sabato 18 maggio 2013
Colle val d'elsa
A casa di Oriana ora c'è una moschea. Costata più di un milione e mezzo, l'hanno finanziata il Qatar e il Monte dei Paschi. Alla faccia della Fallaci di Gian Micalessin
Colle Val d'Elsa (Siena) - Lei ora c'è. Non è più solo un fantasma o un'evocazione. É un concreto, candido parallelepipedo di cemento adagiato tra i colli senesi. Una mezzaluna scintillante tra le nubi. Una cupola triste e nera tra gli ulivi. É la moschea di Colle Val d'Elsa. Quella che Oriana Fallaci voleva far saltare e su cui i leghisti volevano far pascolare i maiali. Un simbolo di convivenza per i suoi sostenitori. Un'icona del cedimento alla penetrazione islamica per chi vi si oppone. Degli antichi furori rimane poco. «Vieni, te la faccio vedere» borbotta la voce roca di Taher sussurrata da una laringe dove il bisturi ha spento le corde vocali. É tunisino, ha appena detto preghiera tra il tanfo di piedi di piazza Bartolomeo Scala, la sala di Colle Val d'Elsa adibita a moschea. «Vedi qui siamo stretti, ma se Dio vuole saremo in quella nuova prima del 10 luglio, prima dell'inizio del Ramadan» brontola mentre si fa largo tra l'ottantina di fedeli intenti a rimetter sandali e scarpe. Cinque minuti e ci siamo. Non è imponente come suggerirebbe l'immaginario delle polemiche. É uno svarione squadrato appoggiato in 2000 metri di parco. Uno scatolone di calcestruzzo simile a una brutta scuola elementare anni 60. Il minareto contro cui tuonava l'Oriana è diventato una simbolica torretta di vetro da cui, giura Taher, non s'affaccerà alcun muezzin, non riecheggerà alcuna chiamata alla preghiera. Dentro è il solito kitsch di lampadari dorati ancora inscatolati, tappeti verdi da srotolare, orpelli d'ottone d'appendere, libri da sistemare. Taher misura a piccoli passi il salone. «Qui nelle occasioni importanti ci verranno i fratelli di tutti i paesi vicini, lì invece - mostra un angusto corridoio diviso da un mezzo muro - lì ci mettiamo le donne... tanto vengono solo per le feste».
La nuova casa di Allah italiana la quarta dopo Roma, Palermo e Segrate, con la struttura architettonica di una vera moschea, avrà un costo finale di oltre un milione e mezzo di euro a fronte dei preventivati 800 milioni di lire bastati - a suo tempo - a scatenare furibonde polemiche. Oggi nessuno fa caso neppure ai 300 mila euro, usciti dalla Fondazione Monti di Paschi di Siena per volere di Giuseppe Mussari, il presidente arrestato dopo aver affossato l'istituto. Nessuno si cura neppure delle ingenti «donazioni» arrivati dalle fondazioni del Qatar. Le stesse usate dall'emirato per finanziare le comunità islamiche di tutto il mondo e favorire l'egemonia dei Fratelli Musulmani. Per la giunta comunale di Colle, dominata dal Pd e guidata dal sindaco Paolo Brogioni il protocollo d'intesa sulla moschea resta una bandiera, «un atto di altissimo profilo etico e politico al fine di conseguire l'obiettivo comune dell'accoglienza, dell'integrazione e della solidarietà...». In questo clima di normalizzazione anche il comitato anti moschea sembra in ritirata. «Il nostro comitato è solo ambientale, non si oppone alla moschea in quanto tale. Chiedevamo solo di farla altrove... di non concedere un parco destinato a verde pubblico senza oneri di urbanizzazione e per soli 11mila euro all'anno di affitto. Ci chiediamo perché il comune non intervenga dopo l'accertamento da parte della magistratura di due abusi edilizi» ripete Leonardo Fiore, 52 anni, consigliere comunale della Lista Civica nata per contrapporsi alla moschea.
La risposta allo sconcerto di chi si chiede perché dieci anni dopo il controverso progetto arrivi a compimento nella quasi indifferenza si chiama Izzedin Elzir. Questo elegante e gentile palestinese, poco più che quarantenne stabilitosi a Firenze nel 1991 per studiare design di moda è dal 2010 il presidente dell'Ucoii (Unione Comunità Islamiche d'Italia) la principale rappresentanza dei musulmani d'Italia. Con Izzedin l'organizzazione, arroccata in passato su posizioni conflittuali, ha imboccato la strada del sorriso e del confronto. Così anche la sua candidatura a primo imam della nuova moschea contribuisce a stemperare la contesa. «Ovviamente - spiega a Il Giornale - sarò un imam pro tempore nell'attesa di un successore italiano che conosca la cultura di questo Paese e possa predicare in italiano, l'unica lingua capace di unificare una comunità composta da musulmani slavi, asiatici e africani». Il verbo di Izzedin, sempre attento a suggerire voglia d'integrazione e d'adesione ai valori della Repubblica, è la versione italiana di quelle tesi sull'«islam europeo» propagandate dall'intellettuale musulmano Tareq Ramadan. Nipote dell'Hasan Al Banna fondatore dei Fratelli Musulmani e docente di teologia islamica ad Oxford, Ramadan è l'ideologo di un Islam dal volto gentile e dialogante, studiato su misura per le comunità musulmane europee. Un progetto considerato mistificante da quanti, in Francia, lo accusano di divulgare un modello «double face» inesistente nella pratica, ma perfetto per soddisfare le illusioni degli europei, alimentare la rivolta delle banlieu e avallare posizioni antisemite.
Non a caso l'8 maggio scorso il ministro dell'interno francese Manuel Valls e la collega Najat Vallaud-Belkacem, si son ben guardati, a differenza di Laura Boldrini e dei ministri Enzo Moavero Milanesi ed Emma Bonino, dal partecipare alla conferenza di Firenze sull'Unione Europea dov'era previsto l'intervento di Ramadan. Sospettato di essere al soldo del Qatar e di contribuire all'operazione di maquillage politico religioso con cui l'emirato alimenta l'illusione delle «primavere arabe» e di una democrazia islamica guidata dai Fratelli Musulmani l'intellettuale è al centro delle violente polemiche rilanciate oltralpe anche da Le Monde. In Italia resta, invece, l'ospite fisso delle principali conferenze dell'Ucoii. «Sono orgoglioso d'invitarlo e mi dispiace se i ministri francesi non riescano a percepire il messaggio d'apertura del suo pensiero» ribatte il presidente dell'Ucoii. Ezzedin del resto non si scompone neppure di fronte alle ambiguità dell'emirato che finanzia la sua moschea. Il Qatar, un regno assoluto dove non si è ancora svolta un'elezione legislativa e dove i partiti restano fuorilegge, è nel suo giudizio «un Paese assai aperto, guidato da un emiro intelligente che investe in maniera lucida e guarda allo sviluppo dell'umanità. Nelle loro aperture - ribadisce a Il Giornale - non vedo strategie nascoste, finché non mi pongono condizioni li ringrazierò e accetterò il loro aiuto».
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