mercoledì 29 settembre 2010

08 Gen 2010

E’ possibile integrare i musulmani in Italia?

La presenza di un milione e mezzo di musulmani in Italia è una minaccia per l’identità italiana oppure una risorsa di dialogo, scambio culturale, integrazione di nuovi cittadini italiani in un paese come il nostro, dove gli anziani ormai sono più numerosi dei giovani? Ambedue i punti di vista hanno qualcosa di vero. Su tutto si può essere d’accordo (accoglienza, aiuto, fraternità, dialogo, confronto, scambio), il termine che fa difficoltà è “integrazione”: è possibile integrare pienamente nel popolo italiano una consistente minoranza musulmana, che tende ad aumentare per le continue immigrazioni e il tasso di crescita demografico? Si noti che nessuno fa difficoltà per integrare in Italia, con la concessione della cittadinanza italiana, immigrati dall’America Latina, dall’Europa dell’Est, dall’Africa nera e anche dai paesi asiatici come Filippine, India, Cina, Sri Lanka, Vietnam, ecc. Ma è possibile integrare nel popolo italiano immigrati musulmani in numero consistente? La storia ci dice che fin dall’origine dell’islam, un popolo musulmano non si è mai integrato, come consistente minoranza, in nessun paese non islamico. E’ un dato di fatto che non si può negare, non esistono casi contrari. L’esempio classico è quello dell’India. L’invasione e la conquista islamica dell’India inizia col Mahmud di Ghazna (997-1030) che occupa il Punjab, a cui seguono vari principi e condottieri, con la costituzione di altri regni islamici, fino al 1526 quando Baber, un discendente di Tamerlano, sconfigge il sultano di Delhi e dà origine all’impero Moghul (mongolo), che governa l’India fino al 1858. La colonizzazione inglese blocca l’islamizzazione del grande paese asiatico.

Per più di tre secoli popolazioni indù e islamiche, delle stesse etnie o razze e della stessa lingua, convivono negli stessi territori, ma assolutamente non si integrano. E quando nasce nel 1885 il “Partito del Congresso”, subito proclama la sua laicità, assicurando parità e libertà religiosa a tutti. Ma i musulmani creano la “All India Muslim League”, che infiamma il popolo islamico martellando lo slogan: “Fuori dall’India indù per restare fedeli all’islam”. Così i nazionalismi indiani che manifestano e lottano contro l’Inghilterra per l’indipendenza sono due, nonostante che grandi personalità come Gandhi e Nehru promettano ai musulmani piena libertà di diritti, come a tutte le minoranze religiose. Quando il 15 agosto 1947 l’Inghilterra si ritira, l’India si divide in due stati rivali, uno indù (India) e uno musulmano (Pakistan), che finora hanno combattuto tre guerre. Sappiamo cos’è successo in Kossovo e in Bosnia, dove popolazioni cristiane e musulmane non si sono assolutamente integrate dopo cinque-sei secoli di convivenza. E anche paesi liberi e democratici come Inghilterra, Francia e Olanda, che ospitano consistenti minoranze islamiche concedendo loro tutte le libertà e i diritti di cittadinanza, non riescono ad integrarle nei rispettivi popoli, ormai laicizzati al massimo e in grande maggioranza non più “praticanti” la fede cristiana. Anzi, figli e nipoti dei primi immigrati musulmani mezzo secolo addietro, o anche prima, oggi si scopre che almeno in parte sono seguaci dell’estremismo islamico. Il governo laburista di Gordon Brown ha di fatto riconosciuto la poligamia, riconoscendo gli assegni familiari ai musulmani poligami che sono sposati in paesi dove questa forma di matrimonio è permessa. Sono molti i fatti da citare, che dimostrano come la “Sharia” (legge islamica) sta penetrando ed è riconosciuta in paesi europei (che hanno una forte minoranza islamica). Nella stessa Inghilterra, ad esempio, i tribunali islamici della “Sharia” possono da anni legiferare e giudicare in tema di diritto familiare. E in Germania non pochi verdetti emessi dai tribunali tedeschi citano principi o consuetudini legate al diritto islamico. Ad esempio, un giudice di Dortmund ha stabilito che un padre può picchiare la figlia quindicenne che non vuole indossare il velo; e un altro di Francoforte, sempre facendo riferimento ad un passaggio del Corano, ha stabilito che il marito può picchiare la moglie, “in quanto ambedue sono musulmani”.

Questi sono dati di fatto di cui bisogna tener conto, per dare un giudizio sul tema che interessa oggi la politica italiana e rispondere all’interrogativo di fondo: è possibile “integrare” la consistente minoranza islamica nel nostro popolo, dando loro la cittadinanza italiana? Giovanni Sartori così conclude un editoriale su questo tema (“Corriere della Sera”, 20 dicembre 2009): “Illudersi di integrare (i musulmani) italianizzandoli è un rischio da giganteschi sprovveduti, un rischio da non rischiare”. Giudizio esagerato, ma che esprime una mentalità abbastanza diffusa. Però è anche vero che, dopo un certo numero di anni di residenza e di lavoro in Italia, non è possibile negare la cittadinanza ai lavoratori stranieri; e non è pensabile discriminare i musulmani dandola solo a quelli che sono cristiani o buddhisti o indù. Il problema, come si vede, è molto complesso. Che fare? Una risposta, almeno in teoria, forse esiste, ma vorrei prima sentire il parere di amici lettori. Scrivetemi, grazie e Buon Anno a tutti.

Piero Gheddo

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