venerdì 22 marzo 2013
Giulio Terzi e la storia indiana
ROMA - I marò tornano in India, ma la bufera sulla Farnesina non si placa. Il ministro Giulio Terzi è però convinto che tutto sia andato per il meglio: "La situazione - dice - si sta normalizzando, e non stiamo mandando i nostri militari allo sbaraglio, incontro ad un destino ignoto. Non rischiano la pena di morte".
Ministro, valeva la pena di alzare i toni con l'India e arrivare ad uno strappo diplomatico così pesante se poi siamo stati costretti a rimandarli indietro? "Credo proprio di sì. Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati. Su questo adesso non abbiamo più preoccupazioni".
Attilio Regolo rientrò a Cartagine, e fece una brutta fine. Non sente su di sé la responsabilità di averli fatti rientrare? "No, assolutamente. Erano condizioni diverse, vigeva il diritto romano e Cartagine non lo applicava. Noi ci muoviamo nell'ambito di leggi internazionali, che devono essere rispettate. Confidiamo che ciò avvenga".
Cosa è cambiato rispetto a due settimane fa? "La tensione è salita, si sono manifestate preoccupazioni anche per l'incolumità del nostro ambasciatore, la vicenda ha avuto un risalto internazionale che ha interessato anche l'Onu e la Ue. Noi abbiamo continuato a lavorare a tutto campo e questo ha consentito di poter fare con gli indiani alcune verifiche. Ritengo che la mossa di riportarli in Italia e comunicare che non sarebbero rientrati abbia avuto l'effetto che ci aspettavamo, clamore a parte. Le iniziative delle procure militari e civili inoltre hanno dimostrato che anche dal punto di vista della nostra giustizia Roma non sta con le mani in mano".
Può darsi, ma resta il fatto che i due marò adesso ritornano in un paese che li vuole processare per omicidio. Un reato per cui è prevista, nei casi estremi, la pena di morte. Come glielo avete comunicato? "Io personalmente non ho parlato con loro, lo ha fatto il presidente del Consiglio. Ho sentito invece le loro famiglie. Credo che in casa ne abbiano discusso. Sanno di avere il sostegno del governo italiano e l'impegno dell'Italia a far si che la situazione si risolva nel migliore dei modi. In tutti i casi vogliamo riportare i nostri due fucilieri a casa. Deve essere chiaro che il nostro sforzo non finisce qui. Con l'India abbiamo aperto adesso un canale di comunicazione diplomatica e giuridica che riparte da presupposti diversi, e che si basa sul principio del mutuo rispetto tra i due paesi, così come ha chiesto l'Onu più volte".
Ritiene che questo possa bastare a tranquillizzarli? "Ripeto, le cose ora vanno viste in una luce diversa. È nostra opinione che non ci siano più le preoccupazioni che avevamo in precedenza. L'accordo con l'India prevede che il caso in questione, per le sue modalità, non rientri tra quelli in cui possa comminarsi la pena massima prevista dal loro codice".
La decisione è stata presa oggi in un consiglio dei Ministri che qualcuno racconta essere stato piuttosto animato. "Le posso dire che all'interno del consiglio ci sono state sensibilità diverse tra i ministri, ma che tutti hanno lavorato a fondo con la volontà di trovare una soluzione che fosse equa, che ripristinasse dei regolari rapporti diplomatici con l'India e che ci desse garanzie sulla sorte dei nostri fucilieri. Credo che ognuno abbia fatto al sua parte".
Da molti giorni, e specialmente oggi non appena appresa la decisione di fare retromarcia, tanti chiedono le sue dimissioni. "Non ne vedo il motivo. In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione. Dimettermi? Io faccio parte di un governo dimissionario. E le dimissioni, se è per questo, me le chiedono sin da quando la nave Enrica Lexie è attraccata nel porto di Cochi, con polemiche e strumentalizzazioni che ritengo del tutto ingiustificate".
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