giovedì 9 maggio 2013
Sullo ius soli (punti di vista)
Ius sola di Davide Giacalone
Il problema è solo accessoriamente quello della cittadinanza, ma primariamente consiste nella regolazione dell’immigrazione. Il che comporta il contrasto della clandestinità. Quando si smetterà di parlare per frasi fatte e in latinorum, entrando nel merito delle questioni, molti si accorgeranno di star sostenendo il contrario di quel che credono di sostenere. Giusto per assaggio: il diritto di cittadinanza per nascita in loco (ius soli) non esiste e non può esistere in nessuna parte dell’Unione europea. Esiste negli Stati Uniti, dove, non a caso ma del tutto coerentemente, praticano la più dura politica contro l’immigrazione clandestina.
I romani praticavano quel principio come strumento imperiale, abili come furono ad espandersi e portare il diritto, come anche le strade e gli acquedotti. Il concetto era semplice: sei nato dentro i confini del mio impero, ergo sei soggetto alla mia autorità. Sembra una cosa brutta, ma per molti fu un’ottima cosa. In era successiva, dopo le guerre di religione, la cittadinanza per nascita comportò anche la fede per nascita. Tanto per restare al latino: cuius regio eius religio. Pace di Augusta, 1555. Sei nato qui, rispondi al tuo signore e professi la sua stessa religione. Non esattamente un tripudio di libertà, o il sol dell’avvenire. Nel mondo in cui viviamo, però, non si regolano diritti imperiali sulle popolazioni, ma flussi migratori dati dall’economia (ove fossero provocati da guerre o persecuzioni si chiamano in modo diverso, e quegli esseri umani sarebbero rifugiati, non immigrati). Se nel nostro mondo adottassimo lo ius soli metteremmo in moto una tragedia inumana, con barconi colmi di gravide. Partorendo qui il nuovo cittadino lo si farebbe diventare titolare di un diritto di ricongiungimento, con i propri genitori e con i propri fratelli. Così, in un sol colpo, importiamo dai tre ai dieci disoccupati che hanno diritto a tutto, ma a spese degli altri. Non è questione che sia giusto o sbagliato, è semplicemente impossibile. Difatti, ripeto, non c’è un solo angolo d’Europa dove s’adotti tale dissennatezza. Diverso, invece, è il caso di bambini nati da genitori non cittadini, ma regolarmente residenti in Italia. In questo caso, se in Italia rimangono, se il loro non è un felice evento di passaggio, è naturale che quel bimbo sia da considerarsi italiano. Cancellerei anche l’attesa della maggiore età e il giuramento, che può andar bene per chi diventa cittadino da adulto, non per chi lo è stato da lattante.
Quei bambini frequentano le stesse scuole dei nostri figli e parlano il loro stesso slang. Sono a tutti gli effetti uguali, nei diritti e nei doveri (ad esempio: se non vanno a scuola i loro genitori devono essere puniti). Un pargolo romano dai tratti orientali non puoi neanche immaginare di spedirlo, un giorno, nella provincia cinese da cui originano i suoi avi, perché di quel mondo non saprebbe nulla. Forse neanche la lingua. E’ romano. E’ italiano. Al diciottesimo anno, semmai, avrà la maturità e la consapevolezza per rifiutare, se lo desidera, tale opportunità: no, grazie, me ne torno in Moldavia, dove sono cittadino per diritto di sangue. Noi gli diciamo ciao e gli auguriamo buona fortuna. Quando Cécile Kyenge è stata nominata ministro responsabile di immigrazione e integrazione ho storto la bocca: un immigrato-integrato a occuparsi degli altri nella stessa condizione, o aspiranti a quella, ha un che di razzistico. O corporativo. Le sue prime parole mi hanno indotto a grande simpatia: non sono “di colore”, sono “nera”, ha detto. Brava. Bravissima. In “Indovina chi viene a cena” la cuoca sbotta: “questa casa è piena di negri”. Fausto Leali cantava: pittore, dipingi un angelo negro. Un film e una canzone contro il razzismo. Poi quel vocabolo ha assunto significato opposto, ma sono malate certe idee, non le parole. Di parole, però, ne ha poi dette tante, scontando l’inesperienza (cosa che la accomuna ad altri suoi colleghi). Quelle sullo ius soli erano fuori posto, ma alla fine utili. Adesso è chiaro il vero problema: regolare l’immigrazione, agevolare l’integrazione, favorire l’accesso di chi ci è utile (si deve anche scegliere), contrastare il mercato immondo dei barconi, rimpatriare chi viola la legge che regola l’ingresso, considerandolo reato, come anche la riduzione in schiavitù.
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