sabato 18 gennaio 2014
E senza chiedere permesso...
Una “bomba” tossica, estremamente pericolosa per l'ambiente, minaccia
la salute pubblica e l'economia dei paesi del Mediterraneo centrale, ma
anche tutto il mare Mediterraneo, inteso come un mare chiuso e già
seriamente contaminato. L'arsenale chimico della Siria inizialmente era destinato a essere
neutralizzato in Albania ma, dopo le forti proteste pubbliche in quel
paese e nonostante i generosi benefici contributivi offerti dagli
americani, il governo è stato costretto a declinare “l'offerta”, e così
questo arsenale sarà distrutto nella zona di mare ad ovest di Creta, con
la connivenza delle autorità greche, italiane e maltesi. L'allarme è dato dagli scienziati di Democritos (N.d.T. Centro
Nazionale di Ricerca Scientifica) di Atene e del Politecnico di Creta,
che parlano di “completa distruzione dell'ecosistema e del turismo”. Secondo il collaboratore scientifico di Democritos ed
ex presidente dell'Unione dei Chimici Greci, Nikos Katsaros, "se una
tale neutralizzazione delle armi chimiche verrà effettuata tramite il
processo di idrolisi, si può parlare di uno scenario da incubo. Si
tratta di un metodo estremamente pericoloso, con conseguenze
imprevedibili per l'ambiente mediterraneo e i popoli vicini. Questi effetti saranno la necrosi completa dell'ambiente interessato e
l'inquinamento marino tra il mare Libico ed il mare di Creta. Il pesce
sarà avvelenato dalla contaminazione, così come la popolazione che lo
consumerà". Da notare inoltre che il punto del mare prescelto è
all'incirca lo stesso usato per l'inabissamento di sostanze tossiche
gestite in passato dalla mafia ( http://www.haniotika-nea.gr/media/2014/01/224.jpg ). Solitamente le sostanze chimiche vengono distrutte tramite
combustione in aree specifiche dotate di opportune infrastrutture.
Queste aree esistono da tempo e svolgono questo tipo di operazioni negli
Stati Uniti, in Germania, Francia, Russia, Cina ed altri paesi da molti
anni. In questo caso però, trattandosi di un problema politico, nessuno
vuole assumersi la responsabilità. Così ricorrono al metodo di idrolisi
in mare aperto, nonostante, per ammissione indiretta degli americani
stessi, questo metodo sia particolarmente pericoloso: infatti, il mare
Mediterraneo è stato scelto proprio perché chiuso. Negli oceani la
contaminazione ci sarebbe stata lo stesso, ma la dissoluzione delle
sostanze sarebbe stata agevolata dalla più grande quantità d'acqua. In
un mare aperto però la possibilità di onde marine di grande altezza e
quindi di incidenti è sostanzialmente maggiore. Di un grave rischio parla il professor Evangelos Gidarakos del
Politecnico di Creta, che ha lanciato l'allarme alle autorità greche, le
quali appaiono in disparte in questo processo. "Queste sostanze chimiche sono miscele di sostanze pericolose e
tossiche, che non sono in grado di essere inattivate in modo da non
causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo",
sottolinea. “Questa zona tra l'Adriatico e il Mediterraneo era diventata
'un cimitero di prodotti chimici' dalla mafia italiana, che aveva
immerso in un periodo di 20 anni circa 30 navi cariche di vari tipi di
sostanze e rifiuti chimici, come è stato rivelato in questi ultimi
anni”. Secondo annunci ufficiali, le armi chimiche, dopo essere trasportate
dalla Siria, saranno caricate in Italia nel recipiente di titanio della
nave americana Cape Ray e saranno distrutte col processo di idrolisi in
acque internazionali tra l'Italia e la Grecia, nel tratto di mare tra
Malta - Libia - Creta. La procedura per la distruzione dell'arsenale
chimico della Siria dovrebbe durare circa tre mesi. Non vengono forniti
ulteriori dettagli. Il professor Gidarakos però ha molti dubbi. “L'armamento chimico
della Siria consiste di due parti”, dice. “Esistono 1.250 tonnellate di
armamenti 'principali' come i gas sarin e i gas mostarda ed altre 1.230
tonnellate di sostanze precursori che sono utilizzate per la
fabbricazione delle armi vere e proprie. Queste sostanze, principalmente
composti chimici di cloro e fluoro, sono di per sé altamente velenose e
tossiche. E poi esiste una gamma di altre sostanze acquistate dalla
Siria dopo l'embargo per cui sono sia di provenienza sia di natura
ignota. Anche prendendo per buone le 1.500 tonnellate ufficialmente
dichiarate, non credo che tutto possa essere concluso in soli tre mesi.
Ci vorrà probabilmente il triplo di questo tempo, sempre che non
succedano degli spiacevoli imprevisti”. Il professor Gidarakos sostiene che l'idrolisi di tutto questo
quantitativo pericoloso produrrà una terza componente tossica che sarà
formata direttamente nelle acque marine. Perché l'idrolisi non è più un
processo relativamente sicuro come nel passato (p. es. durante la
neutralizzazione delle armi chimiche della 2a Guerra Mondiale al largo
del Giappone) in quanto oggi l'idrolisi produce anche degli scarti in
forma liquida, cosa che non succedeva nel passato. Aggiunge inoltre che si sarebbe aspettato un comportamento più
responsabile da parte dell'Organizzazione per il Divieto delle Armi
Chimiche, un'organizzazione direttamente coinvolta in questa faccenda,
che pochi mesi fa aveva fortemente sconsigliato la neutralizzazione di
tali sostanze in alto mare. “Tutta questa storia ricorda molto un'operazione militare ed ha poco di scientifico”, conclude. Intanto qui cominciano a circolare le varie “voci”. C'è persino chi
parla della reale possibilità di condizioni che "non permetteranno a
chiunque di nuotare" nelle spiagge di Creta per (almeno) i prossimi 5
anni. Catastrofisti, certo. E il primo che ci rimette, oltre al turismo,
è il morale del già martoriato popolo greco. Ma, pensandoci bene, chi
gli può garantire il contrario?
Un corrispondente volontario dalla Grecia
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