sabato 1 febbraio 2025

La riforma della giustizia

Con la coccarda appuntata sul fiero petto e la Costituzione sventolata qual drappo ribelle, patetiche figure togate lanciano striduli strali, prefigurando desolanti scenari giuridici e vitali, semmai la famigerata riforma sulla nefasta separazione delle carriere venisse approvata. Vorrei allora tentare l’ardua impresa di spiegare, in parole semplici e chiare, ai non addetti ai lavori, la sostanza e gli scopi della riforma…per chi avrà la voglia e la pazienza di seguirmi. La Riforma verte su tre punti:

1) la SEPARAZIONE DELLE CARRIERE tra magistratura requirente e magistratura giudicante;


2) la nomina per accedere al CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, finalizzata ad eliminare il potere delle correnti politiche;


3) la nuova procedura per le VIOLAZIONI DISCIPLINARI dei magistrati.


Per quanto riguarda la SEPARAZIONE DELLE CARRIERE, la riforma mira a separare la figura del Pubblico Ministero – magistratura requirente (colui che formula l’accusa), da quella del Giudice – magistratura giudicante (colui che valuta se quell’accusa è fondata o meno). Le due figure non compaiono solo nel processo, ma anche nel corso delle indagini. Se, per esempio, il Pubblico Ministero vuole intercettare un indagato deve chiedere al Giudice il decreto.  Se vuole che l’indagato sia arrestato deve inoltrargli una richiesta di ordinanza di custodia cautelare in carcere.  Se i termini delle indagini sono scaduti e vuole continuarle, deve proporre al Giudice una proroga. A conclusione delle indagini gli chiederà di processarlo e al termine del processo di condannarlo. Ebbene, un Giudice imparziale non dovrebbe avallare ciecamente qualsiasi richiesta del PM, bensì vagliare obiettivamente le fonti di prova raccolte, comprese quelle individuate nel corso delle indagini difensive, e prendere le sue decisioni. Ma esiste questa equidistanza tra accusa e difesa? Assolutamente NO!


PM e Giudici sono indissolubilmente legati tra loro e i ruoli sono finanche, seppur in rari casi, intercambiabili. Fanno lo stesso concorso, la stessa carriera, spesso appartengono allo stesso sindacato, alla stessa corrente, ma soprattutto appartengono… allo stesso Consiglio Superiore della Magistratura! Ed è nel CSM, organo di autogoverno della magistratura, che si decidono i trasferimenti, le promozioni, le nomine ai gradi apicali, le sanzioni disciplinari. Tale perverso connubio può quindi portare inevitabilmente il Giudice a soddisfare le richieste del PM… di quello stesso PM che un domani, lui o la sua corrente, potrà assurgere agli scranni del CSM e decidere la sua promozione, il suo trasferimento, la sua punizione disciplinare. Ecco che, per evitare ciò, la riforma si pone l’obiettivo di separare le due figure creando due CSM differenti: uno per i PM, l’altro per i Giudici. In tal modo i Giudici avranno il loro organo di autogoverno e saranno del tutto indipendenti dai PM.


La netta distinzione tra le due figure, oltre che a garantire vera parità tra accusa e difesa e finalmente la presenza di un giudice terzo e imparziale, potrà inoltre migliorare la professionalità dei magistrati. Si stratta, infatti, di due funzioni completamente diverse, con un'impostazione differente. Tanto deve essere partecipe il primo, quanto distaccato l'altro. Il PM non solo deve saper seguire le indagini della Polizia Giudiziaria, ma, una volta concluse, deve imbastire la strategia processuale. Essere capace di presentare in udienza il materiale probatorio in maniera convincente. E stare in udienza è un'arte che spesso i nostri PM non conoscono affatto. Il Giudice, invece, deve essere un profondo giurista. Abile nel dirigere con equità la fase pre-processuale e il dibattimento. Saper valutare con distacco le fonti di prova raccolte da accusa e difesa e motivare con rigore logico ogni sua decisione. Perché il diritto è logica. E in certe sentenze la logica spesso latita. Come tutto ciò possa fa “perdere autonomia ed indipendenza” ai magistrati non è dato sapere. Per quanto riguarda LA NUOVA COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, del cui potere abbiamo parlato, la domanda da porsi è la seguente: 


Come si viene nominati oggi al CSM? Un magistrato che voglia candidarsi deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme dei suoi colleghi. Pare facile, ma non lo è. In una piccola procura non c'è neanche la metà dei magistrati a cui chiedere la firma. Ne consegue che l’unico ente in grado di raccogliere il numero di firme necessarie è la “corrente” (Magistratura Democratica, Unicost, Area, Magistratura Indipendente e via cantando). Ogni corrente fa riferimento ad una ideologia politica… e già basterebbe questo per farci rabbrividire. Se un magistrato, seppur bravo e stimato dai colleghi, non ha l’appoggio di una corrente, non ha speranza alcuna di far planare le proprie terga su quegli scranni. E così, tali associazioni politicizzate divengono veri centri di potere in grado di condizionare l’intera macchina della giustizia, con le disastrose conseguenze che il clan Palamara ci ha insegnato. Ebbene, la riforma mette la parola fine a questa oscenità. Ogni magistrato, anche quello apolitico e non inserito in alcuna corrente, si potrà candidare nei due CSM poiché l’elezione avverrà per sorteggio. Non essere d’accordo significa o essere complici o, peggio, beneficiari della politicizzazione nella magistratura.


E ora l’ultimo punto: LE VIOLAZIONI DISCIPLINARI.


In linea di massima un magistrato, per la veste che ricopre, se sbaglia dovrebbe essere giudicato più severamente di un qualunque cittadino. Invece oggi accade l’esatto contrario. La valutazione disciplinare, come abbiamo detto, è compito del CSM che, essendo composto nella quasi totalità da magistrati, fa le cose in famiglia seguendo la prassi costante dell'indulgenza. E così, non si contano i casi eclatanti di magistrati che ne hanno combinate di ogni, senza pagare conseguenza alcuna. Potrei citare il caso di un giudice che fece scarcerare una persona con un ritardo di sei giorni ma non ebbe alcuna sanzione disciplinare poiché “viveva una situazione familiare critica, che gli procurava preoccupazione”. O di un altro che guidava ubriaco, ma la sua condotta non fu ritenuta “degna di nota”. Per finire con un altro ancora che dimenticò un minore in cella oltre la scadenza dei termini, ma per la sezione disciplinare del Csm si trattò di un fatto “scarsamente rilevante”. Basti analizzare il numero delle azioni disciplinari avviate nel 2023. Su 90 richieste di provvedimenti, solo 15 magistrati sono stati condannati in sede disciplinare dal Csm, di cui 8 con la “censura”, la sanzione più lieve che non incide sulla carriera. Ebbene, la riforma mette una pietra tombale su questo obbrobrio.


Non sarà più il CSM, anzi i CSM, ad avere competenza sui provvedimenti disciplinari, bensì l’ALTA CORTE DISCIPLINARE, composta oltre che da sei magistrati, anche da sei professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio (ovviamente tutti estratti a sorte). Ora, se avete avuto la pazienza di leggere fino a qui, conoscete nel merito la riforma che fa tanto indiavolare le toghe incoccardate che sventagliano i fumi della rabbia con la Costituzione. Quei giudici che hanno sdegnosamente e con supponenza voltato le spalle ai rappresentanti del governo, sono gli stessi che da anni le hanno voltate al popolo italiano. Ed è il momento che il popolo le volti a loro. E lo faccia per ricordargli che non sono una casta privilegiata e neanche un potere sovrastante, intoccabile e insindacabile. Sono solo pubblici ufficiali, appartenenti ad un ordine dello Stato chiamato ad applicare le leggi.. anche quelle che non gli piacciono.


Salvino Paternò