sabato 2 novembre 2024

Impunità

E’ difficile (almeno per i miei limiti) non scrivere qualcosa di banale per cui probabilmente sarò ripetitivo: la questione irrisolta della giustizia e della sia assenza, è l'impunità. Stupri? Non ti accade nulla o comunque poco. Stupri e sei minorenne? Non ti accade nulla. Sei un camorrista e uccidi un giovane musicista per un parcheggio? Ti accade qualcosa che il tempo tramuterà in "poco". Picchi il bagnino che aveva messo in guardia i tuoi figli che si erano gettati nel mare mosso? Non ti accade nulla. Deturpi il Colosseo? Non ti accade nulla. Prendi a calci una capretta, uccidendola? Non ti accade nulla. Ti fai il bagno nudo nelle fontane romane? Non ti accade nulla. Siete componenti di baby gang di stranieri che devastano il luna park di Bergamo durante la sua inaugurazione? Non vi accade nulla. Assaltate un Pronto Soccorso? Non vi accade nulla. Siete clandestini che si affrontano per strada a colpi di machete? Non vi accade nulla. Girarte in motorino in quattro senza casco? Non vi accade nulla. Siete ultras di squadre che si danno appuntamento in autostrada per regolare i conti? Non vi accade nulla. Chiudi cuccioli di gatti appena nati in una busta e li lasci sotto il sole per farli morire? Non ti accade nulla. Sei un tunisino che stupra una ragazza con problemi mentali? Ti arrestano e ti rilasciano, non ti accade nulla. Siete quattro marocchini che a Verona stuprano una turista e picchiano i carabinieri? Arrestati e rilasciati, non vi accade nulla. Sei un tunisino che a Ragusa minaccia un passante con il coltello? Non ti accade nulla. Siete clandestini maschi, maggiorenni che, in centinaia, invadono Trieste saccheggiando come i barbari? Non vi accade nulla. Siete mariti violenti che picchiano le mogli? Non vi accade nulla. Siete due bande si stranieri che si accoltellano davanti alla stazione di Bolzano? Arrestati e rilasciati, non vi accade nulla. Uccidi un'orsa a fucilate? Non ti accade nulla. È il regno dell'impunità, dove non accade nulla e, quando qualcosa accade, è talmente poco che non accade comunque nulla.


Giovy Novaro

martedì 22 ottobre 2024

La profilazione del razzismo delle forze dell’ordine

Sì, lo so, il rapporto di questo estraneo organo anti-razzismo e intolleranza del Consiglio d'Europa che oggi se ne esce accusando le Forze dell’Ordine italiane di razzismo, mi dovrebbe fare incazzare di brutto. Ma che vi devo dire? I loro deliri sono così paradossali che invece di suscitarmi rabbia mi generano incontenibile ilarità. Sarà forse la classica reazione di chi ride per non piangere, ma nel leggere l’apodittico enunciato di questo comitato, denominato ECRI, sono rimasto semanticamente disorientato. Affermano infatti gli Ecritini: «In Italia le forze dell'ordine fanno profilazione razziale durante le attività di controllo, sorveglianza e indagine, soprattutto nei confronti della comunità rom e delle persone di origine africana». …“profilazione”? che cacchio significa “profilazione”? Ammetto la mia ignoranza e vado a cercare su google il significato, apprendendo trattarsi di un termine commerciale usato nel marketing per elaborare i dati dei clienti in base ai gusti. Capisco, così, che questi scienziati colpevolizzano le Forze di Polizia di eseguire i controlli su strada sulla base del “profilo” dei soggetti.


Ne consegue che, secondo le loro testoline profilate e profilattiche, se la polizia, per esempio, svolge un servizio anti-borseggio nella metropolitana, non deve tenere sotto controllo le donne rom solitamente dedite a tale crimine. Eh no, sarebbe profilazione! Deve controllare le suore orsoline che stanno tornando in convento, gli operai che la mattina si sono svegliati all'alba per andare a lavorare, le mamme con il passeggino. Se esegue un’operazione contro le baby-gang, non deve controllare i documenti ai giovani di seconda generazione che si raggruppano spavaldamente schiamazzanti in piazza infastidendo i passanti. Eh no, sarebbe profilazione! Deve controllare e perquisire i ragazzi che si stanno facendo un aperitivo, o quelli che passeggiano tranquillamente per il corso. Se svolge un servizio antidroga nel parco di notte, non deve pedinare quel gruppetto di nigeriani che offrono droga ai passanti. Eh no, sarebbe profilazione! Deve pedinare quelli che portano il cane a pisciare... E io già mi immagino, quando sta minchiata prenderà piede, le proteste che verranno mosse agli agenti in servizio da parte dei soggetti infastiditi dai controlli: «Maresciallo, lei mi sta profilando! Io la denuncio!».


Prepariamoci anche alla nuova etichetta che verrà affibbiata allo sbirro, che oltre che razzista e xenofobo ora sarà anche… profilatore. Probabilmente la Cucchi sta già preparando un disegno di legge per aggiungere al reato di tortura anche quello di profilazione molesta. Il Governo ha già alzato gli scudi presentando le sue rimostranze contro quelle che ritiene delle vere e proprie ingiurie. Sono certo che anche le opposizioni non faranno mancare il sostegno alle Forze di Polizia. Forse non proprio oggi. Probabilmente domani… dopodomani… a babbo morto.


Salvino Paterno’

lunedì 21 ottobre 2024

Magistratura democratica

Eh no, come sostengono i pretoriani della magistratura, colti da lancinanti bruciori anali: l’email del giudice Patarnello va letta e analizzata nella sua interezza. E mica si può fare un taglia e cuci! Altrimenti, come dice il presidente dell’associazione nazionale magistrati, si suscitano “maliziose interpretazioni”. E poiché non vogliamo essere maliziosi, vediamola sta "interezza"... La missiva inizia con il ritratto della Meloni che, secondo il giudice: «non ha inchieste giudiziarie a suo carico e, quindi, non si muove per interessi personali ma per visioni politiche. E questo la rende molto più forte e anche molto più pericolosa». E qui c’è da porsi una domanda logica e non maliziosa: Per quale motivo secondo l'alto magistrato, un capo di governo, a suo stesso dire onesto, al di sopra di ogni sospetto e con degli ideali politici, dovrebbe essere pericoloso? Anzi, in quanto scevro da inchieste giudiziarie, “più pericoloso”? Dovrebbe essere il contrario. Pericoloso lo è un corrotto, un disonesto, un ignavo voltagabbana, un meschino egoista, egocentrico, arrivista e senza valori.  Qual è la logica tortuosa e contorsionista del ragionamento del giudice?


E’ malizioso pensare che la forza e la pericolosità paventata dal magistrato consiste proprio nella rettitudine e, conseguentemente, nell’inattaccabilità del premier? Perché, se così fosse, presupporrebbe una subdola voglia ricattatoria, realizzabile con l’apertura di una o più inchieste giudiziarie. E questo sarebbe gravissimo. Significherebbe ammettere che la magistratura fa una vera e propria opposizione politica. Ma non dobbiamo essere maliziosi, anche perché il buon Patarnello lo smentisce apertamente: «Non dobbiamo fare opposizione politica ma dobbiamo difendere la giurisdizione. Senza timidezze». Oh! Nessuna lotta politica! Mi pare chiaro! Certo, detto da un rappresentante di una corrente sinistra della magistratura che si dichiara orgogliosamente politica, fa un po’ ridere, ma meglio tardi che mai. Ora basta solo renderlo chiaro a tutti gli altri magistrati e dovremmo stare apposto.Dovremmo dirlo alla Apostolico, per esempio, che se ne va saltellando alle manifestazioni anti governative insieme ai centri sociali, urlando contro le forze dell’ordine, e poi sentenzia avverso le stesse leggi per le quali protesta. Al giudice Degni, della Corte dei Conti, che, senza remora alcuna, si definisce un “economista di sinistra” e auspica il default per il nostro Paese solo per avere la soddisfazione di vedere i membri del governo “schiumare di rabbia”.


E in ultimo alla Silvia Albano, la giudice che ha riportato i migranti dall'Albania, e che è proprio il presidente di magistratura democratica, colei che raccoglie fondi per le ONG, comprese quelle rinviate a giudizio per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e che dichiara tranquillamente che: “il giudice le sue idee e le sue convinzioni le mette nelle interpretazioni della legge”. Che ce vò? Convinciamoli tutti che finora hanno fatto delle minchiate e torniamo alla normalità… o no? Ma al netto di paradossi, stramberie e bizzarrie varie, qual è il cuore della missiva? Perché Patarnello scrive questa email? Ecco il passaggio fondamentale: «L’esecutivo intende riscrivere l'intera giurisdizione. A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo». Ecco qua il vero pericolo che si profila all’orizzonte! L’apocalisse in arrivo! L’Armageddon che incombe! La riforma della giustizia. 


Una riforma che potrebbe limitare lo strapotere della magistratura, rendendola più imparziale con la separazione delle carriere, più giusta con la responsabilità civile per i magistrati che sbagliano, più indipendente dalla politica con la riforma del CSM. Tutte questioni che fanno tremare le vene ai polsi delle toghe siano esse rosse, gialle o arcobaleno. Sì, i diritti umani, i paesi sicuri tutto quello che vi pare… ma il vero motivo per cui il governo è pericoloso e va fermato è questo. E qui Patarnello lancia un chiaro appello per contrastare il pericolo, per cercare strategie atte a sventarlo. E come? Facendo gli scongiuri? Cercando una fattucchiera per fare il malocchio? O, forse, utilizzando il loro potere giudiziario? Si può essere d’accordo o meno sulla riforma della giustizia, ma la divisione dei poteri è la base di un sistema democratico. Questo governo è stato legittimamente eletto per attuarla (semmai ci riuscirà) tramite il potere legislativo ed esecutivo che detiene. Chiamare a raccolta il potere giudiziario per tentare di bloccare l’azione di un governo che sta democraticamente svolgendo i suoi compiti, fa intravedere una vera e propria azione eversiva.


Fossi in Patarnello più che convocare adunate, mi concentrerei invece su una sola sua frase, tanto dirompente quanto veritiera: «La magistratura è isolata nella società». Mi fa piacere che si renda conto del terrificante calo di fiducia che i cittadini nutrono oggi nei loro confronti. Ed è un aspetto questo sul quale dovrebbero ragionare. E’ proprio qui che andrebbe “posto rimedio”. Ignorarlo è sconsiderato e deleterio per tutti. Soprattutto per coloro che sentenziano… in nome del popolo italiano


Salvino Paterno’ 

domenica 20 ottobre 2024

L’Albania, immigrazione e respingimenti. I crimini della UE

Vorrei avvisare tutti quegli imbecilli, ebbri di citrulla felicità, convinti che oggi l'eroica magistratura italiana ha condannato il "modello Albania", che non hanno capito una ceppa! In quella sentenza non c'entra niente la deportazione, i lager, Guantanámo, i soldi sprecati e tutto il cucuzzaro di stronzate blaterate in questi giorni. La situazione è ben peggiore e se in quei cervellini oggi festeggianti ci fosse un minimo di raziocinio dovrebbero anche loro preoccuparsi. L’Albania non c’entra nulla. Forse non vi è chiaro che la sezione immigrazione del tribunale di Roma, che non ha convalidato il trattenimento dei migranti all’interno del centro di permanenza per il rimpatrio in Albania, avrebbe fatto la stessa cosa anche se quei migranti fossero stati trattenuti in qualsiasi centro di permanenza in Italia.


E’ ovvio che la prima reazione è quella di scagliarsi tanto furiosamente, quanto inutilmente contro lo strapotere eversivo della nostra magistratura palesemente politicizzata. Ma ritengo che stavolta le toghe purpuree abbiano avuto gioco facile e la strada spianata dalla corte di giustizia europea. Il provvedimento giudiziario, infatti, non colpisce il trasferimento e la permanenza dei migranti in Albania, bensì il respingimento della loro richiesta d’asilo e la conseguente espulsione nei loro paesi d’origine. Paesi che, a dire dei magistrati italici, “non sono paesi sicuri”, malgrado compaiano come “sicuri” in una lista stilata dal Governo.


Detta così, parrebbe un’invasione di campo del potere giudiziario sul potere esecutivo e legislativo. Una delle tante irruzioni destabilizzanti alle quali la magistratura ci ha tristemente abituato.  Se il Governo ha legiferato che quei paesi sono sicuri, ci chiediamo ingenuamente, con che diritto i magistrati non applicano le disposizioni? Ma purtroppo non è così. Non lo è del tutto. La lista dei paesi “sicuri”, formulata con decreto interministeriale, in cui compare anche l’Egitto e il Bangladesh (ove i migranti in questione erano stati espulsi), era stata regolarmente compilata prima del fatidico 4 ottobre scorso. In quella maledetta data, però, ha fatto irruzione la pronuncia della corte di giustizia europea che all’improvviso ha cambiato le carte in tavola.  Se prima si consideravano “sicuri” quei paesi che erano tali, anche se avevano alcune porzioni di territorio che registravano condizioni inumane e degradanti (nelle cui aree ovviamente i migranti non potevano essere rimpatriati), ora, secondo la corte europea, i criteri per designare un paese di origine sicuro devono essere tali in tutto il suo territorio. Per cui, anche se un paese ha un piccolo settore di territorio non sicuro, è insicuro in tutta la sua essenza. E come tale l’immigrato non vi può essere rimpatriato.


Ne consegue che la lista del Governo non ha più validità. Figurarsi l’incontenibile gioia per i giudici “democratici” a cui non è parso vero avere un solidissimo appiglio giuridico per disporre l’immediata liberazione. Ma quel che è peggio sono le disastrose conseguenze future di tale pronuncia europea. Dato che tutti i migranti che approdano nelle nostre coste provengono da paesi oggi dichiarati non più sicuri, nessuno di loro potrà essere più trattenuto e tantomeno rimpatriato. Nessuna politica di difesa dei confini sarà possibile. Nessun respingimento ipotizzabile. Superflui gli accertamenti sui requisiti per i diritti d’asilo.Inimmaginabili i flussi regolamentati. Inutili gli accordi bilaterali con i paesi di origine o qualsivoglia soluzione creativa. Tutti dovranno essere accolti indiscriminatamente. Il sogno apocalittico della sostituzione etnica che finalmente si realizza. Nell’avvenire caotico che ci si prospetta, possiamo nutrire una sola speranza: quella di essere alla fine esclusi tra i porti di accoglienza in quanto dalla catastrofe che ne deriverà saremo catalogati anche noi tra i paesi… non sicuri. 


Salvino Paterno’

La questione Albania

Riassumo il discorso "Albania" che nulla ha a che fare con l'Albania. Se l'UE stabilisce che nessun Paese africano sia sicuro (di fatto l'Egitto è uno di quelli con la situazione politica più stabile oltre ad essere meta turistica fra le principali al Mondo) e che oltre metà dei paesi del Medioriente e dell'Asia non siano sicuri (come se io mettessi bocca sulla disposizione dei mobili di casa vostra), sostanzialmente sta dicendo che centinaia di milioni di persone sono legittimate a venire e restare in Italia che, in tutta risposta, non potrà attuare i respingimenti. Questa situazione va bene alla magistratura da sempre in linea con le politiche progressiste di "sinistra", va bene all'opposizione che dell'immigrazione ha fatto un pilastro ideologico ed economico (vedasi il caso Soumahoro), va bene a gran parte della stampa servile e, soprattutto (lo sottolineo), va bene a milioni di italiani che sono in minoranza ma pur sempre milioni. Tutti questi soggetti, tolta la quota degli analfabeti (una buona fetta), sono nemici del Paese perché permettere l'invasione quotidiana del terzo mondo, senza regole, senza una selezione (e qui ricordo la presenza di tanta brava gente che accoglieremmo volentieri e senza fiatare, se ci limitassimo a trattenere queste persone) è, in buona sostanza, un favoreggiamento alla criminalità. Dunque il problema è la magistratura? Certamente, ma non solo. I problemi sono diversi: ad esempio c'è la mancanza di coraggio di Giorgia Meloni che, nel suo certamente complicato ruolo di mediazione, dovrebbe imporre un sovranismo che mai le è appartenuto ad una Europa che si è da tempo disintegrata ma che continua a dettare legge, come un vecchio Re aggrappato al suo trono mentre il regno brucia. Questo è.


Giovy Novaro

giovedì 17 ottobre 2024

Il dizionario gender dell’Oms

[Premessa necessaria] L’organizzazione mondiale della sanità e un’agenzia dell’Onu, gli stati membri contribuiscono al suo finanziamento per il 20%, il resto è frutto di “contributi volontari” destinati a programmi specifici decisi dal donatore, i quali decidono anche come e in quali paesi devono essere attuati. Stando così le cose questo organismo è, nei fatti, una struttura privata. Basti sapere che la fondazione “filantropica” di Bill Gates è il maggior contribuente. L’Oms non è quindi, come molti invece sono portati a credere, un organismo al di sopra delle parti, esso agisce secondo logiche privatistiche, le stesse che sono riuscite a imporre la salvifica soluzione di siero sperimentale dopo aver impedito sia ricerca che terapie di cura. Nel 2011 l’Oms pubblicava il primo manuale di “Integrazione di genere per i manager sanitari”, una guida “user friendly” (facile da usare) per «aumentare la consapevolezza e a sviluppare competenze di genere sull’analisi di genere e sulla pianificazione gender responsive nelle attività del settore sanitario». Si noti l’uso del solito disturbante linguaggio, tipico degli ambienti globalisti (che ahimè! imperversa nella scuola). Bisogna sapere che il gruppo incaricato dall’Oms per scrivere le linee guida per i transgender è composto da 21 membri, buona parte dei quali attivisti transgender. Difficile quindi pensare che vi sia una certa “obiettività” sul tema. Molti di questi sono membri e dirigenti della “WPATH” (l’organizzazione che promuove approcci medici affermativi – si è quel che si crede di essere – di genere), tra i quali è ampiamente diffusa l’idea che l’identità transgender abbia addirittura una base biologica immutabile e che gli interventi di “affermazione di genere” (bloccanti ormonali, amputazione del seno, taglio dei genitali…) siano sempre sicuri ed efficaci. 


Provate a domandarlo ai cosiddetti detransizionisti (quelli che disperatamente provano a tornare indietro), molti dei quali hanno assunto l’impegno morale e civile di raccontare il calvario che hanno subìto quando troppo giovani si sono lasciati condizionare dalla macchina propagandistica della “transizione di genere”. Provate a domandarlo alla ventiduenne americana Luka Hein, che a soli 13 anni subì il fascino della narrazione transgender e grazie alla forte pressione di medici e psicologi compiacenti a soli 16 anni fu sottoposta al taglio dei seni (mastectomia) e poi a un’intensa terapia ormonale a base di testosterone tanto che oggi, a 22 anni, teme di non poter più avere figli. Oggi Luka va in giro per il mondo (in questo periodo è in Italia, fino al 27 ottobre) non solo per parlare del suo profondo dolore e della sua esperienza ma principalmente per dire che «nessuno nasce nel corpo sbagliato». Nel manuale di “Integrazione di genere per i manager sanitari” c’è scritto che si ritengono dannosissime e discriminatorie le “terapie di conversione”, quelle cioè mirate a recuperare un equilibrio interiore che allontani dai percorsi di transizione di genere. Dannosissime e discriminatorie sicuramente per quel mondo che lucra da questo schifoso commercio giocato sui minori. 


Poteva mancare in questo manuale l’attacco alla “eteronormativita’”, ossia alla «presunzione che ognuno sia o debba essere eterosessuale, che l’eterosessualità sia la norma e che la società debba essere organizzata attorno ai bisogni delle persone eterosessuali»? L’Oms vuole ottenere finanziamenti pubblici tesi a sostenere percorsi di “affermazione di genere” al fine di assecondare il “desiderio dei pazienti” che dichiarano di appartenere al sesso opposto, affermazione di genere che comporta il ricorso a bloccanti della crescita sessuale e spesso a interventi chirurgici di modificazione del corpo (mastectomia, taglio dei genitali, costruzione di organi sessuali). Gli Usa hanno il pacchetto finanziario di maggioranza dell’Oms, per il tramite sia dello Stato che dei grandi interessi privati, non deve quindi meravigliare che il centro propulsore di simili pratiche criminali sia concentrato lì, ed è da lì che si irradia ovunque trovi terreno fertile ad accettare l’idea che l’essere umano possa (e debba) essere costruito in laboratorio. Non è un caso, si sappia che l’eugenetica è nata negli Usa nell’‘800. Gli ambienti “progressisti” sono i migliori diffusori di queste logiche (e pratiche) anti-umane, si riconoscono subito per il linguaggio usato, infarcito di richiami alla non discriminazione e all’inclusione. Ambienti nei quali sembra del tutto naturale parlare di “affermazione di genere” e di “assegnazione di genere”, come se fossimo noi a stabilire se si nasce femmine o maschi.


17 ottobre 2024 


Antonio Catalano

giovedì 10 ottobre 2024

Il favoloso mondo di chi non vive per strada…




Quanto deve essere bello il mondo visto con gli occhi del Comandante Generale dei Carabinieri... Lontano dal tanfo di strade rabbiose, ormai prossimo al congedo e sicuramente pronto ad assumere nuovi e prestigiosi incarichi, il bonario generale si concede ad un'intervista a tutto campo per il Corriere della Sera.Inutile sperare in un moto di passione, un guizzo carismatico, un flato di coraggio per evidenziare, seppur sommessamente, le gravi difficoltà operative affrontate ogni giorno dai suoi uomini, costretti a subire aggressioni e vilipendi ad opera di un crimine sempre più sfrontato e impunito. No, il mondo visto con gli occhi del Comandante è edulcorato, sereno, quasi fiabesco. E infatti, a suo dire, dovremmo essere ottimisti, poiché «abbiamo un quadro normativo avanzato e una grande sensibilità della magistratura». Non so a quale magistratura si riferisca, visto che la nostra, sondaggi alla mano, ha una credibilità che rasenta lo zero assoluto. Ma, soprattutto, non capisco a quale “sensibilità” faccia cenno, dato che non si contano le assoluzioni, con motivazioni assurdamente acrobatiche, di soggetti imputati di aver aggredito, sputato in faccia e vilipeso i suoi Carabinieri. Arriva addirittura ad affermare che: «da noi non esistono banlieue dove le forze di polizia non possono entrare». 


Non so se sia più grave che non sappia o che faccia finta di non sapere che in realtà in alcuni campi rom le forze di polizia non possono entrare affatto, limitando la loro presenza ad alcuni presidi statici con una volante all’ingresso. Più di una volta la cronaca ha sbeffeggiato le pattuglie di agenti che, in seguito al furto di auto il cui rilevatore satellitare ne segnalava la presenza all’interno di campi rom, non procedevano all’intervento. E quando sono stati costretti ad intervenire l’hanno con le mani alzate prendendo sberle e ingiurie senza reagire. Ma di tutte queste miserie poliziesche nel mondo ovattato del Comandante Generale non c’è traccia. Ed Egli vanta progressi e avamposti conquistati: «a Palermo, allo Zen, siamo riusciti a far accettare la stazione dei Carabinieri. I nostri lì fanno attività sociale». Attività sociale? Cioè? Fanno la spesa alle vecchiette? Portano a spasso il cane a chi è indisposto? Tirano giù i gattini dagli alberi? Che cacchio significa “attività sociale”? Perdonatemi, sto fuori dal giro da un po’ di anni, io ero rimasto ai Carabinieri che facevano attività di Polizia Giudiziaria e di Sicurezza… sta cosa mi scompensa. Ma anche nel mondo fatato del Comandante c’è la questione spinosa delle periferie, anche se Egli sa come affrontarla: «Nelle periferie non basta la risposta securitaria. Servono scuole e decoro urbano». Embè, certo. Peccato che la “risposta securitaria” non basta perché praticamente non c’è.


Gli agenti, demoralizzati dal continuo vanificarsi dei loro sforzi da parte della magistratura (sensibile, per carità), e sapendo che ad ogni loro intervento c’è il rischio di finire sotto processo, sotto procedimento disciplinare e sotto gogna mediatica, fanno quel possono. E quel che possono è niente rispetto ad una delinquenza multietnica dilagante e dominante. Paradossalmente oggi non è più il Maresciallo che offre sicurezza, bensì…Cicalone! E senza un minino di sicurezza il decoro urbano non serve assolutamente a nulla. Ma la ciliegina sulla torta è nel finale dell’intervista, e riguarda la legge sulla cittadinanza. E qui è presto detto: «Gli stranieri nati qui? Italiani! Ci vuole la legge sulla cittadinanza. Quella attuale non è più aderente al cambiamento che c’è stato».  Non ho capito se preferisca lo ius soli o lo ius scholae e, sinceramente, poco mi importa. Noto, però che non ha problemi ad esprimere tranquillamente un’opinione che, in questo momento, più politica non è possibile immaginare, tra l’altro in palese contrasto con l’attuale governo. E lo fa nel mentre ai Carabinieri in servizio, circolari su circolari vietino di esprimersi pubblicamente su tematiche online che qualifichino l’orientamento ideologico. Com’era quella del marchese del Grillo?... Ma politica a parte, confesso di invidiare il Comandante Generale. No, non invidio la posizione economica o di potere, ma il suo modo di vedere, o meglio…di non vedere. Invidio il suo mondo. Vorrei vivere nell’Italia della sua visione. Un paese sicuro, con forze di polizia così efficienti che oltre alla sicurezza offrono anche servizi sociali, con una magistratura equa e finanche sensibile, con periferie sicure e addobbate a festa, con stranieri integratissimi che anelano al tricolore, con campi rom che all’arrivo dei Carabinieri gli fanno festa (e non la festa)… Che bello un mondo del genere. Ma i sogni muoiono all’alba… e a Novembre gli scade pure il mandato.


Salvino Paternò 

sabato 14 settembre 2024

Russia, Occidente e Ucraina

L'Ucraina non si è mai ripresa dalla crisi determinata dal crollo dell'Unione sovietica. Già prima del colpo di stato di piazza Maidan la popolazione era diminuita di un quarto rispetto al 1989, la natalità era la più bassa d'Europa, le industrie   erano state smantellate, la situazione finanziaria era precaria. È evidente che, in una guerra con una grande potenza come la Russia, il paese non avrebbe potuto resistere per più di due settimane con le sue  sole forze. La guerra in corso, però, non vede contrapposte la Russia e l'Ucraina, ma la Russia e l'Occidente. È l'Occidente, infatti, che fornisce le armi, le informazioni e la logistica senza le quali il conflitto sarebbe da tempo finito e probabilmente non sarebbe mai cominciato. È l'Europa, anche se i suoi cittadini ne sono scarsamente consapevoli, che tiene in piedi l'apparato statale ucraino pagando ogni fine del mese  lo stipendio ai dipendenti pubblici. Quanto agli ucraini, essi devono  solo dare un'illimitata disponibilità a farsi ammazzare. Nella divisione  internazionale del lavoro  le oligarchie mondialiste hanno assegnato, con spietato cinismo,  alle donne ucraine il ruolo di fattrici nelle gravidanze surrogate, di badanti e di prostitute; agli uomini quello di carne da cannone. Tutto questo i russi lo sanno bene. Essi sono perfettamente consapevoli che i loro veri nemici sono gli americani , gli inglesi e i loro vassalli europei. Fino ad ora, però, hanno fatto a finta di niente. C'era, probabilmente, la pressione di quella parte della classe dirigente russa che non vuole tagliare i ponti con l'Occidente e c'era, soprattutto, la consapevolezza che uno scontro diretto tra potenze nucleari avrebbe potuto avere esiti imprevedibili e molto spiacevoli. 


Oggi, però , Stati Uniti e Gran Bretagna minacciano di colpire il territorio russo con missili balistici (il fatto che ciò non avvenga direttamente, ma consegnandoli agli ucraini,  è un puro "escamotage"). Putin ha già avvisato che considererà un evento del genere alla stregua di una dichiarazione di guerra. C'è da dargli credito? Io credo di sì. Un paese costantemente minacciato nelle sue infrastrutture, nel suo sistema produttivo, nei suoi centri di comando è un paese a perpetuo rischio di destabilizzazione. La Russia questo non lo può accettare ed è per evitare un'evenienza del genere che è iniziata l'operazione militare speciale. In caso di attacco in profondità c'è quindi da aspettarsi una qualche risposta. Dapprima sarà probabilmente indiretta (navi inglesi? basi militari americane? piattaforme svedesi?) e  esornativa. Se poi la cosa andasse avanti, sarebbe arrivato il momento di fare gli scongiuri e , per chi è credente, di pregare Dio. Di fatto, la situazione non è mai stata tanto pericolosa. I popoli, storditi dalla propaganda, non ne sembrano consapevoli, ma le cose stanno così.


Silvio dalla Torre

martedì 10 settembre 2024

Il piano Marshall di Draghi

Le gazzette ci informano che il grande statista Mario Draghi propone la sua ricetta per rilanciare l'Europa. Si tratta di un nuovo "piano Marshall" basato sull'aumento degli investimenti per la difesa. Il nome, in realtà, appare improprio. Sarebbe più corretto definirlo un nuovo "piano Hitler". Negli anni Trenta fu  infatti il dittatore tedesco a risolvere i problemi economici della Germania promuovendo una politica di riarmo intensivo. Sappiamo come allora andarono a finire le cose. I milioni di posti di lavoro creati nel giro di pochi mesi si trasformarono in milioni di morti durante la seconda guerra mondiale: venti milioni di russi, sette milioni di tedeschi, sei milioni di ebrei, due milioni di polacchi e avanti di questo passo fino ai trecento mila italiani. È molto dubbio che il piano Draghi/Hitler possa, nelle condizioni attuali, creare un solo posto di lavoro in più. È invece molto probabile che precipiti l'Europa in una catastrofe bellica simile a quelle conosciute nel secolo scorso.


Silvio dalla Torre

domenica 25 agosto 2024

La dittatura democratica, Telegram e il suo inventore

Da quanto risulta, Pavel Durov, inventore e patron del social Telegram è stato arrestato mentre faceva scalo all'aeoroporto Le Bourget (Parigi). Stando alle prime indiscrezioni di un funzionario, Pavel Durov verrà sottoposto a carcerazione preventiva, per il timore di fuga. Le accuse sono particolarmente significative. Durov è accusato di possibile complicità con un'infinità di crimini (terrorismo, droga, frode, riciclaggio di denaro, occultamento, contenuti pedofili, ecc.), in quanto sulla sua piattaforma non avrebbe disposto sistemi di intervento per moderare gli scambi e in quanto si sarebbe rifiutato finora di cooperare con le autorità europee. Questo è, probabilmente (la base legale non è stata ancora resa nota), il primo arresto eccellente in applicazione del Digital Services Act, il regolamento censorio europeo, approvato nel 2022 ed entrato in vigore nel febbraio di quest'anno. Sono peraltro di pochi giorni fa le minacce, niente affatto velate, del commissario europeo Thierry Breton a Elon Musk, colpevole anche in quel caso di potenziale complicità con reati vari e con l'esercizio "della violenza dell'odio e del razzismo" per avere maglie troppo larghe nella “moderazione”  dei contenuti su X. Nonostante Durov sia russo, Telegram (diversamente dall'altra creazione di Durov, VK, ha sede amministrativa a Dubai, proprio per evitare interferenze governative, consentendo una maggiore libertà nelle comunicazioni. Ecco, e ora vi prego, cari progressisti europei, cari liberali, cari infaticabili combattenti per la democrazia e la libertà, metteteci una volta di più di buon umore, spiegateci ancora una volta come: 


a) non ci sia nessuna censura in Europa; 


b) sia necessario difendere con le armi i valori europei dalle orribili autocrazie orientali;


c) sia nostra inderogabile priorità la difesa dei diritti umani (tipo art. 19 UDHR: "Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione (....) di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.")


Andrea Zhok

sabato 24 agosto 2024

Jus scholae

Ragioniamoci un po’


All’affacciarsi del nuovo anno scolastico riprende vigore l’idea della cittadinanza attribuita tramite frequenza di un certo numero di anni (cinque) nella scuola, il cosiddetto jus scholae. Una proposta sostenuta da PD, Avs, 5 stelle e FI, mentre FdI e Lega esprimono ritrosia. Ancora una volta si “gioca” sul tema immigrazione con una superficialità che impedisce di mettere a fuoco la sostanza della questione. La demagogia utilizzata dai sostenitori di questo provvedimento lascia intendere che i poveri bambini figli di immigrati siano lasciati a se stessi, privati dei diritti elementari, senza dare di conto che in Italia si concede abbondantemente la cittadinanza agli stranieri e i bambini che nascono qui non subiscono nessuna discriminazione, godendo invece di ogni diritto. Un uso irresponsabile di una questione enorme, dietro il quale si cela l’interesse del capitale neo liberista di favorire un’immigrazione irregolare e caotica, le cui conseguenze sociali vanno a ricadere esclusivamente sulla qualità di vita dei ceti popolari. Perché, a proposito di scuola, i figli delle classi agiate frequentano scuole “protette” ed esclusive.


Il capitale globalista promuove, non certo per intenti umanitari, un’inclusività declinata nel senso liberista di libera circolazione di merci capitali e persone, per questo i suoi corifei decantano le magnificenze di un mondo senza frontiere. Ma noi sappiamo bene che flussi migratori indiscriminati hanno perseguito l’unico scopo di: a) deprezzare la forza lavoro autoctona; b) decontrattualizzare il rapporto di lavoro; c) introdurre una forte competizione a ribasso tra lavoratori residenti e immigrati; d) dequalificare il lavoro; e) svuotare di preziose energie giovanili i paesi generatori dei flussi migratori, così da poterli meglio controllare e sfruttare. Con l’inevitabile conseguenza di aumento del disagio sociale negli ambienti popolari, paradossalmente accusati dai liberal progressisti di insensibilità se non di vero e proprio razzismo. Insomma, un bel po’ di piccioni con una sola fava.  Lo jus scholae è la trovata furbesca e subdola che si muove nell’orizzonte della libera circolazione come intesa dal neo liberismo. Subdola perché utilizza il tema dei minori, presuntivamente discriminati. 


Chiarito il quadro in cui si agita questa richiesta, poniamoci ora la domanda: “questa” scuola promuove davvero la cittadinanza? A questa domanda purtroppo bisogna rispondere negativamente. L’istituzione scolastica, oggi, non rappresenta affatto il luogo della costruzione del cittadino. Essa rappresenta invece il luogo dell’adeguamento forzato dell’individuo alle linee guide del credo globalista. Basti considerare il fatto che sia diventato curriculare l’insegnamento della davosiana Agenda 2030, con tutta la sua stucchevole retorica ideologica sulla Sostenibilità declinata in tutte le salse. La scuola odierna (da un bel po’ di anni ormai) non rappresenta più il luogo dell’“istruzione” (parola ormai considerata desueta), ma quello dell’apprendimento di “competenze”. Competenze che hanno sostituito i contenuti disciplinari. Ci si accorge del baratro culturale coltivato nella scuola di ogni ordine e grado quando si finge di stupirsi del fatto che i giovani non sappiano rispondere alle domande più semplici, che siano di geografia o di italiano o di storia o di matematica. Nella scuola contemporanea è tutto un insistere su percorsi preconfezionati, con tanto di “mappe concettuali”, test, griglie... cosa che, inevitabilmente, pone in essere il superamento della stessa figura dell’insegnante. A che serve infatti un insegnante quando tutto è deconcettualizzato, semplificato, banalizzato?


Chi conosce la realtà della scuola sa bene che essa non garantisce vera educazione alla cittadinanza, in quanto non favorisce ai figli degli immigrati l’integrazione nel tessuto culturale del paese ospitante ma, al contrario, ne sancisce l’estraneità. Si può davvero includere solo se non si rinuncia alla propria identità, in questo caso culturale. Quante volte – troppe – mi sono trovato di fronte ragazze e ragazzi pakistani, cinesi, filippini, peruviani, maliani… del tutto incapaci di comprendere una semplice frase, figuriamoci poi un concetto relativo alla disciplina! In questi casi sapete come avviene l’inclusione? Abbassando, diciamo pure eliminando, non dico la qualità dei contenuti, ma gli stessi contenuti.  L’acuto Boni Castellane coglie bene il punto. Qualche giorno fa scriveva: «Pensare che un percorso scolastico conferisca di per sé i fondamenti culturali, civili e linguistici sufficienti a rendere una persona un cittadino integrato in un contesto nazionale, significa credere, più o meno coscientemente, più o meno volontariamente a un equivoco». Ancora: «Far credere che invece sia ancora così, che una persona proveniente da qualsiasi parte del mondo per il solo fatto di frequentare la scuola per un certo numero di anni diventi automaticamente italiano, significa confondere il trascorrere del tempo in un luogo con la reale acquisizione di conoscenze e di valori». La scuola è diventata una palestra nella quale si rincorrono progetti sponsorizzati e finanziati (con tutta la corruzione che ne deriva in termini di accaparramento dei fondi e della loro distribuzione a un corpo docente purtroppo spesso complice) dall’Unione europea. Progetti che tutti, irrimediabilmente, si rivestono di propositi etico-sociali (razzismo, ciberbullismo, sessismo, ambientalismo, sostenibilità di ogni tipo…) apparentemente giusti, ma che ripropongono pari pari i temi cari all’agenda liberal globalista. Invertire la rotta.


Antonio Catalano

martedì 6 agosto 2024

Multiculti inglese

Quello che sta accadendo in Inghilterra è l'ennesimo campanello d'allarme - che, temo, rimarrà inascoltato - intorno al carattere strutturalmente fallimentare del modello liberal-globalista, dominante negli ultimi quattro decenni. I fatti che si riescono con qualche fatica a ricostruire sono i seguenti. Una settimana fa a Southport, Merseyside, durante una festa rivolta ai bambini, Axel Rudakubana, un ragazzo diciassettenne, nato a Cardiff da genitori ruandesi, ha attaccato gli astanti a colpi di coltello, uccidendo tre bambine (6, 7 e 9 anni). Altre 9 persone, tra cui due adulti, sono state ferite; sei sono in gravi condizioni. Le ragioni dell'attacco non sono chiare, ma si sospetta la malattia mentale. Il soggetto aveva una diagnosi di ASD (autism spectrum disorder), diagnosi che stante quel che è successo non sembra molto calzante, ma che comunque richiama qualche problema di carattere psichiatrico. Sulla scorta della tragedia, immediatamente, parti della popolazione locale sono insorte prendendo di mira “gli immigrati”, categoria abbastanza indeterminata da finire per estendersi a tutti i soggetti in qualche modo identificabili come "etnicamente eccentrici", inclusi anche gli islamici. Questi ultimi hanno messo a loro volta in moto pattuglie di difesa, che hanno iniziato a prendere di mira negozi, pub e "inglesi bianchi". In brevissimo tempo gli scontri si sono propagati ad altre aree del paese: Manchester, London, Sunderland, Hartlepool, Aldershot, Belfast, ecc. Ciò che si evince, con una certa angoscia, dai filmati, è che gli scontri hanno preso una piega schiettamente etnico-razziale, in cui per essere aggrediti da una di queste bande contrapposte basta essere "del colore sbagliato". La reazione del governo è stata caratteristica: si sono accusati dei disordini i soliti "gruppi di estrema destra" e le "fake news", come se questa - quand'anche vera - fosse una spiegazione. Il problema, ovviamente, è che, come sempre accade in queste situazioni, l'evento scatenante è sempre solo un'occasione, una scintilla occasionale, la cui eventuale irrazionalità non rappresenta un semplice "errore".


Le autorità, ad esempio, hanno puntato il dito su alcune fake news che dipingevano l'omicida come islamico, mentre la famiglia non lo sarebbe. Ma è ovvio che l'eventuale notizia falsa ha potuto fare da accelerante solo perché una fiamma covava da tempo. (Va da sé, che anche se la famiglia fosse stata davvero di origine islamica, questo, razionalmente parlando, non avrebbe significato nulla, ma chiaramente la questione qui non ha più a che fare con imputazioni che potrebbero reggere in un tribunale: qui il fenomeno è sociale e acefalo). Sul tema delle fake news va anche notato che una delle ragioni per cui esse attecchiscono così facilmente è l'inaffidabilità sistematica delle news ufficiali. Ad esempio, inizialmente non si riusciva in nessun modo a sapere quali fossero le caratteristiche etniche dell'aggressore, che veniva presentato come un "giovane gallese". Come accade oramai sistematicamente, l'omissione era intenzionale, perché - questa è l'idea - al lettore l'aspetto etnico non deve interessare, essendo giuridicamente irrilevante e potenzialmente fuorviante. Ma nel momento in cui il pubblico capisce che le informazioni ufficiali non sono più notizie, ma lezioni paternalistiche, finisce per accettare più volentieri informazioni "clandestine". 


Stesso discorso si può fare per le solite accuse a molla all'Estrema Destra, come se si trattasse di un morbo, un virus, un fungo che accidentalmente cresce in certe aree e che andrebbe solo debellato con l'adeguato fungicida. Ma anche laddove a promuovere disordini così estesi ci siano gruppi politicamente organizzati di estrema destra, la domanda reale è sempre: perché sono nati, perché crescono, perché hanno seguito? Ed è qui che l'inadeguatezza culturale delle odierne classi dirigenti, sostanzialmente ovunque in occidente, si rende visibile. L'attitudine ad esaminare i fatti sociali in termini di dinamiche strutturali e culturali di lungo periodo è pressoché assente. Si ragiona in termini legalistici, come se la società fosse un tribunale in cui si va a valutare solo la responsabilità personale per violazioni di legge dimostrabili. Ma ovviamente il livello a cui nascono le tensioni e gli scontri è sempre solo in minima parte alla luce del sole, e solo un'esigua minoranza dei conflitti riescono ad essere identificati e condotti davanti ad una giuria. Di fatto, quanto maggiore è la conflittualità sociale, tanto più grande sarà la percentuale di conflitti che non risulta ufficialmente visibile.


Capisco che il primo ministro Starmer, o chiunque altro fosse stato al posto suo, non possa in questo momento far altro che appellarsi all'ordine pubblico, agli arresti, ai processi, alle cariche della polizia, ma è un errore drammatico pensare che sia a questo livello che tali problemi possono trovare una soluzione. Si tratti di problemi che montano nei decenni e ci mettono un minuto a prendere fuoco, magari per un fraintendimento. Sul piano strutturale il problema è abbastanza semplice da descrivere: ampi movimenti migratori di persone su brevi periodi di tempo creano sempre tensioni, perché producono incertezza, insicurezza e competizione sul mercato del lavoro. Se poi queste persone presentano anche costumi o una cultura rilevantemente divergenti, le tensioni ne risultano ancora più esacerbate. Si tratta comunque di processi di carattere prevalentemente quantitativo. Le variabili decisive sono la quantità di persone per unità di tempo. Come diceva Polanyi, nei fenomeni sociali la variabile più importante è la loro velocità. Il medesimo mutamento se avviene in dieci o in cinquanta anni, semplicemente non è  il medesimo fenomeno e non ha le medesime conseguenze. Non si tratta di predicare società ermeticamente chiuse, che non sono mai esistite, ma di comprendere che l'alternativa non può mai essere il "liberi tutti". Qui alla rigidità ideologica conservatrice (che fu, e che ancora talvolta fa capolino) di una società etnicamente e culturalmente "incontaminata" ha fatto da contraltare negli anni una rigidità ideologica opposta e simmetrica, in cui la "contaminazione", il "multiculturalismo", il "melting pot" sono diventati altrettanti slogan pubblicitari, vaghi, retorici e soprattutto ipocriti.


Le argomentazioni del globalismo liberale hanno sempre mescolato disinvoltamente argomenti pseudo-utilitaristi (ci serve manodopera, chi ci pagherà le pensioni, ecc.) con argomenti pseudo-umanitari (iil dovere dell'accoglienza, l'amore per il diverso, il diritto d'asilo, ecc.). L'importante è sempre stato poter utilizzare una batteria argomentativa quando l'altra appariva momentaneamente implausibile. Ma di fatto i meccanismi profondi che hanno alimentato la retorica del "melting pot" qui sono di due soli tipi, un meccanismo crudamente economico e un meccanismo ideologico. Sul piano economico, la libertà di movimento della forza lavoro consente al capitale di ottenere mano d'opera a buon prezzo senza dover pagare per la crescita e l'educazione di quelle braccia, che arrivano pronte dall'estero. Questo processo abbatte il potere contrattuale del lavoro meno qualificato, tenendo bassi i salari. Sul piano ideologico, la visione liberale ha proposto un modello di universalismo astratto in cui le componenti culturali, linguistiche, religiose, e di costume sono considerate fattori marginali e contingenti, che era non solo possibile, ma doveroso mettere da parte. La combinazione di queste pressioni nel lungo periodo hanno creato ferite sociali profonde, squilibri, tensioni, tipicamente più percepite nelle fasce della popolazione meno abbiente. Spero di sbagliarmi, ma per alcuni paesi come Francia e Regno Unito non so se se ne potrà uscire con qualcosa di meno che una sorta di guerra civile. Non ci resta che sperare che in altri paesi ci siano ancora in margini per un allentamento dei processi degenerativi. Una cosa, comunque, è sicura. La retorica di chi dice che, siccome migrazioni ci sono sempre state, bisogna semplicemente "accogliere il cambiamento", è complicità nel degrado.


Andrea Zhok

mercoledì 31 luglio 2024

I cromosomi non mentono

Da quanto capisco - non seguo queste Olimpiadi come forma di boicottaggio privato - oggi nella categoria superleggeri donne gareggeranno Imane Khalif (Algeria) e Angela Carini (Italia). Auguro all'atleta italiana ogni bene e possibilmente la vittoria. Tuttavia c'è un problema non trascurabile. Imane Khalif - secondo quanto riportato dall'International Boxing Association nel 2023 - è biologicamente un uomo, in quanto l'analisi del DNA ha riportato la presenza di cromosomi XY e non XX. Peraltro, se uno dubitasse dell'analisi cromosomica, uno sguardo alla struttura fisica dell'atleta non lascia molti dubbi. Ora, in molti sport, e in modo particolarmente rilevante negli sport di combattimento, la differenza biologica tra chi ha avuto una crescita e pubertà maschile e chi ha avuto una crescita e pubertà femminile è molto marcata. La densità ossea è maggiore nei maschi, il che ha due implicazioni: conferisce maggiore resistenza alle percosse e, dipendendo la potenza di una percossa da massa per velocità, l'incremento della massa ossea conferisce maggiore potenza al colpo (le misurazioni medie danno una potenza di pugno maschile del 162% rispetto al pugno femminile). Anche i tempi di reazione sono inferiori e sia le fibre muscolari bianche, da cui dipende la velocità, che rosse, da cui dipende la resistenza, sono mediamente maggiori nei maschi. Chiedo scusa per essermi soffermato su queste banalità prosaiche, ma in un mondo in cui l'ideologia cancella la realtà, anche l'ovvio deve essere ribadito in forma dimostrativa.


E l'ovvio qui è che mettere su di un ring un atleta geneticamente maschio contro un'atleta geneticamente femmina è una grave scorrettezza. Può darsi che la sorte sia benevola, ma in generale è un'ingiustizia, con potenziali rilevanti rischi fisici. (Segnalo un dettaglio forse non noto a chi non ha praticato la boxe. Alle Olimpiadi si utilizza un caschetto per gli incontri. Il caschetto nella boxe è l'apoteosi dell'ipocrisia. Infatti il caschetto limita soltanto le ferite superficiali, i sanguinamenti delle sopracciglia o degli zigomi - preservando gli spettatori - ma i traumi cerebrali legati all'entità della percossa sono esattamente identici, e naturalmente sono quelli ad essere i più pericolosi nel medio periodo.) Ora, la questione è: come si è potuti arrivare a questo punto? Storicamente la cesura ideologica su questi temi avviene all'inizio degli anni '70. Fino ad allora le rivendicazioni di genere (first-wave feminism) avevano sollevato il sacrosanto tema dell'eguaglianza formale, legale, dei diritti tra persone di sesso, genere o inclinazione sessuale differente. 


A partire dai primi anni '70 si avvia invece un movimento ideologico con caratteristiche essenzialmente differenti, che non mira più al raggiungimento di diritti legali identici (in Occidente raggiunti), ma ad un non meglio precisato "superamento sostanziale" delle differenze. Di questo superamento sostanziale fanno parte numerose battaglie distinte, il cui punto di caduta comune però è il rifiuto della realtà materiale nel nome di una rivendicazione ideologica (o, per chi vi aderisce, ideale). Si tratta di una curiosa forma di idealismo, che inizia in sempre maggior misura a negare la realtà come se si trattasse di un improvvido accidente, qualcosa che dovrebbe essere superato di principio dall'autoaffermazione volontaria. Come in una novella forma di idealismo assoluto, l'Io si deve qui imporre al non-Io (alla Natura, alla Materia, alla Società). Di questa tendenza fa parte il rigetto delle differenze sessuali, viste come latrici di discriminazione, nel nome della "lotta al patriarcato", e ne fanno parte tutte le varie forme di rivendicazione dell'identità sessuale percepita, vista come come superiore all'identità biologica. L'intera tematica viene infine presa ostaggio dall'atteggiamento politicamente corretto, che rende ogni discussione aperta di tali questioni difficile, rischiosa, sempre sull'orlo di accuse infamanti. 


Il cerchio così si chiude. La prima mossa sanscisce la superiorità delle pretese idealistiche di una sorta di Io assoluto, che può e anzi deve imporsi sulla materia (sulla biologia, ma anche sulla realtà sociale). La seconda mossa, mette al sicuro dalle confutazioni le pretese di questo Io assoluto, isolandolo dalle critiche, attraverso una loro delegittimazione a priori (come omofobe, sessiste, retrograde, ecc.). E cosa resta fuori da questo cerchio splendidamente autoreferenziale?  Nulla. Nulla salvo la realtà, che anche se i suoi campioni sono stati silenziati, rimane tuttavia testardamente in piedi. Ed è la realtà che, con i suoi tempi, la sua implacabilità, e purtroppo anche le sue vittime sacrificali, finirà per fare giustizia di questo delirio culturale.


Andrea Zhok

sabato 27 luglio 2024

La cerimonia delle olimpiadi

Precisazione che dovrebbe essere superflua ma che non lo è mai in questa epoca di propaganda perpetua e di cervelli adagiati su schemi basici dove esiste solo il dualismo fra ideologie contrapposte. Il problema non è la presenza della diversità o dei diritti civili in una cerimonia che abbraccia (o dovrebbe farlo) la totalità delle tematiche di una realtà di certo complessa. La questione è legata ad una evidente forzatura che soddisfi il pensiero che definiamo "woke". Banalizzo e semplifico: "Devo far vedere che siamo una società progressista e, siccome non ho le capacità per dirigere una scena con originalità e che miri a rappresentare la realtà con tutte le sue ovvie criticità, costruisco una passerella e piazzo sopra una cinquantina fra transessuali, neri nudi, personaggi ambigui sui tacchi che destino scalpore abbracciando minorenni". Meryl Streep, nel film "Il diavolo veste Prada", guarderebbe inorridita, semplicemente per la mancanza di originalità e reciterebbe la battuta "avanguardia pura!" per sottolineare il compitino svolto in fretta e furia. Vuoi descrivere la Francia di oggi? Allora metti in piedi un rappresentazione prepotente sulla avanzata dell'Islam nel Paese, sulla creazione di ghetti di stampo nordafricano, descrivi la bellezza dell'architettura deturpata da vandali, narra le grandi lotte interne che hanno forgiato l'anima di questa Nazione gloriosa, abbi il coraggio di ammettere le falle indiscutibili del multiculturalismo, inebria il pubblico con la meraviglia della storia e delle rivoluzioni con lo sfondo di una città eternamente magica ma solo nei sogni o nei ricordi o nei film, in totale contrasto con la durezza del vivere, con il fenomeno della sostituzione etnica, spiegami la selezione dei cadaveri ucraini che portano all'esclusione della Federazione Russa rispetto ai cadaveri palestinesi che lasciano una scia macabra di indifferenza come quella che si trascina la barca su cui viaggia la delegazione israeliana. Ecco, è complicato mettere in scena il brutto che un Paese ha da offrire? Lo è, ne sono consapevole. Questa però sarebbe una bella cerimonia, coraggiosa, all'avanguardia tanto che la stessa Meryl Streep, nella vesti del personaggio di cui sopra, rimarrebbe senza le sue proverbiali argute risposte. Dunque, a mio giudizio, pur salvando il finale emozionante con il ricordo di quella immortale artista che fu Edith Piaf, ho assistito ad un compendio di menzogne e di retorica scarna di bellezza, di luce, di coraggio. Ad ognuno il suo.


Giovy Novaro

lunedì 22 luglio 2024

Biden e Kamala Harris

Adesso tocca anche ascoltare  la retorica sul grande presidente che si ritira, piegato dall'età, per lasciar spazio alla sua valente collaboratrice. Di fronte a questo maldestro tentativo di creare un nuovo improbabile santino, sarà bene ricordare che Biden è salito alla presidenza attraverso un colpo di stato (l'operazione COVID) e una frode elettorale e fin dall'inizio non era nelle condizioni fisiche e mentali per esercitare il suo mandato. Il suo quadriennato è stato uno dei più sanguinosi della storia recente. Gli Stati Uniti hanno assunto una posizione aggressiva nei confronti della Russia, della Cina, dell'Iran, della Siria, di tutti, fomentando guerre ai quattro angoli del mondo. Anche sul piano della politica interna i suoi risultati (quelli cioè dei poteri che lo hanno avuto sotto tutela) sono fallimentari. Tutti i problemi strutturali del paese, dallo squilibrio commerciale alla diffusione esponenziale degli stupefacenti tra la popolazione,  si sono aggravati. L'unica risposta concreta a queste sfide è stata il bellicismo esasperato e l'aumento, a livelli deliranti, della retorica politicamente corretta. Quanto alla sua erede designata, la sua presidenza potrebbe forse riempire di gioia le femministe esaltate, quelle che ritengono che l'essere donna sia, di per sé, un merito per una personalità politica. Chi però ritiene che tra donna e donna, come fra uomo ed uomo, vi siano delle differenze, per cui, ad esempio, Rosa Luxembourg non è la stessa cosa di Ursula Von der Leyen, non può non prendere atto che Kamala Harris è espressione di quegli stessi poteri che hanno manovrato Joe Biden ed è destinata, qualora fosse eletta, a continuarne la politica. Ci sono forti dubbi che Trump voglia, sappia e possa cambiare strada. Di sicuro Kamala Harris questa strada disgraziata continuerebbe a percorrerla a piena velocità.


Silvio dalla Torre