sabato 3 aprile 2010

Pesce d'aprile...

Ginevra, approvata la risoluzione contro la diffamazione delle religioni di Maurizio De Santis

Alla fine, dunque, la lobby oscurantista ce l’ha fatta. Il Consiglio dei diritti dell’Uomo di Ginevra ha approvato una risoluzione contro la diffamazione delle religioni, presentata illo tempore dall'Organizzazione della Conferenza Islamica (OCI), per iniziativa del Pakistan (paese dove la libertà religiosa eccelle a livelli di basso medioevo). Una risoluzione adottata con risicata maggioranza, nel formare la quale sono stati decisivi proprio i paesi dell’OCI e del gruppo africano (20 voti). A fronte dello schieramento clerical-medievalista, hanno fatto risicato muro l'Unione europea, gli Stati Uniti ed alcuni paesi latino-americani, finalmente decisi a passare dall’astensionismo al “no” (17 voti). Determinanti, invece, le solite astensioni dei paesi “altermondisti” (ben 8), linfa di un movimento di non allineati che, nel concreto, fa molti più danni di quanto si possa immaginare. Assume particolare rilievo il fatto che, un intero paragrafo del testo approvato, fa esplicito riferimento al freschissimo divieto elvetico dei minareti, classificandolo come una chiara manifestazione di islamofobìa. Un chiaro “scappellotto” comminato all’elettorato svizzero, il quale in futuro dovrà evidentemente sentirsi democratico, ma solo se votasse nella direzione gradita alla potentissima OCI. Giunge dunque piuttosto dissonante il commento rilasciato da Julie Gromellon, responsabile della Federazione Internazionale della Lega dei diritti dell'uomo (FIDH), una ONG estremamente attiva nella lotta per l’eliminazione del ricorrente concetto di “diffamazione delle religioni” dalle varie risoluzioni dell'ONU. Che ha avuto l’ardire di classificare detta risoluzione come un buon risultato di compromesso. Ma compromesso su cosa? Ha un bel cantare, la signora Gromellon, quando dovrebbe rendersi piuttosto conto che il paragrafo che condanna il (democratico) voto referendario elvetico, rappresenta un avvertimento da parte dell’OCI ai paesi occidentali, segnatamente quelli europei. Sin dal suo primo utilizzo, il termine “diffamazione delle religioni”, rappresenta un’arma che sovente i paesi a maggioranza islamica amano brandire senza molto ritegno, trasformandola in moneta di scambio nelle più disparate trattative. Ed è indubbio che, anche in questa occasione, l’OCI abbia dato il meglio di se per alzare la posta. Lo stesso ambasciatore del Senegal, Babacar Ba, (egli stesso rappresentante dell’OCI a Ginevra), ha candidamente confermato che il paragrafo in questione è stato voluto dalla Conferenza Islamica, con il fine di stigmatizzare il voto popolare svizzero. Ora, anche se le risoluzioni votate in seno al Consiglio dei diritti dell'uomo non hanno capacità costrittiva, è innegabile che esse producono conseguenze diplomatiche sensibili. Ma nel marasma delle organizzazioni sinistrorse europoidi, così sollecite e presenti nel criticare (a ragion veduta o meno), le istituzioni clericali cristiane (cattoliche e non), manca la lucidità per riuscire a comprendere come fermare questo pernicioso concetto islamico dal sapore neanche tanto vagamente “da santa inquisizione”. Tanto che c’è voluto un arabo musulmano per suonare la sveglia. Hossam Bahgat, direttore esecutivo dell'iniziativa egiziana per i diritti individuali, ha dichiarato senza peli sulla lingua che “il concetto della diffamazione delle religioni è un potentissimo strumento per la restrizione delle libertà sulle questioni religiose e contribuisce a dare una legittimità a qualsiasi tipo d'abuso nel mondo arabo”. Della serie: chi ha il pane, non ha i denti…

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