Matteo Renzi va a farsi bello a Bruxelles. E ci va con una forte trazione europeista che, sebbene l'Italia abbia incassato la concessione della cancelliera Angela Merkel di sforare sui conti pubblici, influirà negativamente sulle future misure economiche del governo. "In questi anni abbiamo dato l’impressione come classe dirigente del paese l’idea di un’Italia che considera il paese come un luogo altro - tuona il premier alla Camera - ma noi siamo in Europa quando usciamo la mattina di casa, quando ci guardiamo allo specchio, l’Europa non è qualcosa di altro da noi". Così, rivolgendosi a tutti i parlamentari ("indipendentemente dall'appartenenza politica e dal giudizio delle ultime elezioni"), annuncia di puntare a portare "in Europa un’Italia forte".
Dopo aver registrato dal presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy un documento che va nella direzione auspicata dal governo, Renzi parla alle Camere per tracciare le linee del semestre italiano a Bruxelles. Un discorso che, di fatto, apre la strada alla fitta agenda di appuntamenti europei: il Consiglio del 26 e 27, il discorso a Strasburgo il 2 luglio e l’incontro a Roma con la commissione europea il 4 luglio. Per il presidente del Consiglio il semestre europeo deve essere l'opportunità perché "la politica torni sempre più in Europa a sentirsi a casa propria e non sia una sorta di impedimento alle decisioni della burocrazia e tecnocrazia". A parole, si sa, è bravo. Così rimbalza da un ombiettivo all'altro schivando abilmente emergenze e problemi. Spiega, quindi, che non bisogna andare a Bruxelles con "la solita macchietta per cui l’Italia deve alzare la voce", ma ci si deve impegnare ad alzare "l’asticella delle ambizioni anziché la voce". Ma non spiega come. "L’Europa non può essere solo la terra di mezzo della burocrazia dove si vive di cavilli, vincoli e parametri - incalza - milioni di giovani non sono morti perché ci attaccassimo ai parametri".
Insomma, uno slogan dietro l'altro che nascondo il limite vero dell'Unione europea. Renzi aggira abilmente lo scontro sul futuro presidente della Commissione Ue ("Decidiamo prima dove andare, poi chi ci guida") così come tocca solo marginalmente una delle emergenze più stringenti: l'immigrazione di massa. Per il premier, infatti, il problema è che in Europa si sono viste prese di posizione "al limite della xenofobia", e non che l'operazione "Mare nostrum" ha attirato sulle coste italiane decine di migliaia di clandestini decretando così il fallimento delle politiche migratorie comunitarie. "Un’Europa che spiega al pescatore calabrese che non può pescare il tonno con una determinata tecnica ma poi quando ci sono i cadaveri si volta dall’altra parte, non è degna di chiamarsi Europa di civiltà - incalza - non basta avere una moneta, un presidente in comune, una fonte di finanziamento in comune: o accettiamo destino e valori in comune o perdiamo il ruolo dell’Europa davanti a se stesso". Sui risultati disastrosi di Mare nostrum, però, non una parola.
Per quanto riguarda il futuro del Paese, Renzi fa quello che gli riesce meglio: promette. Se da una parte promette che non verrà violato il tetto del 3%, dall'altra annuncia in pompa magna "un pacchetto unitario di riforme" che si sviluppa su un "arco di tempo sufficiente, un medio periodo politico di mille giorni: dal primo settembre 2014 al 28 maggio 2017". Si passerà dal fisco all'agricoltura, dal welfare alla pubblica amministrazione. Un piano omnicomprensivo che il premier si guarda bene dal dettagliare. Le promesse, guarda caso, sono le stesse che fece agli italiani quando andò a chiedere la fiducia al parlamento. "Viola il trattato chi parla solo di stabilità, non chi parla di crescita - spiega - non c’è possibile stabilità senza crescita. Senza crescita c’è l’immobilismo". Nell'agenda, ad ogni modo, Renzi trova lo spazio per infilare pure la lotta alla disoccupazione. "Oggi l’Italia ha la responsabilità di prendere la moneta e dire che non vogliamo inganni: rispettiamo le regole e vogliamo che le rispettino gli altri - conclude Renzi - ma o l’Europa cambia direzione di marcia o non esiste possibilità di sviluppo e crescita".
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