Bd’I è l’acronimo di Banca d’Italia, ma si può anche supporre che significhi: Banda d’Incapaci. Un’operazione nata malissimo, che il ministro dell’economia ha battezzato in modo scorretto e demenziale (public company), si sta trasformando in una trappola senza uscita. Dando un vantaggio alla banca centrale tedesca, seguendo i cui dettami finiremo strangolati e pronti a svendere banche, assicurazioni e patrimonio. Non ne racconto nuovamente gli inquietanti particolari, perché già tre volte forniti ai nostri lettori. I quali, del resto, sono pressoché gli unici a saperne qualche cosa, dato che altrove vige il silenzio. La sostanza è che si fa finta che un patrimonio pubblico (Bankitalia) sia privato, nella disponibilità delle banche (allora pubbliche) cui, nel 1936, furono intestate le quote. Da qui si parte per la rivalutazione (necessaria e giusta) al fine d’ottenere due risultati: a. ripatrimonializzare quelle banche (cioè mettere soldi pubblici al posto dei soldi privati, ma lasciandole nelle mani dei privati che non cacciano un soldo); b. far incassare al governo il dividendo fiscale (pari al 12%). Stanno correndo come pazzi, in modo da mettere tutto già nei bilanci del 2013. Ma stanno correndo contro a un muro. Ciò perché, per dare a quelle quote un valore reale, quindi iscrivibile a bilancio, è necessario che siano negoziabili. Almeno teoricamente. Per rendere credibile questa finzione si erano inventati, e avevano scritto in un decreto legge (che al Quirinale avevano firmato, perché finì il tempo dell’occhiuto controllo avverso le castronerie e la coerenza tematica), che quelle quote, rivalutate, potevano anche essere vendute all’estero. La commissione finanze del Senato, però, ha cambiato indirizzo: no, potranno essere comprate solo da soggetti italiani. E qui cascano gli asini.
E’ ovvio che avere una banca centrale posseduta da stranieri è cosa che poteva venire in mente solo a degli sconclusionati, ma aveva il senso, appunto, di dare un valore reale alle quote, se, invece, deve restare tutto italiano chi è che mette i soldi veri per darli a poche banche? Le altre banche? Come dire che alla Barilla compreranno solo pasta De Cecco, per aiutare la concorrenza. Allora ecco spuntare il Consiglio superiore di Bankitalia, che avrà il compito di stabilire chi potrà comprare, sicché, alla fine, si proporrà alla banca centrare, entro 36 mesi, di comprare essa stessa le quote di sé medesima. Quindi gli italiani faranno due regali a quelle banche (Intesa San Paolo e Unicredit): il primo donando loro un patrimonio collettivo e il secondo ricomprandolo con soldi di tutti, ma assai rivalutato. Un affarone. Già che c’erano, in commissione, hanno stabilito che gli odierni proprietari potranno trattenere solo il 3%, e non il 5, come previsto dal decreto. Traduzione: dovremo dare loro ancora più soldi. Vabbe’, ma in questo modo si salvano le banche, ripatrimonializzandole. Dite? La Bundesbank ha già chiarito che possiamo scordarcelo, facendo valere la propria posizione nel parere inviato dalla Banca centrale europea: una cosa (le quote) ha valore se negoziabile, altrimenti stiamo giocando con i soldi di Topolinia. E i soldi finti, la moneta immaginaria, non ha corso legale.
Quindi la Bd’I, la Banda d’Incapaci, ha messo su un’operazione obbrobriosa, una maxi-patrimoniale che gli italiani non avvertono come tale solo perché non entra in casa loro, finalizzata a ottenere quel che non si otterrà. Però, se le banche pagano il 12% (e sottolineo “se”), quadreranno i conti pubblici e si coprirà il buco dell’Imu. Che è come barattare un diamante da un chilo con un bicchierino di cordiale, consumato in un sorso. Si continua a perdere tempo con i trucchetti, fingendosi furbi gli allocchi, lasciando i problemi insoluti e posticipando uno schianto che non meritiamo (le banche malate, salvate anche con i soldi nostri, sono quelle tedesche). Senza che neanche se ne parli. Si conciona sul sistema elettorale, che, per carità, è pure un bel tema. A patto che la si faccia finita prima che abbiano distrutto anche la Banca d’Italia.
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