Aveva ragione Giuliano Zincone: per risollevare l'Italia bisognerebbe cambiarne la ragione sociale iscritta nella Costituzione: «Basta con è una Repubblica fondata sul lavoro», e proponeva un'alternativa: «L'Italia è un granducato che promuove il divertimento. Sarebbe post moderno -, chiosava il giornalista come ci ha ricordato Il Foglio in occasione della sua scomparsa - incoraggerebbe il turismo e rilancerebbe il Carnevale di Venezia». Un sagace motto di spirito, ma non da prendere alla leggera. Perché è inutile il mantra del rilancio del turismo e ficcarlo in tutti i triti programmi politici se poi il Paese intero ha messo all'indice il divertimento, come mostra la classifica elaborata da Trip Advisor per Il Giornale. Certo, c'è la crisi a frenare la voglia di spassarsela, ma far vivere le città anche di notte non darebbe una spintarella alla nostra scassata economia? E non solo: popolare le strade quando sono buie le rende più sicure ed è un antidoto al male di vivere che ci portiamo tutti dietro come quei pesi che si legano alle caviglie per fare esercizio. Ma così esercitiamo solo quest'umore di piombo che è la vera palla al piede d'Italia. Non è un caso che sul podio delle movide più pallide Roma e Milano salgano insieme a Parigi. Quest'estate un sondaggio globale vedeva i francesi indossare la maglia nera di popolo più pessimista sui 51 sondati dalla Gallup. E la scorsa settimana Frank Bruni, italoamericano ex corrispondente dall'Italia del New York Times, ha firmato un pezzo dal titolo eloquente: «L'Italia ti spezza il cuore». Spiegava con rammarico che abbiamo l'aria di aver fatto festa per anni ed esserci risvegliato con una sbronza triste. E il sito del quotidiano si è riempito di commenti di stranieri che vivono nel nostro Paese, tutti col tono da innamorati delusi. Vogliamo riconquistarli? Cominciamo dal combattere quest'ultima sfumatura di cultura del «no» che ci soffoca, l'effetto «nimby» che, dopo il nucleare e i termovalorizzatori, ha contagiato pure la nostra vita notturna. Possibile che non ci sia via di mezzo tra orde di ubriachi che insozzano le strade e tengono sveglio chi vuol dormire e il mortorio generalizzato? La verità è che ci stiamo rassegnando all'incapacità di gestire i grandi fenomeni. Negli stadi ci sono i cori razzisti? E noi chiudiamo gli stadi anziché rinchiudere i «coristi». La nostra classe dirigente farebbe meglio a riflettere: se in Italia dovessimo chiudere tutto quel che non funziona, in tanti vorrebbero cominciare dai palazzi del potere.
lunedì 4 novembre 2013
Idiozie varie
La cultura del "no a tutto" uccide pure il divertimento. Un Paese sopraffatto dal pessimismo e dagli interessi localistici, che si arrende a scelte assurde. Cori razzisti negli stadi? E noi chiudiamo gli stadi anziché i cori di Giuseppe Marino
Aveva ragione Giuliano Zincone: per risollevare l'Italia bisognerebbe cambiarne la ragione sociale iscritta nella Costituzione: «Basta con è una Repubblica fondata sul lavoro», e proponeva un'alternativa: «L'Italia è un granducato che promuove il divertimento. Sarebbe post moderno -, chiosava il giornalista come ci ha ricordato Il Foglio in occasione della sua scomparsa - incoraggerebbe il turismo e rilancerebbe il Carnevale di Venezia». Un sagace motto di spirito, ma non da prendere alla leggera. Perché è inutile il mantra del rilancio del turismo e ficcarlo in tutti i triti programmi politici se poi il Paese intero ha messo all'indice il divertimento, come mostra la classifica elaborata da Trip Advisor per Il Giornale. Certo, c'è la crisi a frenare la voglia di spassarsela, ma far vivere le città anche di notte non darebbe una spintarella alla nostra scassata economia? E non solo: popolare le strade quando sono buie le rende più sicure ed è un antidoto al male di vivere che ci portiamo tutti dietro come quei pesi che si legano alle caviglie per fare esercizio. Ma così esercitiamo solo quest'umore di piombo che è la vera palla al piede d'Italia. Non è un caso che sul podio delle movide più pallide Roma e Milano salgano insieme a Parigi. Quest'estate un sondaggio globale vedeva i francesi indossare la maglia nera di popolo più pessimista sui 51 sondati dalla Gallup. E la scorsa settimana Frank Bruni, italoamericano ex corrispondente dall'Italia del New York Times, ha firmato un pezzo dal titolo eloquente: «L'Italia ti spezza il cuore». Spiegava con rammarico che abbiamo l'aria di aver fatto festa per anni ed esserci risvegliato con una sbronza triste. E il sito del quotidiano si è riempito di commenti di stranieri che vivono nel nostro Paese, tutti col tono da innamorati delusi. Vogliamo riconquistarli? Cominciamo dal combattere quest'ultima sfumatura di cultura del «no» che ci soffoca, l'effetto «nimby» che, dopo il nucleare e i termovalorizzatori, ha contagiato pure la nostra vita notturna. Possibile che non ci sia via di mezzo tra orde di ubriachi che insozzano le strade e tengono sveglio chi vuol dormire e il mortorio generalizzato? La verità è che ci stiamo rassegnando all'incapacità di gestire i grandi fenomeni. Negli stadi ci sono i cori razzisti? E noi chiudiamo gli stadi anziché rinchiudere i «coristi». La nostra classe dirigente farebbe meglio a riflettere: se in Italia dovessimo chiudere tutto quel che non funziona, in tanti vorrebbero cominciare dai palazzi del potere.
Aveva ragione Giuliano Zincone: per risollevare l'Italia bisognerebbe cambiarne la ragione sociale iscritta nella Costituzione: «Basta con è una Repubblica fondata sul lavoro», e proponeva un'alternativa: «L'Italia è un granducato che promuove il divertimento. Sarebbe post moderno -, chiosava il giornalista come ci ha ricordato Il Foglio in occasione della sua scomparsa - incoraggerebbe il turismo e rilancerebbe il Carnevale di Venezia». Un sagace motto di spirito, ma non da prendere alla leggera. Perché è inutile il mantra del rilancio del turismo e ficcarlo in tutti i triti programmi politici se poi il Paese intero ha messo all'indice il divertimento, come mostra la classifica elaborata da Trip Advisor per Il Giornale. Certo, c'è la crisi a frenare la voglia di spassarsela, ma far vivere le città anche di notte non darebbe una spintarella alla nostra scassata economia? E non solo: popolare le strade quando sono buie le rende più sicure ed è un antidoto al male di vivere che ci portiamo tutti dietro come quei pesi che si legano alle caviglie per fare esercizio. Ma così esercitiamo solo quest'umore di piombo che è la vera palla al piede d'Italia. Non è un caso che sul podio delle movide più pallide Roma e Milano salgano insieme a Parigi. Quest'estate un sondaggio globale vedeva i francesi indossare la maglia nera di popolo più pessimista sui 51 sondati dalla Gallup. E la scorsa settimana Frank Bruni, italoamericano ex corrispondente dall'Italia del New York Times, ha firmato un pezzo dal titolo eloquente: «L'Italia ti spezza il cuore». Spiegava con rammarico che abbiamo l'aria di aver fatto festa per anni ed esserci risvegliato con una sbronza triste. E il sito del quotidiano si è riempito di commenti di stranieri che vivono nel nostro Paese, tutti col tono da innamorati delusi. Vogliamo riconquistarli? Cominciamo dal combattere quest'ultima sfumatura di cultura del «no» che ci soffoca, l'effetto «nimby» che, dopo il nucleare e i termovalorizzatori, ha contagiato pure la nostra vita notturna. Possibile che non ci sia via di mezzo tra orde di ubriachi che insozzano le strade e tengono sveglio chi vuol dormire e il mortorio generalizzato? La verità è che ci stiamo rassegnando all'incapacità di gestire i grandi fenomeni. Negli stadi ci sono i cori razzisti? E noi chiudiamo gli stadi anziché rinchiudere i «coristi». La nostra classe dirigente farebbe meglio a riflettere: se in Italia dovessimo chiudere tutto quel che non funziona, in tanti vorrebbero cominciare dai palazzi del potere.
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