martedì 27 maggio 2014

Europee italiane, problemi di comunicazione...

Elezioni europee 2014, dalla Germania all’Uk gli italiani che votarono due volte. Il direttore di Die Zeit Giovanni Di Lorenzo, italo-tedesco, racconta in tv di aver espresso le sue preferenze sia al consolato, per le liste italiane, sia ad Amburgo, per quelle tedesche. Ma la legge lo vieta e la Procura apre un'inchiesta. La stessa cosa era successa a un nostro collaboratore a Londra. Fonti diplomatiche: "Problemi di comunicazione con autorità locali"

Quanti italiani hanno votato due volte alle elezioni europee, infrangendo, magari, inconsapevolmente, la legge? L’italo-tedesco Giovanni di Lorenzo, direttore del settimanale Die Zeit, ha raccontato in tv di averlo fatto, una volta come italiano e l’altra come tedesco. Non è un caso isolato. Un collaboratore di ilfattoquotidiano.it, italiano residente a Londra, si è trovato in una situazione identica. Dopo aver votato per le europee italiane attraverso il consolato, si è visto consegnare anche la scheda per le europee “inglesi” quando si è presentato al seggio delle amministrative di un Comune della Grande Londra. Non ne ha approfittato, ha segnalato l’inconveniente e fonti dipolomatiche italiane a Londra hanno ammesso “problemi di comunicazione” tra le autorità dei due paesi. Ma per la legge italiana, il doppio voto resta un reato penale che prevede “la reclusione da uno a tre anni e la multa da euro 51 a euro 258”, secondo l’articolo 49 della legge 18/1979.

Di Lorenzo ha svelato l’episodio nello studio di Guenther Jauch, conduttore del primo talkshow politico della Germania. Il giornalista è stato denunciato, e la procura di Amburgo ha aperto un’inchiesta a suo carico. Di Lorenzo ha spiegato di aver votato una volta al consolato italiano di Amburgo, come cittadino italiano, e una volta nella scuola elementare della città del nord come cittadino federale. “Mi dispiace davvero – si è giustificato con la Bild -. Non sapevo che non fosse permesso votare in due Paesi. Se lo avessi saputo non lo avrei fatto, e naturalmente non lo avrei raccontato nella trasmissione di Guenther Jauch’’.

lunedì 26 maggio 2014

Del non crederci e della sindrome di Stoccolma

In pratica, hanno già scritto tutto lei, lui e lui. Però... c'è più di qualcuno che non crede a quel 40 e passa percento e qui c'è una opinione che prendiamo con le pinze. Poi, un articolo che merita di essere pubblicato per intero e l'articolo è di Eugenio Orso. Preso direttamente dal suo blog. Ribadisco la mia, non è possibile che si siano fatti comprare per 80 euro una tantum. Perchè se così fosse, bisognerebbe che si facciano curare da psichiatri molto competenti perchè a questo punto, la sindrome di Stoccolma è una cosa gravissima. Il peggio è che in questo schifo ci veniamo trascinati anche noi che abbiamo (o non abbiamo) votato diversamente usando il cervello.

The day after, ossia l’Italia senza speranza di Eugenio Orso   

Ciò che è accaduto domenica, in occasione delle elezioni per il parlamento europeo, è troppo poco definirlo sconcertante. Scioccante potrebbe andare un po’ meglio, ma è ancora insufficiente. Verrebbe da dire che gli italiani non hanno memoria e neppure spina dorsale, che non solo non imparano dai propri errori, ma ne commettono sempre di peggiori. Il voto a valanga al pd di Renzi, euroservo e filo-atlantista – impegnato a ridurre l’Italia a un cumulo di macerie sociali e produttive per conto delle aristocrazie del denaro e della finanza – lo testimonia nel peggior modo possibile. Potremmo forse parlare di “Sindrome di Stoccolma”, visto che il consenso è stato amorevolmente concesso ai carcerieri e kapò piddini, che si celano dietro l’immagine promozionale di Renzi. Mentre nel resto d’Europa si moltiplicano i segnali di ribellione all’unionismo elitista e alle politiche antisociali, in Italia accade esattamente il contrario e la sinistra neoliberista, atlantista ed europoide, incarnata perfettamente dal pd, raggiunge il massimo storico dei consensi. Solo in germania i governativi tengono, ma sappiamo che la germania beneficia, per ora, della trappola dell’euro e delle politiche di austerità imposte agli altri paesi. Per questo vorrebbe prolungare all’infinito, a proprio vantaggio, l’agonia degli altri popoli europei. Votare come i tedeschi – anzi, peggio – per chi l’”europa” finanziaria e monetaria la subisce sulla propria pelle, è degno di un incubo alla Sacher-Masoch, in cui ci si mette volontariamente alla mercé del carnefice-torturatore.

Evidente che coloro che hanno votato in massa per il pd non possono essere tutti “patrimonializzati”, membri della classe globale, ricchi deterritorializzati che plaudono al mercato senza confini. Nulla di buono ricava, la massa degli elettori del pd, dalle privatizzazioni e dalla libera circolazione dei capitali, nonché da una moneta privata sopranazionale che ci toglie l’ossigeno. In molti casi quelli che hanno votato pd sono semplici impiegati, pubblici e privati, a rischio “mobilità” e decurtazione delle paghe, pensionati se non al minimo, in relative ristrettezze, e giovani precarizzati che nessuno stabilizzerà. Costoro, se non fossero obnubilati o addirittura lobotomizzati, avrebbero tutto l’interesse ad appoggiare politiche opposte a quelle che l’”europa” impone al paese. Ironia della sorte, attraverso i collaborazionisti piddini e renziani, tanto baciati dal voto di massa. Ci vorranno altri cinque milioni di disoccupati e inoccupati, valanghe di “dismissioni” di partecipazioni azionarie pubbliche a vantaggio dei privati, il collasso della sanità e dei trasporti, perché costoro “si sveglino” e comincino a capire? Per come stanno le cose in Italia, forse non basterà neppure quello …

Se i votanti sono il 58,68% degli aventi diritto e il pd ha avuto il 40,81% dei consensi scrutinati, significa che ben il 23,95% dell’intero corpo elettorale ha votato per il partito neoliberista, euroservo e filo-atlantista. Quasi uno su quattro – un numero enorme – ha votato contro i suoi stessi (e i nostri) interessi vitali, approvando l’applicazione di tutti i “trattati europei” e la continuazione del rigore contabile che ci sta distruggendo. Quale popolume idiotizzato, privo di coscienza politica e sociale, ridotto dai media e dall’avversa situazione economica a forma di vita subumana, può arrivare a questo punto? Quello italiano, con tutta evidenza, e non è più il caso di nasconderlo o di cercare attenuanti.

Per la verità, si dovrebbe considerare attentamente il dato dell’astensione assieme ai quozienti elettorali dei partiti, prima di condannare senza appello gli italiani. Assumiamo come dato il 41,32%, che corrisponde a circa venti milioni di aventi diritto. Altro numero enorme, molto superiore al voto per il pd. Questo numero, per quanto grande, non è omogeneo e non indica un’unica tendenza. C’è l’astensione detta “fisiologica”, che pesa per alcuni punti percentuali sul totale. C’è l’astensione che possiamo definire “di lungo periodo”, riguardando coloro che da molti anni si tengono lontani dalle urne, con varie motivazioni (sono tutti uguali, tanto non cambia niente, eccetera), la quale pesa percentualmente più di quella fisiologica. Poi c’è un astensionismo più recente, che riguarda i neodisgustati e coloro che capiscono di non avere alcuna rappresentanza dentro il sistema. Questo astensionismo è cresciuto, non a caso, di pari passo con la perdita di sovranità politica e monetaria dello stato nazionale e con lo svuotamento in termini di rappresentanza dei partiti/ cartelli elettorali.  Eccezion fatta per sparute minoranze, l’astensione non esprime – quale esatto contrario del voto al pd – una chiara coscienza politica, la consapevolezza della questione sociale che attraversa il paese, una motivata opposizione al sistema e al dominio del mercato sovrano (che si è fatto un sol boccone della politica). In questa vastissima area che si tiene lontana dalle urne, sconforto, paura del futuro, instabilità esistenziale e lavorativa, superficialità e ignoranza, purtroppo la fanno da padrone.

Per quanto Grillo corra ai ripari, masticando l’amaro boccone della sconfitta e trasformando il “vinciamo noi” in un più possibilista e indeterminato “vinciamo poi”, è indubbio che assieme al pd renziano hanno vinto le forze della sottomissione ai poteri esterni, della rassegnazione e della sconfitta. L’attivismo di Renzi, privo di risultati positivi per il popolo, attrae come nella notte la luce le falene una massa obnubilata, manipolata e diminuita intellettualmente. Una massa di idiotizzati che scambia le “necessarie riforme” per una futura, concreta possibilità di rinascita del paese, mentre altro non sono che manovre neoliberiste imposte all’Italia dal grande capitale finanziario. Non ci saranno alternative, anche se si finge un’alternativa, a uso e consumo del popolume affascinato dalla loquela e dall’immagine “briosa” di Matteo Renzi. Il programma da applicare è sempre quello del 5 agosto 2011, contenuto nella lettera bce di Trichet/ Draghi all’allora governo Berlusconi. Quelli che hanno votato per il guitto fiorentino non capiscono di aver votato contro se stessi e il proprio paese. Non sanno che il pd non è un vero partito nazionale, in rappresentanza di interessi italiani, ma la “longa manus” degli oligarchi europidi e americano-occidentali che ci tengono in pugno. Qui sta la grande abilità del marketing politico targato pd, che opera con il supporto di quasi tutti i media nazionali. Capacità di imbrogliare, di mentire, di subornare, di alterare la realtà fino alle estreme conseguenze, fino a rovesciare la prospettiva del male in quella del bene.

Mai come ora vale ciò che ho scritto un po’ di tempo fa nel post Perché dobbiamo stare dalla parte della Russia e del Fronte Nazionale Francese (3 marzo 2014, Pauperclass): Partiamo dal presupposto che l’Italia, data la situazione di totale subalternità all’unione europoide euronazista, alla nato guerrafondaia e agli usa con velleità imperiali, non può liberarsi da sola ed è, quindi, condannata. A ciò si aggiunge la passività di una popolazione in gran parte, ormai, “individualizzata”, rimbecillita e impaurita dal futuro che l’aspetta. Non è escluso, tuttavia, che accadimenti esterni di una certa importanza potranno influire sul quadro politico interno, risvegliando l’antagonismo nel paese. L’ultima possibilità che resta all’Italia, prima di diventare un cimitero industriale popolato da masse di straccioni disoccupati, è quella della ”scossa” improvvisa determinata da eventi internazionali, dentro e/o fuori del vecchio continente, di portata storica. Dopo il risultato choc delle europee, non credo che ci rimanga qualche altra speranza…

sabato 24 maggio 2014

Di noi due...

Gli imbrogli della ue

Mossa elettorale di S&P-Fitch: promosso chi si piega all'Ue. Le due agenzie alzano il rating di Grecia e Spagna anche se nei due Paesi non c'è ombra di ripresa. E la decisione sembra fatta apposta per frenare la corsa dei partiti euroscettici di Rodolfo Parietti

Fiato alle trombe del giudizio. Non quello universale, bensì quello spesso controverso delle agenzie di rating. A una manciata di ore dalle elezioni europee, Standard&Poor's e Fitch emettono suoni vellutati nei confronti di Grecia e Spagna, non più appartenenti alla razza inferiore dei Pigs (l'acronimo dispregiativo che marchia i Paesi del Club Med con i conti fuori controllo), ma bravi alunni che stanno facendo i compiti assegnati. Ciò vale quindi una promozione: S&P ha migliorato ieri il voto di Madrid da BBB- a BBB (lo stesso livello dell'Italia) in virtù delle riforme strutturali realizzate, mentre la consorella americana ha alzato la valutazione di Atene da B- a B grazie all'avanzo primario 2013.

Se a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina, allora qualche sospettuccio sul timing scelto dalla coppia è lecito averlo. I precedenti, del resto, non depongono a favore delle Signore del rating sovrano, spesso vere e proprie bombe a orologeria pronte a detonare alla bisogna. L'Italia ne sa qualcosa. Furono proprio S&P e Fitch a mettere in dubbio, tra il maggio 2011 e il gennaio 2012, sia l'affidabilità creditizia del nostro Paese, sia l'azione di risanamento intrapresa contribuendo all'impazzimento dello spread. Fitch minacciò più volte di declassarci, S&P passò direttamente ai fatti tagliando di ben due gradini (da A a BBB+) il rating tricolore. Fatti, peraltro, che saranno al centro di un processo a Trani.

Insomma: riesce difficile non trovare qualche corrispondenza tra l'upgrade di Grecia e Spagna e l'ormai imminente appuntamento con le urne. Sui mercati come a Bruxelles, in molte cancellerie europee fino ad alcuni organismi internazionali, serpeggia la paura di un'affermazione dei partiti no-euro o, comunque, di quelli che intendono rottamare le politiche di austerity. Così da riportare l'economia sul sentiero di una crescita che deve, necessariamente, passare da un rilancio degli investimenti e dell'occupazione. Bene. Le agenzie di rating sono da sempre in prima fila quando c'è da sostenere la filosofia del rigore. Costi quel che costi. Recessione? Passerà: basta far le riforme, e i risultati arriveranno. Troppa gente a spasso? Un tributo inevitabile al consolidamento dei conti pubblici. Il messaggio subliminale (ma neanche tanto) lanciato a greci e spagnoli sembra questo: «Attenti a chi votate: il vostro governo si è comportato bene, e ora lo abbiamo premiato. Se abbandonate questa strada, chissà...». D'altra parte, dopo ben tre anni, Moody's ha di recente assegnato all'Italia un outlook favorevole, non senza aver prima ricordato che «le possibilità che un partito politico guadagni il potere sulla base di una piattaforma che preveda un'uscita dall'euro rimangono non trascurabili».

Il problema, tuttavia, è convincere milioni di elettori che la situazione economica sia davvero migliorata grazie alle cure draconiane imposte. I dati della Commissione europea su Grecia e Spagna sembrano raccontare un'altra storia. Dopo esser sceso del 3,9% lo scorso anno, il pil ellenico dovrebbe tornare quest'anno sopra la linea di galleggiamento con un asfittico 0,6%. Un po' poco per un Paese che tra il 2012 e il 2013 ha perso quasi 10 punti di ricchezza nazionale e che a fine anno dovrà fare i conti con un tasso di disoccupazione del 26% e consumi in calo dell'1,8%. Quanto alla Spagna, anche se crescerà a fine dicembre dell'1,1%, i senza lavoro saranno il 25,5%. Olè.

Il rottamatore richiama i rottamati zombie

Renzi sa solo fare promesse e si affida ai big dell'ex Pci. Il premier chiude la campagna sotto tono a Firenze. D'Alema e Veltroni in campo per aiutarlo. L'ex segretario Pd: "Spero che Matteo superi il mio risultato del 2008" di Laura Cesaretti

Giunti all'ultimo giorno, il Pd serra i ranghi e scendono in campo anche i veterani per combattere l'ultima, incerta battaglia. C'è Matteo Renzi, che sa di giocarsi domenica buona parte del suo futuro da premier, che convoca una conferenza stampa a Palazzo Chigi per mettere sul piatto (tramite immancabili slide) i risultati del governo e che ammette: «Devo fare autocritica, non siamo riusciti a far passare il messaggio delle cose realizzate. C'è stata una grande abilità di alcuni leader nel cancellare anche le riforme fatte». Secondo Renzi, «i provvedimenti assunti fino ad ora dal governo non sono ancora sufficienti a cambiare verso ma è difficile trovare altri governi che in 80 giorni hanno realizzato risultati così concreti e questo è per noi un elemento di stimolo».

C'è Walter Veltroni che gira per il Nordest per dare una mano ai candidati Pd alle Europee e che spiega a Huffington Post: «Sono l'unico recordman che si augura di essere battuto. Spero che domenica il Pd vada oltre il risultato del 2008». Oltre quel 34% che proprio lui, allora segretario del Pd e candidato premier, riuscì a sfiorare - nonostante il grave handicap dell'ultimo, tragicomico governo Prodi appena caduto - e che da allora è rimasto il sogno irraggiungibile dei suoi successori. Veltroni sponsorizza generosamente Renzi («Ha fatto tutto quello che doveva e poteva fare, in questa campagna elettorale. Mi auguro un ottimo risultato») e la candidata Alessandra Moretti, capolista a rischio bocciatura perché l'Emilia del suo primo talent scout, Pier Luigi Bersani, le ha chiuso le porte.

E c'è Massimo D'Alema, che denuncia inquietanti scenari speculativi e manovre finanziarie dietro il gran battage pubblicitario su Grillo e la mirabolante avanzata delle sue truppe, date da alcuni rilevamenti alla pari, se non addirittura in testa sul Pd. «Queste voci hanno fatto balzare verso l'alto lo spread - spiega - e quindi poi chi le ha diffuse ha comprato titoli a maggior rendimento bisogna stare molto attenti alle voci che vengono messe in giro». Il partito dell'ex comico, ricorda, «era già il primo partito alle Politiche del 2013, ma tutto questo è stato rimosso e quindi si è inventato che siamo di fronte alla ascesa del Movimento 5 Stelle. Invece questa volta Grillo sarà secondo».

Comunque vada, assicura Renzi da Roma, il governo «andrà avanti», la coalizione che lo sostiene (e che pure è anomala, ricorda, visto che i partiti che la compongono appartengono a tre diverse famiglie europee: Pse, Ppe e Alde) «rimarrà quella attuale» e soprattutto «le riforme andranno avanti comunque: non arretro di mezzo centimetro». Giovedì sera la manifestazione di chiusura della campagna elettorale ha lasciato un po' di amaro in bocca: Piazza del Popolo era meno affollata che in altre occasioni (colpa anche di «un Pd romano diviso in gang che si fanno la guerra con ogni mezzo, e che Renzi dovrebbe affrettarsi ad asfaltare», spiega un dirigente Pd) e la manifestazione è stata disturbata da un manipolo di attivisti dei centri sociali armati di bandiere No Tav (e non solo, visto che è stato sequestrato dalla Digos anche un pugnale) che hanno provocato tafferugli e scontri anche fisici con il servizio d'ordine Pd. Risultato: quaranta fermati dalla polizia. Ieri sera, chiudendo il suo tour de force prima del sabato di silenzio elettorale, il premier è tornato là da dove era partito, nella sua Firenze. Proprio dove Grillo ha evocato il fantasma di Berlinguer, ergendosene a presunto erede, per tentare di costringere il candidato successore di Renzi, Dario Nardella, alla beffa del ballottaggio.

venerdì 23 maggio 2014

Ma... ma...

... non voleva togliere la pensione di reversibilità a sua nonna? Invece ora pensa di elargire 80 euro al mese (per quanti mesi?) ai pensionati? Tuttavia, non s'è inventato niente di nuovo riguardo la grandiosa conferenza stampa con tanto di slide... ricorda qualcuno, anni fa con il patto con l'italiani. Oh, dimenticavo, se votate il Pd, votate per Shultz (che è il kapò tedesco), se votate per FI, votate per Junker che è l'uomo della Merkel...

L'ultima carta di Renzi? La propaganda elettorale. Dopo aver detto di volere sottrarre le proposte del governo alla discussione elettorale, Renzi si fa un mega spot elettorale di Domenico Ferrara

Hai voglia a dire che le elezioni europee non rappresentano un voto sul governo e che l'operato dell'esecutivo non deve essere usato durante la campagna elettorale. La verità è che il terreno su cui cammina Matteo Renzi è fragile e quindi è meglio la propaganda rispetto al silenzio. Ecco dunque che dopo le innumerevoli comparsate televisive, oggi il premier annuncia gongolante la conferenza stampa in cui sciorinerà le cose fatte dalla sua compagine governative. "Alle 12 conferenza stampa su questi primi 80 giorni di governo. Dieci slide con le cose fare e i cantieri aperti", ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio rivolgendo poi "un pensiero affettuoso agli amici gufi".

Insomma, è passato il tempo in cui tronfio e sicuro dichiarava che "anche per evitare di fare campagna elettorale, le riforme sono rimandate a fine mese" perché "vogliamo sottrarre le nostre proposte alla discussione elettorale, motivo per cui abbiamo accettato l’invito che la discussione assembleare al Senato si possa fare dopo il 25/5". E ancora: "È un atto che personalmente e anche politicamente un po' mi costa". Evidentemente gli è costato troppo. E così ha deciso di rimangiarsi la parola e giocarsi la carta dello spot elettorale.

Si parte dunque con la slide degli 80 euro (che "non sono un’elemosina, ma è giustizia sociale") e con la promessa che il bonus andrà anche a pensionati e partita Iva e con quella di un abbassamento delle tasse, poi con quella sui provvedimenti sul mercato del lavoro, sulla scuola (con l'annuncio di 10mila nuovi cantieri per l'edilizia scolastica), sulla cultura, sulle riforme e così via. Ho il "desiderio di rassicurarvi del fatto che in questi giorni di intensa campagna elettorale non soltanto si è continuato a lavorare in modo molto deciso e determinato ma si sono gettate le basi per un autentico cambio di prospettiva della nostra azione di governo. Chi ha pensato in questi primi ottanta giorni che i nostri fossero interventi spot deve ricredersi vedendo il filo logico dei nostri provvedimenti", ha dichiarato il premier.

giovedì 22 maggio 2014

Al vintage forum (anni 40/50/60)

Vecchie radio

60 anni di Giulietta Alfa Romeo

Auto e moto (con sidecar) d'epoca

Body painting di una pin up marinaretta e mille lire

Vinili storici...

Abiti, cappellini e accessori vari...

sabato 17 maggio 2014

Qualche notizia...


Nel frattempo, in silenzio è successo questo e succede che la Pinotti... ha deciso che i rifugiati possano essere liberi di circolare in europa. Lo ha deciso lei eh? Mentre le leggi europee dicono ben altro. Dicono che i rifugiati DOBBIAMO tenerceli noi e che non sono liberi di circolare in europa... ah, poi, c'è un'altra chicca. Quella del proseguimento della missione "Mare nostrum" nonostante sia un totale fallimento e nonostante l'incremento di carne umana adatta alla bassa manovalanza criminale. Con buona pace di tutti noi italiani. Ma di cose ne sono successe molte altre, ad esempio questo e anche questo.

Renzi si fa il tour elettorale, gli italiani muoiono di tasse. Renzi in Emilia-Romagna per il tour elettorale del Pd: ha tempo anche per una lezione "privata" in palestra. Intanto l'Italia affonda: dopo i dati negativi sul pil, la stangata di inizio estate di Andrea Indini

Matteo Renzi è un fiume in piena. Non sta fermo un attimo. Gira l'Italia in lungo e in largo per promuoversi e per promuovere il Pd. E mentre il premier compie un forsennato tour elettorale in vista delle europee, il Paese affonda sempre di più. Dopo i drammatici dati dell'Eurostat che hanno registrato un'inversione di rotta del pil del Belpaese (-01% nel 2014), gli italiani dovranno anche fare i conti con l’ingorgo fiscale di inizio estate. Secondo i puntuali calcoli della Cgia di Mestre, tra giugno e luglio i cittadini e le imprese italiane saranno chiamati a pagare tasse per ben 75 miliardi di euro. Due pedalate con la cyclette, pesi e qualche chilometro di tapis roulant ascoltando musica e navigando su internet. Comincia così, all’alba delle 6,45, la giornata di Renzi che, prima di affrontare il tour della campagna elettorale in Emilia-Romagna, si è presentato a Cesena alla Tecnogym. Come ha fatto ieri visitando lo stabilimento della Scavolini a Pesaro, Renzi ha voluto visitare alcune realtà imprenditoriale locali: la Tecnogym, azienda che l’amico imprenditore Nerio Alessandri ha fondato nel 1983, la Orogel, che produce frutta e verdura surgelata, e l’Amadori, azienda leader di piatti a base di carne. Alla Tecnogym, accompagnato da Alessandri e da una rappresentanza di dipendenti, il segretario del Pd ha visitato lo stabilimento nella periferia di Cesena dove lavorano 800 dipendenti per realizzare attrezzi per il fitness. Un'occasione unica per Renzi che affronterà in giornata una vera e propria "corsa" elettorale: il comizio a Forlì, l’incontro con candidati e iscritti a Sassuolo, meeting con i rappresentanti del settore delle piastrelle a Confindustria Ceramica, una visita a Medolla a due anni dal terremoto, poi il comizio in piazza Grande a Modena e conclusione della serata a Reggio Emilia.

E, mentre, Renzi va in giro per l'Emilia-Romagna a fare campagna elettorale per il Pd, gli italiani si ritrovano a mettere mano ai portafogli per onorare ben 29 scadenze fiscali. Al netto del gettito riconducibile ai contributi previdenziali, si stima che nelle casse dello Stato entreranno oltre 75 miliardi di euro di tasse: 40 miliardi versate dalle famiglie e 35 dalle imprese. "Nel 2005, con il nostro governo, eravamo riusciti a contenere entro giusti limiti la pressione fiscale - ha denunciato ieri il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi - oggi, invece, dopo tre governi di sinistra non eletti dai cittadini, la pressione fiscale è arrivata a sfiorare il 45%". Un record mondiale che fa male ai contribuenti e imprese. "Sfiancate dalla crisi e sempre più a corto di liquidità - attacca il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi - c’è il pericolo che molte famiglie e altrettante piccole imprese non riescano a superare questo vero e proprio stress test fiscale". Gli appuntamenti più importanti di giugno riguarderanno il versamento delle imposte e dei contributi risultanti dal Modello Unico: dall'Irpef all'Ires, fino ai contributi previdenziali. Come ricorda la Cgia di Mestre, bisognerà poi pagare la prima rata dell’Imu, della Tasi e, in molti Comuni, anche la rata della Tari (la nuova tassa sull’asporto rifiuti). Per quest’ultimo tributo, saranno i sindaci a decidere il numero e le scadenze delle rate. A giugno, inoltre, dovranno essere onorati i versamenti mensili relativi alle ritenute Irpef, sia dei dipendenti sia dei lavoratori autonomi, il pagamento dei contributi previdenziali e dell’Iva riferita al mese precedente. Sarà possibile spostare a luglio il versamento degli importi risultanti dalla dichiarazione dei redditi con l’aggravio di uno 0,4%. Sempre a luglio i contribuenti dovranno eseguire il versamento Irpef dei lavoratori dipendenti e degli autonomi, i contributi previdenziali e il pagamento dell’Iva del mese precedente.

domenica 11 maggio 2014

Qualche foto

Ci sono, sono ancora qui ma troppo schifata per riportare articoli che riguardano la politica. Quindi, per il momento e per qualche giorno, farò una leggera disintossicazione che mi fa preferire il silenzio.

Detti popolari
Primo maggio
Col Monte Conero sullo sfondo
Si annusano anfibi vecchi
Il cielo di ieri

martedì 6 maggio 2014

L'utile idiota

Sono troppe le gaffe di Alfano: serve un ministro dell'Interno. Dalla crisi diplomatica con il Kazakhstan agli sbarchi ininterrotti fino alla trattativa con gli ultrà di Stefano Filippi

Povero Angelino Alfano. Ci mancava soltanto Genny 'a Carogna per complicargli la già travagliata vita da ministro. Fra una crisi internazionale con il Kazakhstan e le imbarcate di clandestini disperati, il capo degli ultras del Napoli che detta le condizioni per disputare una partita è come il bambino della favola di Andersen che urla «Il re è nudo». Lo sapevano già tutti, ed ecco una circostanza imprevista che fa crollare il palco delle ipocrisie e delle convenienze. Il ministro è nudo (metaforicamente parlando) ma continuerà a sfilare come se nulla fosse, e molti insisteranno imperterriti a fare finta di nulla. Silvio Berlusconi, il primo a smascherare l'assenza del «quid», stroncò come leader politico l'ex guardasigilli. Ma ora il giudizio si estende alla sua azione al Viminale, dove si è chiuso da un anno prima con Enrico Letta e poi con Matteo Renzi. E nemmeno da titolare dell'Interno Alfano riesce a esibire quel benedetto «quid». Il primo campanello d'allarme suonò con lo scandalo del rimpatrio di Alma Shalabayeva e della figlioletta, un intrigo diplomatico culminato nel blitz dell'espulsione che costò la testa di due alti funzionari del Gabinetto del ministro.

Alfano invece l'ha scampata. Disse che non sapeva, non era stato informato dai sottoposti. Se conservò la poltrona al Viminale deve ringraziare una sola persona: il presidente Giorgio Napolitano. Il quale vegliava con tutti i suoi poteri sul fragile governo Letta e decise che il suo governo non poteva rischiare il naufragio dopo appena tre mesi dal varo. E Angelino continuò a inanellare gaffe. Una mattina dello scorso marzo si è presentato in tv con la solita faccia seria annunciando con enfasi che le forze dell'ordine stavano dando una caccia serrata al killer che aveva massacrato tre bambini a Lecco. Tutta Italia sapeva da un paio d'ore che l'omicida era la madre: tutti tranne Alfano. Cattureremo l'omicida, e intanto la donna era già sotto torchio in caserma. Soltanto alle 17 il ministro cinguettò la notizia su Twitter. Come per la Shalabayeva, ecco un altro caso di mancata comunicazione tra ministro e inquirenti, uno squarcio di preoccupazione su come funziona la catena di comando e la trasmissione delle informazioni al ministero dell'Interno.

Episodi che rappresentano una metafora della lontananza di Alfano dal Paese reale. Ma quante cose si svolgono all'insaputa di Mister Quid? Egli non sapeva nemmeno, lo scorso febbraio, di aver copiato pari pari da Sinistra e libertà uno slogan elettorale. Il compagno Angelino aveva infatti chiesto la riduzione delle tasse su famiglie e imprese lanciando l'hashtag #lastradagiusta, slogan già utilizzato da Sel. La gestione dell'emergenza immigrazione è un manuale di come non ci si deve comportare. Parola di Giovanni Pinto, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, che una settimana fa ha ammesso: «L'operazione Mare Nostrum ha dato risultati eccellenti anche se ha incrementato le partenze dalla Libia». Alfano non è riuscito a evitare l'emergenza: dall'inizio dell'anno gli sbarchi hanno raggiunto quota 25mila. L'anno scorso erano stati 43 mila e nel 2011, anno di massima crisi per lo scoppio della primavera araba e il colpo di stato in Libia, gli approdi furono 65mila. Un record che, di questo passo, potrebbe essere agevolmente battuto. Pare addirittura che la presenza di navi italiane abbia consentito ai mercanti di carne umana di ridurre le pretese economiche, perché ci pensa la nostra Marina militare a completare le operazioni di traghettamento. In compenso, in un'assemblea del Ncd Alfano si è intestato il merito del fermo di Marcello Dell'Utri in Libano nelle ore in cui a Roma, messa sottosopra da scontri tra manifestanti e forze dell'ordine, un agente (poi definito «un cretino» dal capo della polizia) ha calpestato un ragazzo scambiandolo per uno zainetto. Ed eccoci a sabato, con la trattativa stato-ultras e il Viminale che, come il solito, non ha visto nulla. All'Interno serve un ministro. Che possibilmente non si chiami Alfano.

Al governo per forza

Senato, niente intesa nella maggioranza e nel Pd: corsa contro il tempo per la riforma. Percorso impantanato in commissione. Si lavora a un ordine del giorno da approvare entro la notte. Relatori contro: Calderoli ne presenta uno suo. La presidente Finocchiaro: "Non ne ero informata" di Sara Nicoli

Senato, niente intesa nella maggioranza e nel Pd: corsa contro il tempo per la riforma. Slitta il voto sul testo della riforma del Senato che era previsto in commissione Affari Costituzionali. L’accordo nella maggioranza, ma anche dentro il Pd, è ancora lontano. E nonostante il presidente della commissione, Anna Finocchiaro, abbia promesso per questa sera (quando riprenderanno i lavori della commissione in notturna) la presentazione dell’ordine del giorno dei relatori con le modifiche concordate all’interno della maggioranza, di questo testo ancora nessuna traccia. Una parte del Pd, infatti, fa muro e chiede che venga recepito come testo base l’elaborato del governo, mentre la sinistra del partito, su cui spicca il “mediatore” Miguel Gotor, sarebbe dell’idea di presentare direttamente un nuovo testo emendato con le modifiche che la stessa ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, presente in commissione fin dalla prima mattina, ha detto di poter accettare. Comunque vada si tratta dell’ennesimo rallentamento del percorso delle riforme (elettorale compresa) annunciate dal presidente del Consiglio Matteo Renzi.

Ad ogni modo la mediazione, a cui si stava lavorando da ieri sera (5 maggio) fino a oltre le 23, era stata quella di approvare, contestualmente al testo base del governo, un ordine del giorno, il cosiddetto “pillolato”, con tutti gli emendamenti messi nero su bianco, in modo da non avere sorprese. Cioè: la diminuzione del numero dei senatori nominati dal capo dello Stato, un riequilibrio della rappresentanza a favore delle Regioni rispetto ai comuni, un numero diverso di senatori a seconda della grandezza delle regioni.

Poi, però, nella notte, qualcosa è cambiato. E infatti questa mattina, all’apertura della seduta, del testo dell’ordine del giorno non c’era traccia. Perché a mettere i bastoni tra le ruote ai mediatori ci si è messo direttamente Renzi. Al capogruppo Pd al Senato, Luigi Zanda, il premier ha detto con chiarezza di non aver alcuna intenzione di fare un passo indietro sul testo da lui firmato con la Boschi. Il motivo? Il timore di perdere terreno sul fronte dei sondaggi che, in questo momento, stanno premiando soprattutto la sua velocità e il suo decisionismo. Ecco perché, sempre questa mattina, il portavoce e vicesegretario Lorenzo Guerini ha chiarito: “Nessun passo indietro, gli stop di Berlusconi sono solo propaganda elettorale”. Ma non è tanto – e di certo non solo – lo stop del Cavaliere ad impensierire il Pd e, soprattutto, Renzi. Sono i malumori dentro la maggioranza. Gaetano Quagliariello, uscendo dalla commissione del Senato, ha lanciato un sasso pesante: “Il testo del governo sulle riforme è condivisibile nelle linee essenziali, ma va migliorato, è importante che vengano ridotti o eliminati i 21 senatori di nomina presidenziale, che i senatori siano consiglieri regionali indicati dagli elettori, che i sindaci siano meno dei consiglieri regionali, che le Regioni vengano rappresentate proporzionalmente alla popolazione”. Che questo si faccia “con odg o con emendamenti non fa differenza, l’importante è trovare un minimo comun denominatore”. Che, invece, proprio non c’è. “Forse, ora, viste come si sono messe le cose sarebbe meglio che si rinviasse tutto…”, ha poi chiosato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Paolo Romani.

E’ successo, infatti, anche che il leghista Roberto Calderoli abbia inaspettatamente presentato un suo personale ordine del giorno di cui l’altra relatrice, la Finocchiaro, non sapeva niente e questo l’ha parecchio indispettita: “Credo che Calderoli debba pensare a ritirarlo se vuole che andiamo avanti…”, ha detto, con tono minaccioso, ma da parte del vicepresidente del Senato nessun passo indietro, tanto che lo stesso Romani è arrivato a dargli man forte: “Quello di Calderoli è stato senz’altro uno sgarbo istituzionale, ma il suo è comunque un testo molto complicato e non si può ora esprimere un giudizio su due piedi…”.

Tutto rinviato, allora? L’aria che tira al Senato è pesante. Non c’è un testo base e nessun ordine del giorno, non c’è intesa tra i relatori, ma la Finocchiaro vuole comunque arrivare ad un risultato entro la nottata. “Questa sera – ha annunciato alla fine della seduta del mattino – presenteremo l’ordine del giorno dei relatori che riassume il dibattito di stamattina e le indicazioni venute dai gruppi. Calderoli ha presentato oggi un odg di cui non ero stata avvertita ma è pronto a ritirarlo. Sono fiduciosa che il percorso possa arrivare a buon fine e mi auguro ci sarà un voto sull’odg”. Ma se non si arriverà a questo risultato, per la presidente della commissione “non sarà la fine del mondo”, cosa che, invece, in ambienti renziani viene commentato in modo del tutto opposto. Al momento, l’’orientamento del governo sarebbe di accettare anche delle modifiche al testo uscito dal consiglio dei ministri, ma a patto di non stravolgere l’impianto della riforma. La deadline per la prima lettura del testo per ora resta fissata dal governo al prossimo 10 giugno.

sabato 3 maggio 2014

Alfano e gli scafisti arrestati

Si, certo, ripensando a quell'egiziano coi suoi figli (contrabbandieri di carne umana come lui) che diceva loro di "non preoccuparsi perchè siamo in italia e usciamo di galera prestissimo"...

Alfano, arrestati oltre 210 scafisti. Ministro, lasceremo in cella i mercanti di morte

AGRIGENTO, 3 MAG - "Con i 4 'scafisti' arrestati ieri sera abbiamo superato quota 210: quindi noi contrastiamo il traffico di essere umani, arrestiamo scafisti e mercanti di morte. Non daremo loro tregua e li lasceremo in cella".
Lo ha affermato il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, a margine di un incontro ad Agrigento, aggiungendo che "sui morti di Lampedusa c'e' chi ci ha guadagnato...". Alfano e' anche tornato a chiedere all'Europa "il trasferimento della sede di Frontex da Varsavia in Italia".

Ah, ah, ah... renzie fonzie il dilettante allo sbaraglio

Dl Irpef, tecnici Senato: “Su aumento aliquote banche dubbi di costituzionalità”. Il Servizio bilancio chiede "chiarimenti" al governo. A rischio una parte importante delle coperture del "decreto 80 euro": l'aumento della tassazione sulle quote della Banca d’Italia rischia di aprire la strada a contenziosi mentre il taglio Irap potrebbe pesare più del previsto sulle entrate fiscali. La previsione di minor gettito "non appare prudenziale"

I tecnici del Servizio bilancio del Senato fanno cadere due pesanti tegole sulla testa di Matteo Renzi. Nel mirino finiscono la tassa sulle banche, fondamentale e simbolico tassello delle coperture del decreto Irpef per il 2014, e l’effetto del taglio dell’Irap sul gettito fiscale. Innanzitutto, scrivono i tecnici, l’aumento dell’aliquota d’imposta sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia – deciso per finanziare il bonus di 80 euro in busta paga - pone dubbi di costituzionalità. Perché i “repentini mutamenti del quadro normativo potrebbero finire per definire la tassazione postuma di una ricchezza non più attuale ovvero non garantire quell’esigenza di anticipata conoscenza da parte del contribuente del carico fiscale posto sulle proprie attività economiche, con conseguente possibile violazione di precetti costituzionali”. Tradotto dal burocratese, significa che la modifica retroattiva dell’aliquota rischia di essere incostituzionale, come ventilato dalle stesse banche già dopo i primi annunci sull’intenzione del governo Renzi di “chiedere sacrifici” agli istituti che hanno beneficiato dell’operazione di rivalutazione del capitale di Bankitalia. Il dl Irpef prevede, all’articolo 12, che la tassa sulle plusvalenze derivati alle banche e alle assicurazioni da quella rivalutazione passi dal 12% al 26% e non sia più corrisposta in tre rate ma in un’unica soluzione. Nella Nota di lettura sul decreto, i tecnici citano gli articoli 41, 53 e 97 della Costituzione (rispettivamente sulla libertà dell’iniziativa economica, la tassazione “in ragione della capacità contributiva” e l’equilibrio di bilancio) e sottolineano che “andrebbero valutati con attenzione i profili di compatibilità della norma in esame con il predetto dettato costituzionale, anche in considerazione delle ricadute sul gettito di eventuali contenziosi“. Come è noto, da questa misura il governo conta di ricavare 1,8 miliardi sui 6,7 necessari come copertura per il Dl Irpef per il solo 2014.

Ma non è finita: i tecnici mettono in dubbio anche la quantificazione del minor gettito che deriverà dal taglio dell’Irap (la tassa che grava sulle imprese), inserito anch’esso nel dl Irpef. Quella sforbiciata, spiegano i tecnici, potrebbe tradursi, per le casse del Fisco, in un ammanco superiore ai 2 miliardi previsti dal governo e dalla Ragioneria nella relazione tecnica al provvedimento. “La quantificazione di minor gettito contenuta nella relazione tecnica, pari a 2.059 milioni in ragione d’anno, corrisponde all’8,3% rispetto alle entrate del 2014″, si legge nel dossier. “Tale percentuale è sensibilmente inferiore a quanto previsto dalla normativa, dato che le variazioni in riduzione vanno dal 9,52 al 10,53%, a seconda del settore di attività. Per questo motivo, si ritiene che gli effetti di minor gettito derivanti dalle disposizioni in esame possano verosimilmente attestarsi su importi più significativi di quelli esposti in relazione tecnica”. Inoltre, “l’aver assunto un andamento di minor gettito come costante nel tempo non appare prudenziale, considerando i dati in crescita del gettito Irap riportati nel Bollettino delle entrate tributarie negli anni 2011-2013 (23.962 milioni nel 2011, 24.422 nel 2012 e 24.813 per il 2013); la considerazione di tale crescita comporterebbe anche un incremento, nel corso degli anni, del minor gettito associabile alla riduzione delle aliquote”. I tecnici del Servizio Bilancio chiedono quindi chiarimenti al governo anche alla luce del fatto che la relazione tecnica non tiene in considerazione gli effetti finanziari a carico delle Regioni.

venerdì 2 maggio 2014

Sbarcano clandestinamente e protestano pure

Ancora sbarchi in Sicilia: solo oggi 1500 immigrati. Centri di accoglienza al collasso, proteste nel trapanese di Luca Romano

Ancora sbarchi sulle coste della Sicilia. Una nave della Marina Militare è giunta nel porto siciliano di Augusta dove a breve inizieranno le operazioni lo sbarco di 1170 migranti soccorsi in mare nel Canale di Sicilia. Altri 358 sono arrivati poco dopo nel porto di Palermo, mentre i centri di accoglienza della regione, soprattutto quello di Pozzallo, sono al limite. Proteste si stanno registrando un po' ovunque in questi giorni. Oggi nel centro Sprar di Paratanna, nel trapanese, una trentina di richiedenti asilo di origine subsahariana ha manifestato nella centrale piazza Falcone Borsellino contro le lungaggini burocratiche per il rilascio del permesso di soggiorno. Gli immigrati lamentano anche disagi legati alle condizioni di vita nel centro di via Selinunte. Sul posto sono intervenuti polizia e carabinieri. Nel frattempo è stato arrestato a Pozzallo (Rg) lo scafista che aveva pilotato un barcone con 327 eritrei giunti in porto ieri. Si tratta di Mouhamed Hassan Ali Fouda, un egiziano di 28 anni che aveva cercato di farsi passare come un altro migrante. Ma, trattandosi dell’unico egiziano del gruppo, è stato subito sospettato di essere uno degli organizzatori del viaggio. La conferma è venuta da alcuni eritrei i quali hanno raccontato di essere partiti dal porto di Bengasi dove erano stati tenuti per alcuni giorni sotto stretto controllo prima di essere ammassati su una barca di circa 20 metri. Ciascuno di loro ha pagato da 1600 a 1700 dollari.