Per ora è stato solo un avvertimento, brusco e allo stesso tempo risoluto: pasticci sui decreti non saranno più tollerati. Ieri, dal Quirinale è partita una lettera riservata verso Palazzo Chigi. Firmata da alcuni tecnici del Colle, sul cui tavolo, dopo giorni e giorni di attesa, era finalmente arrivato l’agognato decreto sulla riforma della Pubblica Amministrazione. Dal 13 giugno, giorno della conferenza stampa di Renzi durante la quale aveva stupito tutti dicendo “intanto vi dico che abbiamo varato il decreto, ma i dettagli e i testi ve li diamo domani”, sul tavolo di Napolitano erano arrivati solo ed esclusivamente bozze informali di tutte le norme. Poi, solo due giorni fa, alla fine, ecco un articolato. Il secondo è stato inoltrato solo per mail, fatto assolutamente inusuale trattandosi di decretazione d’urgenza. Ad oggi, per riassumere, al Colle non sono ancora in possesso delle carte comprendenti la riforma quadro del sistema Pubblica Amministrazione. Colpa, sostengono a Palazzo Chigi, della Ragioneria Generale che frena la fretta di Renzi e, soprattutto, che mette a repentaglio i suoi effetti annuncio che – certo – influenzano l’opinione pubblica e si traducono in un crescente consenso, ma poi, nel concreto, mostrano il bluff. E la triste realtà. Ovvero che il governo Renzi è molto bravo a far credere di aver fatto, ma poi non mostra mai le carte del suo straordinario lavoro di “rottamazione” del sistema Paese. E nessuno sa se la rivoluzione c’è o resta una promessa.
E’ dall’inizio del governo Renzi che i testi dei provvedimenti adottati non vengono mostrati sul sito del governo contemporaneamente alla loro presentazione in conferenza stampa post Consiglio dei Ministri come è sempre avvenuto, invece, per i governi Monti e Letta. E bisogna attendere giorni, il più delle volte, per entrare in possesso di carte che gli uffici dei ministeri competenti riescono a scrivere solo dopo aver dato un’ordine ad appunti e bozze spesso pieni di errori oppure disorganizzati e confusionari, come se gli interventi legislativi fossero maturati senza un’attenta valutazione del quadro su cui vanno ad incidere per riformarlo. La smania di visibilità del governo produce strafalcioni. E dopo, metterci le mani è sempre faticoso. Soprattutto per il Quirinale. Che ora, appunto, ha dato un secco stop alla “ciatroneria” dell’invio di materiale legislativo “non del tutto lavorato e approfondito”.
Un po’ come è successo per la riforma del Senato; uscita da palazzo Chigi con le fanfare dopo il patto del Nazareno con Berlusconi, è arrivata sul tavolo di Anna Finocchiaro in commissione Affari Costituzionali come un’ossatura priva di qualsiasi contenuto; in pratica, un guscio vuoto. Tutto da riempire, tutto da studiare. Ma a sentir Renzi, sembrava già tutto fatto, pronto per il voto. Invece. Le scivolate del governo sulle carte che non ci sono e sui decreti che, improvvisamente, spariscono per poi riapparire sotto mutate spoglie (e con contenuti, spesso, diversi da quelli annunciati) cominciano ad affastellarsi in modo sempre più frequente. Ma quella della PA rischia di diventare un caso politico/istituzionale capace di un certo imbarazzo. Perché sembra che Renzi, alla fine, si sia scusato con il Colle per aver fatto “un po’ di confusione” sul fronte dell’impianto del nuovo sistema. E che, sempre per via della fretta dettata dall’incalzante cronoprogramma a cui lui stesso si sottopone con il governo (è di oggi l’ultimo crono/annuncio, “in 1000 giorni cambieremo il Paese”), abbia promesso di rimettere mano all’intero impianto della riforma. Quindi, ai decreti. Perché la ministra Marianna Madia dovrà rispacchettare tutto.
Dunque, venerdì prossimo, la riforma della PA ritornerà sul tavolo del Consiglio dei Ministri per essere divisa almeno in due diversi decreti. Almeno. Al Quirinale, infatti, si sono visti arrivare un indigeribile provvedimento monstre con dentro sia le “misure urgenti per la semplificazione e la crescita del Paese”, che quelle sulla “riforma della pubblica amministrazione”; decreto, il secondo, dilatato in 82 articoli e lungo 71 pagine e zeppo di materie inconciliabili tra di loro, questioni che spaziavano dal pubblico impiego alla magistratura, dall’anticorruzione alle invalidità delle patologie croniche, dalle fonti rinnovabili alle mozzarelle di bufala. I tenici del Colle, dopo una prima occhiata, si sono subito arresi: ancora troppe materie in un testo unico. E Napolitano ha fatto la voce grossa. Serviranno almeno due provvedimenti urgenti nuovi per chiudere “l’incidente”. Almeno due, si diceva. Il sottosegretario Graziano Delrio ha tentato una rassicurazione generale gettando acqua sul fuoco: “Le cose sono andate avanti, al momento non c’è nessun problema. E’ tutto finito, è tutto a posto”. Ma chissà quando riusciremo a vederne il contenuto della rivoluzione amministrativa renziana, targata Madia, e a capire se alle promesse e agli annunci spot sono seguiti davvero i fatti.
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