Roma - E meno male che il governo pensa ai giovani! Se l'interesse dell'esecutivo di Matteo Renzi fosse rivolto ai «professionisti della tartina», forse non rischierebbe di creare un danno concreto alle attività professionali e imprenditoriali dei ragazzi. Su questo tipo di imprese, infatti, potrebbe abbattersi una stangata fiscale che triplicherebbe il prelievo applicato fino ad oggi. Un altro macigno che si abbatterebbe sul sistema economico l'anno prossimo e che potrebbe essere seguito nel triennio 2016-2018 da un aumento dell'Iva e delle altre imposte indirette (rispettivamente per 12,4-17,8-21,4 miliardi) in caso di mancati risparmi, deprimendo il Pil a fine periodo dello 0,7 per cento.
Ora, però, è a rischio il «regime dei minimi», ossia l'aliquota unica semplificata riservata alle partite Iva «giovani» sia in senso anagrafico che di iscrizione alla Camera di Commercio. Nella travagliata estate 2011, nel tourbillon di tasse imposto dall'Europa, il governo Berlusconi riuscì a varare un nuovo sistema di tassazione forfettario al 5% per le nuove imprese e per gli under 35 sotto i 30mila euro annui di ricavi (e i 15mila euro di acquisti) che esonerava dal versamento dell'Iva e dell'Ires e, soprattutto, dall'applicabilità degli studi di settore. Un vero e proprio «salvagente» per giovani professionisti, disoccupati che hanno deciso di mettersi in proprio e, soprattutto, per le piccole autofficine. Un successo che in tre anni ha visto, secondo le stime più aggiornate, oltre 700mila aderenti.
La delega fiscale, che il Parlamento ha affidato al governo nel periodo di passaggio i governo Letta e Renzi, prevede, tra l'altro, la modifica del sistema. In teoria, con l'intento di estenderne la platea ampliandola anche a coloro che registrano ricavi fino a 55mila euro. Con una piccola variante: saranno introdotti tre scaglioni tra i 25mila e i 55mila euro con l'aliquota minima fissata al 15%, cioè il triplo di quanto previsto finora.
Gli ultimi dati disponibili relativi alle dichiarazioni dei redditi 2012 presentate l'anno scorso evidenziano 442.353 aderenti per un'imposta complessiva di circa 171 milioni di euro. Sarebbe riduttivo e impreciso affermare che con il decreto attuativo del governo gli introiti dell'erario salirebbero a 513 milioni anche se l'ordine di grandezza dovrebbe essere più o meno quello. È molto più significativo portare un esempio concreto: un'impresa con 25mila euro di ricavi e 12mila euro di costi paga l'imposta del 5% (anziché l'aliquota minima Irpef del 23%) sui 13mila euro di reddito e quindi 650 euro che lasciano al titolare 12.350 euro, ovvero mille euro al mese. Se l'aliquota salirà al 15% il prelievo diventerà di 1.950 euro (ossia 56 euro in meno del regime tradizionale: 23% meno la detrazione sui redditi da lavoro autonomo).
Il vero disincentivo all'adesione, però, sarebbe rappresentato dall'Iva. In regime dei minimi, non essendovi l'obbligo della compilazione dei registri, l'imposta sul valore aggiunto è totalmente indetraibile: motivo in più per aderire al regime ordinario e sfruttare questa possibilità. Al contrario, le aziende con ricavi compresi nell'area 30-55mila euro e redditi superiori ai 30mila euro otterranno un vantaggio potendo usufruire di un'aliquota agevolata che probabilmente sarà inferiore agli attuali scaglioni Irpef che vanno dal 27 al 38 per cento. Acta, l'associazione dei contribuenti del terziario, ritiene che l'ipotesi allo studio «penalizzi coloro che hanno deciso di puntare sull'auto-impiego». Arrabbiarsi, però, potrebbe non servire a nulla.
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