisione su più fronti nella consapevolezza che in assenza di una ripresa robusta la tenuta del tessuto produttivo e sociale risulterebbe a rischio, la ricchezza delle famiglie minacciata, le prospettive dei giovani compromesse”. Dal canto suo l’Italia mette un punto fermo sugli impegni presi garantendo fin da ora che se non ce la farà nel 2015, l’anno successivo i soldi mancanti saranno chiesti ai contribuenti e scatteranno in automatico gli aumenti dell’Iva e delle altre imposte indirette per un controvalore di 12,6 miliardi sul 2016, 17,8 miliardi nel 2017 e 21,4 miliardi nel 2018.
L’impegno è scritto nero su bianco in coda alla nota di aggiornamento del Def approvata dal Consiglio dei Ministri di martedì sera, dove si certifica che a peggiorare le attese sui conti pubblici c’è innanzitutto un apporto meno ricco del previsto dalle cosiddette privatizzazioni per un peso inferiore alle stime calcolabile in 0,4 punti di Pil nel 2014, al quale si somma un fabbisogno che sarà superiore di 0,7 punti rispetto alle previsioni. Sono queste, insieme alla minor crescita, due componenti che – secondo quanto riportato nel Documento di economia e finanza (Def) – porteranno il debito pubblico a fare un salto di 3,7 punti rispetto al 2013. Il governo rassicura comunque che, per quanto riguarda le privatizzazioni – il cui controvalore quest’anno si fermerebbe quindi a 0,3 punti di Pil (circa 4,8 miliardi) – torneranno a contare per 0,7 punti di Pil annui dal 2015.
Per il prossimo anno la differenza tra il saldo a legislazione vigente e quello programmatico (0,7 punti con il deficit dal 2,2 al 2,9%) “è motivata dalla volontà di finanziare impegni di spesa nei settori ritenuti più rilevanti per la crescita e ridurre la pressione fiscale per famiglie e imprese”, prosegue la nota nella quale si evidenzia come il calo delle tensioni sui mercati e sui titoli di Stato frutta circa 6 miliardi a beneficio dei conti pubblici: la spesa per interessi scende infatti dagli 82,6 miliardi dell’ultima stima del governo ai 76,7 miliardi attuali per il 2014.
Grande fiducia, sempre da parte di Padoan, nella riforma del lavoro: “La rete di ammortizzatori sociali verrà rafforzata e resa più inclusiva. Le imprese potranno gestire in maniera più efficiente l’attività produttiva reagendo con maggior prontezza alle evoluzioni cicliche”, scrive il ministro nella nota. Le riforme programmate dal governo nel 2012-14, secondo il Def, avranno un effetto sul Pil di 0,4 punti, per poi salire a 3,4 maggiori punti di sviluppo nel 2020 e arrivare a 8,1 maggiori punti di crescita nel lungo periodo. In particolare da quella della Pubblica amministrazione sono attesi 0,1 punti nel 2015, 3,4 nel 2020 e 8,1 nel lungo periodo; da quella del lavoro 0,1 nel 2015, 0,9 nel 2020 e 1,6 nel lungo periodo; mentre dalle misure per la competitività si va da 0,1 del 2015 a 3,2 del lungo periodo e dalla riforma della giustizia 0,1 nel 2015 e 1,0 nel lungo periodo. Le indicazioni del Documento di economia e finanza sono comunque state riviste al ribasso rispetto alle stime contenute in quello precedente dove per il 2015 il governo stimava un impatto di 0,7 punti di Pil.
Questo, in sintesi, il documento, che termina con dettagliatissime risposte ai rilievi Ue, fa slittare il pareggio di bilancio al 2017 e punta sui tagli di spesa.In coda a tutto, per rassicurare i “guardiani” di Bruxelles, la clausola di salvaguardia sulle aliquote Iva e sulle altre imposte indirette. Una stangata che si punta ad evitare ma che vale complessivamente oltre 50 miliardi nel triennio 2016-18 e sarà contenuta nella legge di Stabilità. L’anticipazione è stata inserita in risposta alle raccomandazioni Ue, a garanzia degli obiettivi di medio termine. Ipoteca sul futuro a parte, la manovra d’autunno conterrà una misura per il calo delle tasse che dovrebbe attestarsi tra i 20 e i 22 miliardi di euro. Per allentare la pressione fiscale servono all’incirca 10 miliardi (7 per confermare il bonus degli 80 euro e altri 2 circa per la nuova riduzione in favore delle imprese). Il menù includerà poi, l’allentamento del patto di stabilità interno (per 1 miliardo), risorse per la scuola (1 miliardo) e per i nuovi ammortizzatori sociali (1,5 miliardi). Ci sono poi da coprire le spese indifferibili (tra i 4 e i 5 miliardi) e 3 miliardi per evitare il taglio lineare degli sconti fiscali, eredità del governo Letta. Oltre a un aggiustamento dei conti, ridotto rispetto alle attese in virtù dello slittamento del pareggio di bilancio al 2017, ci sarà, si legge nel Def, una “variazione positiva saldo strutturale di 0,1 punti percentuali di Pil”, circa 1,5 miliardi.
1 commenti:
Il piddì è la soluzione, quella finale
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