ROMA - «Contiamo di attivare potenzialmente 200 mila soggetti, 100 mila con la decontribuzione e 100 mila con tutte le altre misure». Con questa previsione il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, presentò alla stampa il 26 giugno il decreto legge sul bonus assunzione giovani approvato dal Consiglio dei ministri. Cuore del provvedimento era lo stanziamento di 794 milioni di euro nel quadriennio 2013-2016 per incentivare l’assunzione di giovani tra i 18 e i 29 anni “svantaggiati”, cioè con almeno una di queste condizioni: privi di impiego da almeno sei mesi; senza un diploma di scuola media superiore o professionale; single con una o più persone a carico. Insomma, l’intervento urgente era comprensibilmente indirizzato a chi ha più bisogno di lavorare e anche le risorse erano territorialmente ripartire a favore del Mezzogiorno (500 dei 794 milioni) dove maggiore è l’emergenza occupazionale. L’incentivo per l’azienda che avesse assunto non era trascurabile: un bonus contributivo fino a 650 euro per 18 mesi (11.700 euro in tutto) per ogni giovane preso con contratto a tempo indeterminato, oppure fino a 12 mesi (7.800) in caso di stabilizzazione di un contratto a termine. Il bonus dovrebbe appunto favorire 100 mila assunzioni in tre anni. Altri 100 mila posti di lavoro verrebbero invece soprattutto dal potenziamento degli incentivi all’autoimprenditorialità e da un piano di tirocini formativi nel Sud. Finora il bottino è magro. Al 31 ottobre le domande di bonus presentate all’Inps sono solo 13.770.
Meglio di niente, certo. Ma un risultato molto inferiore alle attese, se si pensa che, nei giorni immediatamente precedenti all’apertura di quella che il governo sperava fosse una corsa al bonus, ministero e Inps ci tennero a chiarire che sarebbero state accolte le domande fino a esaurimento dei fondi: 148 milioni quelli disponibili per il 2013, sufficienti per non più di 18-20 mila assunzioni o stabilizzazioni. E dunque era il caso di sbrigarsi per non correre rischi. La corsa si aprì il primo ottobre con il cosiddetto clic day, giorno nel quale l’Inps sarebbe dovuto essere preso d’assalto dalle domande online delle aziende. Ma di richieste il primo giorno ne arrivarono “solo” 5.500. E in un mese siamo appunto arrivati a 13.770 di cui quelle confermate sono ancora meno: 9.284. Magari per la fine dell’anno le poche risorse disponibili per il 2013 si esauriranno, ma certo non ci sarà bisogno di alcun rifinanziamento, come si auspicava quando la misura fu lanciata. Un mezzo flop, insomma. O una goccia nel mare, come preferite, considerando che, per esempio, i giovani che non studiano e non lavorano sono più di due milioni e che quelli disoccupati (hanno perso un lavoro o lo cercano senza trovarlo) sono 654 mila, in aumento di 34 mila nell’ultimo anno.
Ancora una volta si conferma che, quando la crisi è nera, non basta un bonus a convincere un imprenditore ad assumere, tanto più a tempo indeterminato, spiega per esempio Paolo Agnelli, 62 anni, bergamasco, re dell’alluminio in Italia e presidente di Confimi, associazione delle piccole imprese: «Un imprenditore assume un giovane se gli serve, cioè se ha lavoro», ma se per fare questo supera la soglia dei 15 dipendenti e finisce sotto i vincoli dello Statuto dei lavoratori in materia di rapporti sindacali e licenziamenti ci pensa su due volte «perché uno con 16 dipendenti non è mica la Fiat». Se questo discorso è vero, significa che le assunzioni che comunque avvengono sarebbero state fatte anche in mancanza di incentivi. E il rischio, quindi, è che il bonus si riveli inefficace allo scopo dichiarato: creare occupazione aggiuntiva. Sarà un caso ma delle 13 mila e passa domande arrivate finora, ben 8.308 si riferiscono ad assunzioni concluse prima del clic day. La delusione è palpabile anche al ministero del Lavoro, dove il sottosegretario Carlo Dell’Aringa, con un’intervista al quotidiano «Avvenire» ha onestamente ammesso: «I primi incentivi stanziati a giugno sono stati poco utilizzati e sulle assunzioni dei giovani le imprese vanno con i piedi di piombo. Senza una ripresa dei consumi, le aziende non investono. Per questo dobbiamo cercare di dare alle famiglie qualche soldo di più da spendere». Insomma: creare domanda, consumi, cioè lavoro per le imprese che, a quel punto, assumeranno anche senza incentivi.
La crisi è talmente nera che Dell’Aringa rivela: «Abbiamo segnali sul fatto che, nel Mezzogiorno, è in crisi anche il sommerso. E se il “nero” manda a casa i lavoratori non c’è deregolamentazione o incentivo che tenga. Come dire: il rubinetto è aperto, ma il cavallo non beve». Più chiaro di così... Lo ha riscontrato anche la Fondazione studi dei consulenti del lavoro che, dopo un’indagine sul campo, ha concluso: «In assenza di nuovo lavoro risulta assolutamente privo di efficacia qualsiasi provvedimento che incentiva nuove assunzioni». Più promettente sembra la strada delle cosiddette politiche attive del lavoro. Significa: formazione e, in qualche misura, anche l’apprendistato; incrocio tra scuola e lavoro anche attraverso tirocini e stage; collocamento e ricollocamento al lavoro con percorsi individuali di assistenza e con il potenziamento e l’interconnessione delle banche dati di domanda e offerta di lavoro. In questo campo la maggiore opportunità è offerta dal programma europeo Youth Guarantee, «Garanzia Giovani», che grazie a quanto spuntato dal premier Enrico Letta a Bruxelles, metterà a disposizione dell’Italia 1,5 miliardi da spendere tra il 2014 e il 2015 per assicurare ai giovani fra 15 e 24 anni un’offerta di lavoro, apprendistato o tirocinio entro 4 mesi dalla fine del percorso scolastico o dalla perdita di una precedente occupazione. Giovannini ha incontrato giovedì le associazioni rappresentative delle imprese, dei sindacati e dei giovani. Verranno coinvolte, come è normale che sia, le Regioni, gli enti locali, scuole e università.
Il rischio, inutile nasconderselo, è che le risorse vengano disperse in una filiera di iniziative più simboliche che reali, tanto per dire: il colloquio personale è stato fatto, l’opportunità di formazione è stata offerta, e così via. Con un beneficio più per le strutture di gestione del programma che per i destinatari, i giovani. Un po’ come accade per la formazione, fatta più per i formatori che per chi cerca lavoro. C’è tutto il tempo per evitarlo. Guardando magari a modelli esteri che funzionano. E concentrando per esempio le risorse sull’apprendistato e le iniziative di alternanza tra scuola e lavoro, sulla scia di quanto previsto dal decreto legge del ministro del ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza, appena approvato dalla Camera e che il Senato deve convertire in legge entro l’11 novembre.
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