venerdì 12 ottobre 2012
Il punto di vista di Giampiero Mughini
Premesso che sono convinto che per noi italiani in questo momento non c’è scampo al rigore fiscale fabbricato da Mario Monti, premesso che ho in orrore gli incitamenti alla «rivolta fiscale», premesso che il mio lavoro è fiscalmente individuato e che le relative tasse le pago tutte e sono orgoglioso di farlo, c’è che in materia di evasione fiscale vedo in giro una strabocchevole ipocrisia. Faccio un esempio. Ieri ho compiuto un gesto che favoriva l’evasione fiscale di uno che aveva lavorato per me. Scandalo? Niente affatto, la necessità la più cristallina ed elementare. Viene da me un artigiano per una riparazione in casa. Lavora venti minuti, forse qualcosa di più. Presenta una nota da pagare sull’unghia superiore a quella che ti chiederebbe un professore universitario per una visita medica accurata e specialistica. Pago sull’unghia. Naturalmente non mi passa neppure la testa di chiedergli la fattura e dunque un sovrappiù Iva del 21 per cento sulla bella sommetta che sto pagando. Ma così non si fa, mi direte. Così si favoriscono gli incassi in nero, i redditi sconosciuti al fisco, quei maledetti artigiani che non pagano le tasse. Assieme verissimo e fasullissimo. Ma come può il fisco credere che un pensionato o comunque qualcuno con un reddito da 1000 euro al mese possa convocare un idraulico o il tecnico che ripara la lavatrice e ammollargli in più un 21 per cento di Iva (fra pochi mesi diventerà il 22 per cento) senza batter ciglio e in nome della limpidezza fiscale? Sono fesserie clamorose, purtroppo in voga nel Paese principe della ipocrisia fiscale. Lo volete o non capire, cari amici del fisco, che noi contribuenti siamo allo stremo?
E a non dire che per molti lavoratori, siano essi idraulici o piccoli artigiani o piccoli commercianti o tassisti che sgobbano 12 ore al giorno, quel 20-30 per cento di evasione fiscale fisiologica permette loro di campare. Se i soggetti di cui sto dicendo dovessero pagare al cento per cento le tasse previste dall’attuale regime fiscale italiano chiuderebbero domattina, o comunque sarebbero costretti a mangiare non più di una volta al giorno. «Quel po’ che evado fiscalmente è quello che mi permette di pagare gli studi a mia figlia», m’ha detto una volta un tassista che aveva l’aria di essere una brava persona. Tutto questo il fisco lo sa benissimo. È vero che noi italiani in materia di evasione fiscale siamo primissimi fra tutti i Paesi industrializzati, ma è da ipocriti negare che uno zoccolo (non piccolo) di quell’evasione fa vivere e funzionare una parte del Paese, permette loro di mettere in tavolo qualcosa all’ora di cena. Uno zoccolo che con l’attuale regime fiscale va ad aumentare e non a diminuire, contrariamente a quel che pronunzia la retorica corrente. Quello che mi raccontava un amico che fa un po’ il mio lavoro, andare in giro a presentare libri, a organizzare dibattiti: «Per andare in una città dove tra andata e ritorno ci mettevo due giorni, una volta mi davano duemila euro lordi o anche qualcosa di più. Su quella somma ce la facevo a pagare il 50 per cento e passa di tasse, nel senso che qualcosa me ne rimaneva. Adesso per quello stesso lavoro mi offrono 500 euro lordi, e io come faccio a pagarci sopra il 55 per cento di tasse? Me ne sto a casa e mi lavo i piatti, così risparmio sulla colf». Detto altrimenti, il mio amico quel lavoro lo farà solo se glielo offrono in nero. È una questione di sopravvivenza. Evadi fiscalmente perché altrimenti non sopravvivi.
Il fisco tutto questo lo sa benissimo. Il fisco racconta una verità della società italiana che è una solenne bugia di cui è perfettamente al corrente. Il fisco tratta i redditi da 75mila euro lordi come se fossero redditi da nababbi, ma lo sa benissimo che non è così. È come se strizzasse l’occhio al contribuente, io ti concio per le feste su quei 75mila euro ma non ti disturbo minimamente su quegli altri 25-30mila che ti guadagni e che ti godi come vuoi. E ha funzionato così per anni, i tempi in cui gli avvocati, i medici, i piccoli imprenditori, i riparatori di auto, i titolari di ristoranti dichiaravano al fisco redditi di cui era palese quanto fossero bugiardi. Il fisco ammiccava, faceva finta di crederci, picchiava duro sulla cifra dichiarata, tanto c’era tutto il resto con cui il libero professionista poteva sgavazzare a ostriche e sgualdrine. È stato il tempo in cui il fisco ha costruito un’architettura dell’orrore fatta non solo di aliquote belluine, ma di tempi di pagamento asfissianti, di acconti dovuti allo Stato a fargli dei prestiti a tasso zero. Ancora ancora, al tempo delle vacche grasse il popolo dei contribuenti ha retto questo supplizio. Non so voi, ma a me mio padre ha insegnato a fare i conti e vedere che rapporto c’è tra spese e entrate. Ce l’ho qui accanto al computer su cui sto scrivendo, la pila degli F24 da pagare da adesso a fine anno. Il rateo Iva di novembre, il secondo rateo 2012 della monnezza, il secondo acconto Irpef di fine novembre, il rateo conclusivo dell’Imu di dicembre, lo straziante acconto Iva di fine anno. Roba che un contribuente onesto neppure se lo sogna di arrivare a pagarli. Neppure se lo sogna, e tanto più che quelli che ti devono pagare non hanno una lira e non puoi farci nulla. Ovviamente io non nascondo nulla di quello che devo pagare, solo che non ce la farò a pagarlo al cento per cento. Da cui penali e interessi. No, non è un’agenzia fiscale. È un’associazione camorristica.
Ps. Beninteso se uno è un evasore notevole o totale, dipendesse da me lo possono appiccare per i piedi in una pubblica piazza e usarlo come orinatoio per i cani. Non è di loro che stavo parlando.
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