Prima l'allarme di Cottarelli, ora quello di Padoan. Non bastava la bagarre scatenatasi in Senato, adesso il premier Matteo Renzi deve fare i conti con le bacchettate e con gli allarmi provenienti dal suo governo. "La situazione economica in Italia e nella Ue è meno favorevole di quello che speravamo a inizio anno", ha ammesso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Che poi ha aggiunto: "La situazione richiede un maggiore sforzo per la crescita e il consolidamento dei conti pubblici". Pochi giorni fa il presidente del Consiglio aveva ammesso che le previsioni stimate nel Documento di economia e finanza sarebbero state difficili da raggiungere: "Sarà molto difficile arrivare al +0,8% di crescita". Durante la conferenza stampa congiunta con il collega francese Michael Satin, il ministro dell'Economia ha poi rincarato la dose: "In un contesto di consolidamento dei conti, bisogna pensare alle misure per crescere sul lungo periodo, per le riforme, gli investimenti e l’integrazione dei mercati". Insomma, il quadro è negativo e la crisi economica stenta a sparire. Altro che crescita, al momento il Paese è al palo. Ad aggiungere benzina sul fuoco ci ha pensato poi anche il commissario per la spending review Carlo Cottarelli. Intervenendo sul decreto Pubblica amministrazione, che arriverà al Senato nei prossimi giorni, Cottarelli ha fatto presente che sulla cosiddetta quota 96 che manderebbe in pensione gli insegnanti penalizzati dalla riforma Fornero non ci sarebbero i soldi per realizzarla.
Alla direzione del Pd, convocata dopo la sberla incassata dal governo su un emendamento della Lega Nord che conferisce anche al nuovo Senato la competenza legislativa su materie "eticamente sensibili" come diritti civili, famiglia e matrimonio, Matteo Renzi sciorina tutto il repertorio di slogan a cui ci ha abituati da quando siede a Palazzo Chigi."Viviamo un momento storico", "la riforma del Senato è importante" e via dicendo. Grazie di qua, grazie di là. "Non vogliamo evitare il canguro, ma la lumaca". Eppure, nel lunghissimo esercizio di oratoria, Renzi si lascia scappare tutto il fastidio per una riforma, quella costituzionale, che non va in porto perché frenata dai soliti franchi tiratori. Che, poi, è un modo diverso per non affrontare il problema dei dissidenti piddini.
"L’emendamento passato col voto segreto non è il remake dei 101 ma nel merito lascia l’amaro in bocca - ammette Renzi alla direzione del Pd - ci possono essere dissensi, ma viene scritta pagina non positiva". In mattinata il governo è infatti andato sotto di sette voti su un emendamento della Lega Nord. Un colpo basso alla sicumera del premier che ha spinto gli stessi dem a ritirare in ballo "la carica dei 101" che lo scorso anno contravvennero alle indicazioni ufficiali del partito e affossarono l’elezione di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica. Nella maggioranza è, infatti, già partita la caccia ai franchi tiratori: si cerca chi ha tradito nel segreto dell’urna. Una ricerca difficile. Gli occhi sono puntati su quei senatori che hanno pubblicamente espresso le proprie perplessità sulla riforma. "Non è vicenda tutta interna al Pd - ha continuato Renzi - anzi oggi scommetterei che sono stati altri a votare contro il governo nel voto segreto". Subito dopo il ko il sottosegretario Simona Vicari ha provato a indicare i senatori forzisti come colpevoli del "tradimento". Accusa respinta con fermezza da Franco Carraro che ha chiesto un intervento di censura nei confronti dell’ex senatrice Ncd da parte del presidente Pietro Grasso.
Renzi sa bene che non ne verrà mai a capo. È pressoché impossibile impallinare tutti i franchi tiratori. E il voto segreto resterà la vera spada di damocle sul ddl Boschi e sulle riforme che Renzi intende portare in gol. "Trovo incredibile che una riunione si debba fare in streaming e le riforme si facciano con il voto segreto, incappucciati...", ha sbottato Renzi durante la direzione incarnando quel malessere strisciante che ha portato anche il presidente dei senatori piddì Luigi Zanda ad attaccare con veemenza Grasso. "Le norme sul voto segreto - ha detto Zanda - non sono state previste per dare scorciatoie politiche e per la tutela del franco tiratore politico e non morale". Parole alle quali, però, la seconda carica dello Stato non ha voluto replicare ma che hanno acuito la distanza con la presidenza del Senato. Per ricucire almeno coi dissidenti Renzi ha, però, fatto un'apertura a rivedere il Patto del Nazareno. Le modifiche dovrebbe essere individuate cercando di "alzare un po la soglia" con cui far scattare il premio di maggioranza, "introdurre le preferenze" e "trovare un modo coerente sulle soglie di sbarramento". Modifiche che, però, non possono tener fuori i contraenti del patto.
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