sabato 30 agosto 2014
La troika ringrazia
Renzi: missione compiuta! di Eugenio Orso
1. Renzi imposto all’Italia
Sì. Missione compiuta o in via di rapido compimento per il pericoloso guitto mediatico-subpolitico fiorentino. Il governo Renzi, collaborazionista della troika, sta raggiungendo uno dopo l’altro i suoi veri obiettivi nel paese, pur con qualche relativa difficoltà e qualche ritardo sulla tabella di marcia. Mi riferisco agli obiettivi non dichiarati, opposti alle promesse renziano-piddine fatte agli italiani. Per la buona riuscita dell’operazione e per imporsi nel paese, il terzo, piccolo Quisling in ordine di apparizione – dopo il “capostipite” Monti e il transitorio Letta – ha potuto godere di molti, importanti sostegni. Una maggioranza, creata ad hoc, nel principale partito euroservo e filo-atlantista italiano, ossia il pd. L’appoggio determinante dei suoi padroni (troika, grande capitale finanziario, unione europoide, usa, mercati&investitori). La visibilità offertagli dall’apparato ideologico-massmediatico e un certo sostegno della cosiddetta stampa internazionale. Il consenso di massa abbondantemente idiotizzato, estorto con slogan e false promesse. Renzi è stato subdolamente imposto all’Italia da un complesso di forze ultraliberiste, legate alla dimensione finanziaria, che usa come arma, per il controllo politico del paese e delle sue fatiscenti istituzioni, il partito democratico, inteso come serbatoio inesauribile di pedissequi che seguono fedelmente il padrone sopranazionale e di imbroglioni subpolitici, che ingannano con grande abilità la popolazione. Anche se il suddetto ha “vinto le primarie” e ha fatto fare al pd il pieno dei voti nelle europee di maggio, possiamo affermare che si è affermato con l’inganno e la manipolazione, non solo mediatica. Con Monti, Letta, Renzi, siamo entrati nella fase finale dell’”operazione Britannia”, simbolicamente pianificata nel 1992 durante la breve gita sul panfilo della corona britannica, cioè stiamo arrivando rapidamente alla “soluzione finale” del problema Italia nell’economia globalista. Il cerchio non si chiuderà con Renzi, che farà una parte significativa del lavoro per “normalizzare” in senso ultraliberista e globalista il paese, trattenendolo grazie alla sua “popolarità” e alla sua immagine truffaldina. Dopo di lui, ci sarà probabilmente un governo-troika guidato dal “liquidatore finale”, non di origine subpolitica, ma squisitamente “tecnica”, che porterà l’opera a definitivo compimento con modi spicci.
2. Come Monti e più di Monti
Renzi trionfa, spaccia i risultati delle elezioni europee per risultati di elezioni nazionali, al fine di legittimarsi furbescamente con oltre il 40% dei consensi, e le opposizioni nel parlamento liberaldemocratico mostrano tutta la loro vergognosa inconsistenza, nonché l’assenza di vere alternative al programma piddino. Che poi è semplicemente il programma imposto nel 2011 dalla troika, con la bce a dettare le linee di politica strategica per il terzetto (5 agosto 2011, Francoforte/Roma, lettera Trichet-Draghi). Nonostante lo jobs act annunciato e gli 80 euro erogati (ma non a tutti), il cambiamento in cui Renzi pare indaffarato vuol dire, sotto la superficie degli annunci e delle elemosine elettorali, inderogabile impegno “per condizioni di bilancio sostenibili e per le riforme strutturali” (esattamente come prescrivono nella loro lettera Trichet e Draghi). Naturalmente la “sostenibilità” dei bilanci pubblici è legata alle dinamiche neocapitalistico-finanziarie, che dominano l’eurolager imponendo tagli lineari alla spesa, e le riforme strutturali vanno contro lavoratori e pensionati. Quel che è peggio, è che una parte rilevante, in questo caso decisiva, della popolazione italiana segue a ruota, come un branco di pecore, e scambia Renzi per una specie di salvatore del paese, così come è accaduto, all’inizio, con il primo Quisling “mandato” d’autorità dai poteri esterni, ossia Mario Monti, che l’apparato ideologico, subpolitico e massmediatico al gran completo vendeva, appunto, come il “salvatore”.
Per imporsi e ottenere gli “splendidi” risultati concreti ai quali, poi, accenneremo, continuando sulla strada di Monti, con l’acquiescenza del rieletto Napolitano (basista istituzionale) e il favore della stampa, Matteo Renzi ha potuto contare segretamente su tutto il pd. Anche se l’apparato del partito collaborazionista ha finto un’opposizione interna al bulletto fiorentino, per trattenere voti e tessere di eventuali scontenti e per simulare pluralismo, ne ha segretamente favorito l’ascesa, a partire dalla vergognosa sceneggiata delle primarie per la segreteria nazionale (8 dicembre 2013, Renzi contro Cuperlo), in cui il vincitore era predeterminato. Poi l’escalation renziana è stata rapida, perché la situazione e la troika lo imponevano. Letta era da mettere da parte, da archiviare nel breve, per evitare fastidiosi problemi elettorali e di consenso. Con l’insipido, burocratico e poco “telegenico” Enrico Letta ancora al governo, i migliori collaborazionisti del grande capitale finanziario, in Italia, avrebbero rischiato di perdere la presa sul paese. Urgeva un nuovo esecutivo emanazione dei poteri forti esterni, il terzo dalla fine del 2011, che continuasse con determinazione l’”opera”, iniziata da Mario Monti, di privatizzazione completa e di definitivo annichilimento di questo paese.
Il punto centrale, per capire la strada seguita dai tre governi di Quisling non eletti che si sono succeduti in Italia, è la diabolica combinazione fra trattati europei, da rispettare fino in fondo, senza inopportune concessioni alla “flessibilità”, e l’ormai arcinota lettera della bce del 5 agosto 2011, che delineava le linee strategiche del programma. Il vero programma politico del governo collaborazionista piddino-renziano, tenuto conto di quanto precede, è di facile individuazione, e così i risultati concreti ai quali si tende.
Nonostante le sparate propagandistiche di Renzi, che millanta di voler sfruttare la flessibilità concessa dalle regole europee, la ferrea norma del rapporto del 3% fra deficit e pil è rispettata in modo maniacale, anche se la motivazione renziana è che si fa così per se stessi, perché è giusto e “non perché lo dice la Merkel”. Infatti, secondo l’abile parolaio e saltimbanco del capitale finanziario, “Dobbiamo rispettare tutti gli impegni, compreso il 3% del rapporto deficit-Pil, e non perché lo dice la Merkel ma perché è giusto.” Renzi continua sulla strada di Monti e anche le sue dichiarazioni lo rivelano, perché Monti aveva dichiarato, nel giugno del 2012, qualcosa di simile, ad uso e consumo propagandistico interno: “La Merkel dice che l’Italia ce la fa, ma l’Italia ce la fa non perché lo dice la Merkel”. I trattati europei non si discutono, ma si applicano a qualsiasi costo, e questo Renzi l’ha ben presente, esattamente come Mario Monti. Se violasse questa regola, imposta dai padroni che lo tengono al guinzaglio (e gli gettano l’osso da spolpare sotto il tavolo), salterebbe il banco, cioè il sistema di potere neocapitalistico in Europa chiamato unione europea. Addio moneta comune e strumenti di dominazione elitisti. Si tratterebbe allora – e qui sta l’inghippo – “di utilizzare tutti i margini e le flessibilità già previsti dall’attuale Patto di stabilità e crescita”. Ciò vorrebbe dire, secondo Renzi e i suoi compari, escludere dal computo del 3% alcune voci. Come? Non conteggiando nel deficit il cofinaziamento dei fondi strutturali europei (i 43 miliardi aggiunti da Roma fra il 2014 e il 2020, qualche miliardino del tutto insufficiente ogni anno) e altre, sparute, spese per investimenti. Davanti alla drammatica crisi che sta attraversando il paese è chiaro che la “flessibilità”, secondo Renzi insita nei trattati europei, anche se sfruttata appieno non costituirebbe che un palliativo, perché per uscire dal circolo vizioso della crisi strutturale neocapitalistica è necessario cambiare radicalmente le politiche economiche, riacquisendo la piena sovranità monetaria, uscendo dall’unione europoide e stracciando i trattati-capestro imposti al paese. Purtroppo, con Renzi e il pd saldamente al potere, non solo ciò non potrà accadere, ma seguiremo la stessa direzione di marcia dell’esecutivo Monti, fino alla fine.
Anche se il famigerato “pareggio strutturale di bilancio”, che comporterà sofferenze aggiuntive per milioni di italiani, potrà subire qualche ritardo – una semplice modulazione dei tempi, secondo il bieco Padoan all’economia – la strada è segnata e da questa non si può deviare. Si tratterà, in pratica, di soddisfare i bisogni finanziari della pubblica amministrazione massacrando ancor di più la popolazione, con tagli indiscriminati alla spesa pubblica e sociale e/o con ulteriori aggravi della pressione fiscale su famiglie e imprese. Renzi, pur tuonando contro il rigore contabile fine a se stesso, e invocando con la foga di un attore professionista “la crescita”, rispetterà fino in fondo il fiscal compact, che prevede la riduzione forzata del debito pubblico eccedente il 60% del pil, nell’arco temporale di un ventennio. Quanto sarà pesante la ruberia elitista del fiscal compact, dal 2015? C’è chi dice 7 miliardi l’anno, e chi ipotizza, più realisticamente, oltre 35 miliardi, se non proprio 50 con il peggiorare del pil. C’è da mettere in conto anche lo spettro incombente del cosiddetto european redemption fund, per costringere gli stati indebitati e privi di sovranità come l’Italia, ridotti a “saldi da fine stagione”, a conferire nel fondo i loro averi patrimoniali, a garanzia del rientro dal debito per la parte eccedente il 60% del pil. In pratica, dentro la camicia di forza europoide dei trattati imposti e delle politiche del rigore selvaggio, si venderanno gli asset italiani – privatizzazione automatica! – per ridurre il debito pubblico nelle proporzioni volute con il prodotto.
3. L’Italia affonda, ma Renzi porta a compimento la sua missione
E’ soltanto un caso, ma leggo or ora sull’Ansa del primo sciopero a catena dei lavoratori di Eataly in Firenze. L’amichetto faccendiere di Renzi, quell’Oscar Farinetti che incassa col cibo italiano (alti cibi) e pontifica stronzate, fingendo di creare lavoro, vorrebbe non rinnovare i contratti precari a termine di molti giovani, riducendo alla metà il personale. Giovani precari (e non precari) tutti in strada. Nella notizia di agenzia, si aggiunge che lo store fiorentino è stato inaugurato alla fine dello scorso anno, da Farinetti in persona, con la partecipazione dell’allora sindaco Matteo Renzi. Qualcuno afferma addirittura che Farinetti è un consigliere di Renzi, forse non “accademico” come lo fu Ichino sulle questioni del lavoro, ma comunque ascoltato. Infatti, Farinetti consiglia al suo compare che ha fatto carriera di tirare ancora “due o tre bastonate grosse”. Ad esempio concedendo uno sgravio fiscale “potente” alle imprese, ma solo a quelle che esportano e vendono all’estero, per invogliare a esportare di più (che si fotta il mercato interno!), poi mettere un tetto alle pensioni (i pensionati sono un peso, non servono, per loro niente ottanta euro!) e abolire le regioni autonome (che non si provino a erogare troppi stipendi e a dare troppo lavoro alla plebe!). Lo sciopero a Eataly, proclamato per scongiurare i licenziamenti a tappeto dell’insulso e arrogante Farinetti, pur essendo un caso, ha un certo valore simbolico. Rappresenta la reale condizione del lavoro, non soltanto giovanile in Italia, nonostante le menzogne renziano-piddine e la cortina fumogena delle annunciate riforme.
Mentre Grillo – ormai in completo marasma? – invoca il ritorno dei Rolling Stones per una grande manifestazione al Circo Massimo(!) e i suoi parlamentari manifestano simpatia e comprensione nei confronti dello stato islamico, Renzi porta a compimento l’”opera” per la quale è stato ingaggiato dalle élite neocapitaliste occidentali. E’ solo questione di tempo, ma le privatizzazioni procederanno, come raccomandato nel 2011 per lettera dalla bce: “È necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali. Questo dovrebbe applicarsi in particolare alla fornitura di servizi locali attraverso privatizzazioni su larga scala.” Fine del cosiddetto socialismo dei comuni, servizi pubblici che diventano privati a caro prezzo per tutti. Di recente, l’operazione “spending review” ha messo non a caso in rilievo l’antieconomicità di molte partecipate dagli enti locali, almeno una su quattro con un rendimento negativo rispetto al r.o.e. (reddito netto aziendale / capitale proprio). Altro punto cruciale del programma della bce per l’Italia è il seguente: “C’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione.” Anche qui siamo a buon punto ma Renzi continuerà l’opera. “Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti”, è un elemento programmatico bce che si lega al precedente, e la revisione renziana è già cominciata con il decreto Poletti, poi ci sarà il jobs act o qualche altra porcata simile per eseguire gli ordini del padrone. La bce avrebbe voluto il pareggio di bilancio in tempi più brevi ma Renzi, che difende tutti i trattati-capestro europoidi pur invocando maggiore flessibilità, intende arrivarci quanto prima. Si impone la revisione del sistema pensionistico, alla quale ci ha già pensato il governo Monti con la riforma Fornero creando gli “esodati”, e il taglio dei costi del pubblico impiego, se necessario, voluntas bce/troika, riducendo gli stipendi al pubblico impiego. Nessun problema, fra congelamento degli aumenti contrattuali e blocco del turnover, ampiamenti praticati dai governi collaborazionisti della troika, quello di Renzi compreso. La revisione dell’amministrazione pubblica per assecondare le esigenze delle imprese, raccomandata da Francoforte, è un “cavallo di battaglia” renziano. Il vero programma di Renzi e del pd fa dunque riferimento alle sezioni 1, 2 e 3 della citata missiva e da quella linea, socialmente genocida, non ci si scosta.
Quali sono i veri effetti del programma politico applicato all’Italia da Monti in poi? Oggi sono ben visibili e i media non possono nasconderli. Deflazione già arrivata, disoccupazione in aumento, con mille disoccupati in più ogni giorno di luglio, emorragia di produzione industriale (40% in meno dall’inizio della crisi?), consumi interni in calo, pressione fiscale altissima che aumenterà ancora. Se Monti ha ammesso di aver distrutto il mercato interno, cosa dovrà ammetterà, alla fine, Renzi? Tuttavia sta portando a termine la sua missione, perché sono proprio questi gli effetti voluti dalla troika per sottomettere (e saccheggiare) definitivamente questo paese. Anche gli ottanta euro hanno raggiunto i loro veri scopi, pur non avendo avuto il ben che minimo impatto positivo sui consumi nazionali (e di prodotti nazionali). Hanno portato consenso alle europee, ingannando ancora una volta il popolo bue, preda dei collaborazionisti pd. Renzi non arriverà al 2018, come ama dichiarare, così come il suo compare euroservo Hollande, amico della mafia corsa e della classe globale dominate, potrebbe non arrivare alle presidenziali francesi del 2017. Dopo Renzi ci sarà un governo dichiaratamente “troikista”, imposto in una situazione drammatica e guidato da un “tecnico” senza scrupoli (e senza l’assillo dei quozienti elettorali), ma naturalmente appoggiato dal pd. A quel punto, se non proprio oggi, Renzi potrà ben dire: missione compiuta!
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