venerdì 28 febbraio 2014

Salva roma, enti locali e permessi di soggiorno...

Ok a dl Enti locali con Salva-Roma, via la web tax. 44 i sottosegretari. Nelle decisioni del Consiglio dei ministri anche scuola, sanità e semplificazioni sui permessi di lavoro e soggiorno di Luca Romano

Si è concluso intorno alle due del pomeriggio la riunione del Consiglio dei ministri, riunitosi questa mattina a Palazzo Chigi. Un incontro da cui sono scaturiti diversi annunci, compreso il numero dei sottosegretari e ministri che faranno parte del governo Renzi: 44, di cui sono state approvate le nomine. Nel governo ci saranno in totale 62 persone, con tre sottosegretari e un ministro in meno rispetto all'esecutivo precedente. I ministri hanno dato il via libera al Decreto legge sugli enti locali. All'interno si trovano anche le norme del cosiddetto "salva Roma", per evitare il default della Capitale. Due le proroghe: "fino al 31 marzo" per tamponare l'emergenza di "24 mila addetti alle pulizie delle scuole italiane" e fino al 30 aprile per "fondi di 150 milioni per l'intervento sull'edilizia scolastica". Ok anche al decreto Tasi, che consente un aumento fino allo 0,8 per mille delle aliquote, al fine di introdurre detrazioni per i cittadini. Se non fossero state introdotte, ha spiegato in conferenza stampa il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Graziano Delrio, "milioni di famiglie rischiavano di pagare la tassa sulla casa". Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato su twitter di avere "rimosso" la webtax, per discutere sul tema "in un quadro di normativa europea".
 
Salute e immigrazione: Delrio ha annunciato anche il varo di "una unica procedura per la domanda del permesso di soggiorno e di lavoro", che ha definito "una semplificazione notevole". Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, la direttiva "che prevede la sfida della mobilità dei pazienti", che consentirà al "sistema sanitario nazionale" di diventare "europeo".
 
Giustizia: Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ha chiarito quali saranno le priorità del suo dicastero, ovvero l'efficienza del processo civile e il rafforzamento degli strumenti di contrasto alla criminalità economica. Ha anche detto che il governo pensa di accogliere l'appello di Roberto Saviano, che chiedeva il potenziamento dell'istituto di confisca dei beni.

La prescrizione (accettata) di Penati

Tangenti Sesto, Cassazione conferma la prescrizione per Filippo Penati. All’ex numero uno della Provincia di Milano era stato imputato un presunto giro di mazzette legate alla riqualificazione delle ex aree industriali Falck e Marelli, tangenti incassate - in base all’accusa - all’epoca in cui era il sindaco di Sesto San Giovanni in cambio della concessione di permessi edilizi sui terreni

E’ caduta la coltre della prescrizione sulle accuse più pesanti nei confronti di Filippo Penati mosse in uno dei filoni dell’inchiesta sulle tangenti del cosiddetto “Sistema Sesto“. Il non luogo a procedere per prescrizione nei confronti dell’esponente del Pd è diventato definitivo con il sigillo della Cassazione, nonostante lo stesso Penati avesse presentato ricorso – al fine di essere giudicato nel processo – contro la sentenza del 22 maggio scorso del tribunale dei Monza, che lo proscioglieva. All’ex numero uno della Provincia di Milano era stato imputato un presunto giro di mazzette legate alla riqualificazione delle ex aree industriali Falck e Marelli, tangenti incassate – in base all’accusa – all’epoca in cui era il sindaco di Sesto San Giovanni in cambio della concessione di permessi edilizi sui terreni.

L’intervenuta modifica legislativa della legge anti corruzione aveva accorciato i termini di prescrizione per il reato di concussione e il tribunale in mancanza di un atto formale di rinuncia da parte dell’imputato, aveva dichiarato l’estinzione del reato. Una decisione quella di Monza con la quale hanno concordato gli “ermellini”. La sesta sezione penale della Cassazione, presieduta oggi da Tito Garribba, ha ritenuto “inammissibile” il ricorso. “Celebrare il processo mi avrebbe consentito di difendermi e dimostrare la mia innocenza. Contro di me ci sono solo menzogne, ed io non intendo fermarmi”, ha subito commentato Penati.

Rimane il fatto, come ha sottolineato nella sua requisitoria il sostituto procuratore generale Giuseppe Volpe, che la richiesta di rinunciare alla prescrizione non era stata formulata nell’udienza di Monza: “Anche nel momento clou, quando si doveva dichiarare cosa manifestare al tribunale, la difesa non ha espresso la sua decisione”, quindi – ha aggiunto – “la sentenza è stata resa correttamente” ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale (obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità). La decisione di rinunciare alla prescrizione era infatti stata annunciata pubblicamente dall’esponete Pd in fase di indagini preliminari, ma non era mai stata formalizzata.

Per questo, anche se pochi minuti dopo la sentenza di Monza Penati aveva già anticipato la sua volontà di presentare ricorso alla Suprema Corte (“la prescrizione è stata chiesta dai pm e non da me”, aveva tra l’altro detto), non erano mancate le critiche. “Non rinuncio comunque a dimostrare la mia totale estraneità ai fatti che mi sono stati contestati. Ho dato incarico ai miei legali di promuovere in sede civile tutte le iniziative giudiziarie atte a ristabilire la verità dei fatti, a tutela della mia onorabilità e citerò i miei accusatori per diffamazione”, annuncia ora.

La porcata bankitalia di Letta

Decreto Bankitalia, Ue chiede chiarimenti. Grillo: “Medaglia ai nostri sospesi”. La lettera del Commissario europeo alla concorrenza è sul tavolo del ministero dell'Economia per sospetti aiuti di Stato gli istituti di credito: "Stiamo valutando". Il decreto del governo Letta aveva scatenato la bagarre in Parlamento, sfociata ieri in duri provvedimenti disciplinari, soprattutto contro deputati M5S. Villarosa: "Sono felicissimo"

Il decreto Bankitalia diventa un caso europeo. Il Commissario Ue per la concorrenza ha inviato al ministero dell’Economia una lettera con una richiesta di chiarimento, per capire se dietro la rivalutazione miliardaria del capitale sociale della Banca centrale – il relativo decreto ha scatenato la bagarre in Parlamento per la quale ieri sono stati puniti in sede disciplinare 24 deputati, tra i quali 22 del’M5S – si celi un aiuto di Stato mascherato perché fortemente limitato dalle norme dell’Unione europea. Aiuti, in particolare, agli istituti bancari che trarranno benefici in termini di patrimonializzazione dalla rivalutazione prima e poi dalla vendita delle quote stesse. L’arrivo della missiva è confermata da fonti del Tesoro: “Il ministero sta ora valutando”, spiegano. Mentre il portavoce del commissario alla concorrenza Joaquin Almunia chiarisce che “i tempi dell’analisi della Commissione Ue delle norme sulle quote di Bankitalia dipendono dall’Italia: ora sta alle autorità italiane rispondere alla nostra richiesta di informazioni”.

“Ventisei M5S sospesi dalla Boldrini, 26 medaglie”,
festeggia intanto Beppe Grillo sul suo blog elencando, uno per uno, i nomi dei deputati sanzionati dall’ufficio di presidenza della Camera per gli scontri in Aula del 29 dicembre. “Il M5S fece ostruzionismo, e alla fine la Boldrini applicò per la prima volta nella storia l’ormai famosa ‘ghigliottina’ tagliando gli interventi in aula e approvando il decreto senza altre discussioni. Il M5S protestò rumorosamente, la deputata Lupo si beccò un ceffone in faccia ad opera dell’illustre statista questore Dambruoso, e oggi arriva la sentenza della Presidenza che punisce tutto ciò”.

L’Unione europea – secondo quanto risulta all’Ansa – si è attivata anche su denuncia dell’Adusbef alla quale ha scritto lo scorso 11 febbraio per confermare l’apertura del fascicolo SA.38311 (2014/CP) su “Revaluation of Banca d’Italia – Italy”. Il decreto sotto esame, che l’allora ministro Saccomanni non avrebbe mai notificato a Bruxelles, prevede in particolare la rivalutazione da 300 milioni di lire a 7,5 miliardi di euro delle quote di via Nazionale, in possesso di molti istituti di credito, e in vieta di detenere più del 3% del capitale. Sopra questa soglia sono in particolare Intesa-SanPaolo e Unicredit, ma anche Generali, Cassa di risparmio di Bologna, Inps e Carige. Il decreto prevede, la dismissione delle quote eccedenti che, se non trovano investitori sul mercato, possono essere acquistate “temporaneamente” dalla Banca d’Italia stessa. Un’altra norma, poi, prevede la possibilità della distribuzione di un dividendo, da parte della banca d’Italia, fino al 6% del valore di ogni singola quota. Da qui le proteste in Parlamento, con in testa il Movimento Cinque Stelle, sul regalo miliardario alle banche”. Il caso è stato anticipato oggi da Repubblica. Secondo il quotidiano, la lettera è partita pochi giorni fa per capire dal Tesoro se, dietro la rivalutazione delle quote di Bankitalia, non ci siano aiuti di Stato agli istituti. Nell’articolo si cita in particolare la denuncia dell’eurodeputato dell’Idv, Niccolò Rinaldi, ma sul tavolo della commissione vi sarebbe almeno un altra denuncia: quella delle due associazioni di consumatori Adusbef-Federconsumatori che all’inizio del mese avevano presentato un esposto a circa 130 procure generali e alla Corte dei Conti contro la riforma di Bankitalia.

“Abbiamo ricevuto nei giorni scorsi la mail della Commissione Europea – afferma oggi il presidente di Adusbef Elio Lannutti – C’è indicato un indirizzo al quale mandare ulteriore documentazione. Ho anche chiamato il funzionario e posso dare la conferma che sul tema si è attivata la commissione”. L’articolo di Repubblica, che evidenzia come “per ora Bruxelles non salta alla conclusione, perché il caso Bankitalia è appena agli inizi”, sostiene che al di là delle segnalazioni le autorità europee avevano comunque notato l’operazione, in considerazione anche dell’esame dell’Eba – l’autorità europea sulle banche – sui bilanci degli istituti. “Quando ieri ho saputo della mia sanzione avevo detto che la storia li avrebbe puniti per questo. Ecco, il giorno dopo quella sanzione la storia inizia a punirli…”, commenta il deputato M5S Alessio Villarosa. “Sono felicissimo. Lo avevamo già detto che la Bce non aveva avuto in tempo utile i documenti di quella operazione”. Mentre il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, fa sapere che “il decreto su Banca d’Italia è finito nel mirino dell’Unione europea. Un atto vergognoso. Vogliamo discutere in Parlamento delle critiche”.

mercoledì 26 febbraio 2014

Dopo gli show, caos regna...

Cuneo fiscale, Renzi: “Coperture entro un mese”. Confusione su entità taglio. Il premier parla a Ballarò di una riduzione delle tasse sul lavoro di "due cifre percentuali", mentre alla Camera si riferiva a "due cifre in miliardi". E annuncia che "c'è spazio per aumentare la tassazione delle rendite finanziarie", confermando quanto anticipato dal sottosegretario Delrio, ma sottolinea che "non riguarderà i Bot".

Cuneo fiscale, Renzi: “Coperture entro un mese”. Confusione su entità taglio. Abbattere le tasse sul lavoro è la priorità per Matteo Renzi. Ma sull’entità del taglio regna ancora una gran confusione. Il presidente del Consiglio aveva inizialmente annunciato al Senato una revisione “a due cifre” del cuneo fiscale e in un secondo momento aveva precisato alla Camera che parlava di miliardi e non di punti percentuali. Intervistato da Ballarò, però, quando Giovanni Floris gli chiede come trovare le risorse per ridurre il costo del lavoro “di due cifre percentuali che secondo i primi calcoli costerebbe 10 miliardi”, il premier non fa una piega e promette di dare “entro un mese il percorso preciso su quanto e dove prendiamo i soldi” necessari. Tra le possibili fonti elenca la spending review, l’accordo con la Svizzera sui capitali esportati e una possibile riduzione dei contributi previdenziali. Renzi annuncia poi che “c’è spazio per aumentare la tassazione delle rendite finanziarie“, confermando quanto già anticipato la settimana scorsa da Graziano Delrio (dichiarazioni a cui era seguita una rapida ma confusa smentita da Palazzo Chigi). Ma, mentre il neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio parlava di aumentare le imposte in particolare sui titoli di Stato, il premier precisa che il provvedimento “non riguarderà i Bot, ma le rendite pure”, sottolineando che questo servirà ad “abbassare il costo del lavoro” e che in Italia “abbiamo una tassazione sulle rendite finanziarie tra le più basse in Ue”. Per Renzi bisogna comunque “attendere la riforma complessiva del sistema fiscale”.

Tornando al cuneo fiscale, Renzi ammette che a riguardo “ci sono scuole di pensiero diverse” che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “sta verificando: alcuni professori della Bocconi insistono su 20-23 miliardi, altri hanno idea diversa. Un modo è abbassare Irap, un altro è abbassare Irpef, il terzo sul quale stiamo ragionando è quello degli oneri sociali“. Il taglio del cuneo porterebbe quindi a un beneficio sulla busta paga degli italiani che, secondo una stima de Il Sole 24 Ore, sarebbe di circa 100 euro per l’85% dei lavoratori nell’ipotesi di un provvedimento da 10 miliardi. Quanto alla Cassa depositi e prestiti, “ci può aiutare a fare quello che ha fatto la Spagna, per circa 60 miliardi di euro, con un effetto benefico immediato. Aiuterà i fondi per lotta al credit crunch, e in 15 giorni permetterà di sbloccare i 60 miliardi che sono bloccati per i debiti della pubblica amministrazione“. Renzi si rivolge infine a Enrico Letta, dicendosi “molto triste per come è stata riportata la vicenda a Palazzo Chigi” con l’ex premier, “ma il tempo è galantuomo”. E conclude con una sfida: “Io vado avanti, al massimo mi mandano a casa. Se la politica sbaglia va in malora il Paese”.

Mentre Mr. hashtag fa i suoi show... in italia succede che...

Immigrazione: Marina soccorre 200 persone. 600 migranti in 24 ore, altri 200 soccorsi da Capitaneria Porto

ROMA, 26 FEB
- Sono andate avanti tutta la notte le operazioni di soccorso ai migranti provenienti dalle coste africane da parte dei mezzi aeronavali della Marina M. impegnati nell'Operazione Mare Nostrum nello Stretto di Sicilia. La nave anfibia San Giusto e' intervenuta su due gommoni entrambi con 97 persone a bordo. La fregata Grecale ha soccorso 100 migranti a sud-est di Lampedusa. In 24 ore soccorsi 596 migranti a bordo di sei natanti, altri 200 imbarcati dalla Capitaneria di Porto.

lunedì 24 febbraio 2014

Renzie Fonzie e il discorso

Governo, Renzi chiede la fiducia al Senato. Renzi presenta il programma di governo al Senato: "Sia legislatura di svolta per il futuro". E punta a restare a Palazzo Chigi fino al 2018. Nel piano lo sblocco dei debiti alle imprese, il taglio del cuneo fiscale, i fondi di garanzia per le pmi e la riforma della giustizia di Andrea Indini

"Cari senatori, votatemi e vi cancellerò". Matteo Renzi si presenta nell'Aula di Palazzo Madama augurandosi apertamente di essere l'ultimo presidente del Consiglio a dover chiedere la fiducia al Senato. Un augurio che segna subito il passo del pacchetto di riforme che vuole farsi approvare dal parlamento per governare fino al 2018. Dall'Italicum allo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione, dal taglio del cuneo fiscale alla riforma della giustizia sono solo alcuni dei punti di un piano pretenzioso. Che ha un semplice vizio di forma: manca di consistenza. Perché aldilà del lungo elenco Renzi non va.

"Avremmo preferito un chiaro mandato elettorale, ma propongo che questa sia la legislatura della svolta". Ricorda di non avere l'età, Matteo Renzi, citando Gigliola Cinquetti. Non ha l'età per essere eletto senatore. Un espediente anagrafico che puzza di reverenza posticcia. "Ci avviciniamo in punta di piedi e con rispetto profondo e non formale che si deve a quest’Aula e alla storia del paese che qui ha un simbolo", assicura. Ma è solo forma. Perché, oltre a ricordargli che "presto smetteranno di divertirsi", non manca di sottolineare la propria appartenenza al Pd, "partito che non ha paura di presentarsi" alle elezioni. Tanto che le "scelte radicali" annunciate porteranno proprio quel marchio di fabbrica. "Sulla legge elettorale e le riforme costituzionali si è raggiunto un accordo che va oltre la maggioranza di governo - promette - quell’accordo lo rispetteremo nei tempi e nelle modalità prestabilite". Non si lascia zittire dai grillini, che provano più volte a urlargli contro, e tira dritto ai punti cardine del programma che spazia dai nodi più alti, come la giustizia, il mercato del lavoro e la riforma fiscale, alle esigenze più local, come l'edilizia locale, le periferie da "rammendare" e gli argini da rifare. Un programma che, agli occhi del neo premier, servirà a rilanciare un Paese "arrugginito" che, mai come oggi, necessita di "sogni e coraggio".

Dopo un ampio preambolo sull'Europa, "troppo spesso considerata come la nostra matrigna", Renzi chiede "un cambio radicale della politiche economiche e provvedimenti concreti". Tra questi ci saranno sicuramente lo sblocco totale dei debiti della pubblica amministrazione attraverso un diverso utilizzo della Cassa depositi e prestiti, una riduzione a doppia cifra del cuneo fiscale, la costituzione di fondi di garanzia per sostenere le pmi, la sburocratizzazione del pachidermico apparato pubblico. Misure importantissime che, però, non vuole slegate dalle riforme costituzionali e della giustizia. Proprio per questo, a marzo partiranno contemporaneamente la riforma del Senato e quella del Titolo V. La prima sarà incardinata a Palazzo Madama, la seconda a Montecitorio. "Con quale credibilità possiamo dire che è urgente intervenire sulla legge elettorale - chiede provocatoriamente - e poi perdere l’occasione del contingentamento dei tempi?". E per stare al passo coi tempi programma anche una "revisione organica" della giustizia.

Nel lungo discorso programmatico Renzi sorvola sull’effettiva entità degli interventi dal punto di vista della spesa e della copertura economica. Come se avesse smarrito il foglio Excel di cui ha parlato molto nelle scorse settimane, illustra velocemente tutta una serie di obiettivi (molti anche condivisibili), ma con una preoccupante vaghezza. Non manca, per esempio, di ricordare i marò ingiustamente trattenuti in India, ma si guarda dallo spiegare come intende riportarli in Italia. Lo stesso vale per la riforma della giustizia che il premier cita senza però declinarla. A conti fatti Renzi parla di una angoscia nel rapporto tra politica e cittadini che porta alla sensazione di un'Italia vista come un Paese che ha giocato le tutte le sue carte: "Noi abbiamo deciso di cambiare". Peccato che non si sia sprecato a spiegare come intende fare.

domenica 23 febbraio 2014

Mr. hashtag, no annunci ma concretezza... certo

Renzi: "Taglieremo le tasse". Prima domenica di lavoro per il neo premier con Delrio: "Niente annunci spot ma concretezza". E promette: "Proverò a ridurre le tasse". Ma i diktat dell'Ue a Padoan non ci fanno stare tranquilli. Per questo lo avvertiamo: #matteononstiamosereni di Andrea Indini

"Nella mia esperienza di amministratore le tasse le ho sempre ridotte. Niente promesse, ma ci proveremo". È la prima domenica di lavoro all'indomani del giuramento al Quirinale e già Matteo Renzi si lancia in promesse che si spera manterrà. Ai suoi due predecessori, Mario Monti e Enrico Letta, non è andata bene: non solo non hanno ridotto la pressione fiscale, ma si sono addirittura inventati nuovi balzelli. Il neo premier vuole infondere speranza. E così inizia la giornata con un tweet #buonadomenica: "Oggi con Graziano del Rio sui dossier. Metodo, metodo, metodo. Non annunci spot, ma visione alta e concretezza dei sindaci". Ma non vorremmo fare la fine di Letta che lo stesso Renzi ha illuso e tradito con un tweet che passerà alla storia #enricostaisereno. Per questo al nuovo presidente del Consiglio, che da subito ha dato i primi segnali inquietanti, rispondiamo con un altro tweet #matteononstiamosereni.

Renzi si lascia già a andare a promesse che non sa se riuscirà o potrà mantenere. Sul taglio delle tasse si sono incartati sia Monti e Letta. A dispetto delle promesse fatte al momento di insediarsi a Palazzo Chigi, si sono fatti entrambi prendere la mano. Tanto da inventarsi nuove sigle (vedi Imu e Tasi, per fare un esempio) per stangare gli italiani. Bisogna andare indietro al governo Berlusconi per trovare un effettivo taglio della pressione fiscale. Come annunciato in campagna elettorale, il Cavaliere aveva infatti cancellato l'Ici, l'odiosa imposta sulla casa. Balzello poi reintrodotto da Monti. Adesso anche Renzi si è messo al lavoro per ridurre le tasse. Dice di averlo sempre fatto, quando si trovava in Provincia e poi in Comune. Partirà, probabilmente, da Irpef e Irap. "Non annunci spot - promette - ma visione alta e concretezza da sindaci". Non sappiamo se ce la farà, ma ce lo auguriamo. Non resta che attendere.

Tuttavia, come spiega anche il direttore Alessandro Sallusti nell'editoriale di oggi, ci sono già i primi segnali inquietanti che non fanno sperare a niente di buono. L'oscuro messaggio lanciato ieri dal commissario agli Affari economici Olli Rehn al neo ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan fa venire la pelle d'oca. "Il nuovo ministro dell’Economia italiano sa cosa deve essere fatto", ha detto dal G20 di Sydney. Non gliel'ha detto in faccia: ha aspettato che Padoan salisse sull'aereo per Roma per concedere una battuta tranchant all'agenzia Bloomberg. La perentorietà del monito, il tempismo spiazzante e le precedenti intromissioni di Bruxelles non fanno sperare niente di buono. E, proprio perché non vogliamo fare la fine di Letta, illuso e tradito, teniamo gli occhi aperti. D'altra parte, per dirla con una parola di Maurizio Crozza, "se Renzi ha fatto questo a Letta, che era suo amico, figuriamoci cosa può fare agli italiani, che manco li conosce". #matteononstiamosereni

#renziechefaicoimarò?

Marò, nessun ripensamento dell’India: “Saranno processati con le nostre leggi”. Il ministro della Difasa nega la possibilità di ammorbidire la posizione di Delhi: "Stiamo andando avanti su questa vicenda in base alle nostre leggi, non c'è spazio per compromessi"

Marò, nessun ripensamento dell’India: “Saranno processati con le nostre leggi”. L’India non sembra interessarsi alle vicende italiane e alle staffette politiche ai vertici della Farnesina. “Fare semplicemente di tutto”, aveva detto ieri Matteo Renzi, per riportare in Italia i due marò. Puntale arriva oggi la doccia gelata dell’India, che annuncia di non avere alcun ripensamento. Il ministro della Difesa A.K. Antony ha infatti negato che vi siano cedimenti del governo riguardo al processo dei marò. “Stiamo andando avanti su questa vicenda in base alle leggi indiane”, ha detto. Antony ha poi aggiunto che “non c’è spazio per compromessi”: Latorre e Girone “saranno processati con le leggi del nostro Paese”. Antony, originario del Kerala, lo Stato dove è avvenuto l’incidente il 15 febbraio 2012, ha risposto così alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se il governo intendesse ammorbidire la sua posizione dopo che il ministero della Giustizia aveva sposato l’opinione del ministero degli Esteri sulla inapplicabilità della legge per la repressione della pirateria (Sua Act). Il ministro ha concluso sostenendo che comunque la decisione viene trattata dai ministeri dell’Interno e degli Esteri. Domani pomeriggio il procuratore indiano G.E. Vahanvati dovrebbe presentare alla Corte Suprema la soluzione trovata dal governo per processare i due Fucilieri di Marina.

Ancora qualcosa su Padoan

Perchè mai dovresti andare a guastare un mondo così bello? di Cobraf

Vediamo la cosa in termini umani e personalizzati. Come ho scritto qui a fianco, il nuovo ministro del Tesoro di Renzi, PierCarlo Padoan, 25 anni fa era mio professore al dottorato alla Sapienza e sono stato alcune volte anche a casa sua per portargli un lavoro che mi aveva dato per conto della UE. Allora era magro, aveva meno di quarantanni e abitava in un appartamento dignitoso, ma niente di speciale su uno di quei grandi viali che ci sono a Roma pieni di traffico. Era un professore associato che a soldi prendeva come un bancario. Se guardi cosa ha fatto nei 25 anni successivi, sempre rimanendo un professore, scrivendo articoli e saggi (in cui probabilmente si avvaleva di studenti come con me), ha occupato una carica dopo l'altra all'OCSE, al Fondo Monetario, alla Banca Mondiale, alla fondazione di D'Alema, alla presidenza del Consiglio, la Banca Centrale Europea, allla Commissione Europea... Come è accaduto per Mario Draghi, Mario Monti o la Reichlin si accumulano incarichi in queste istituzioni che si sommano senza problemi, perchè in tutte queste sedi vai a dire e scrivere le stesse identiche cose, che poi sono dei copioni che tutti ripetono nel mondo delle banche centrali. In sostanza scrivi o fai scrivere documenti in cui ripeti che bisogna difendere l'euro, ridurre i deficit, migliorare la "competitività strutturale", stabilire nuovi criteri di capitale per le banche che rafforzino, aprire i mercati finanziari o integrarli meglio bla bla... e ci metti qualche grafico o tabella (questi te li fanno gli studenti). Non diventi miliardario, ma tre o quattro redditi diversi sotto forma anche di consulenze te li assicuri. A livello UE poi come noto non si pagano tasse (stipendi esentasse!), hai benefits vari e automaticamente, ogni qualche anno, arrivano altri incarichi e devi solo avere l'imbarazzo della scelta. Senza contare che puoi scegliere tra New York, Parigi, Washington, Francoforte, mica rimani all'università del Sannio o di Pescara.  Se poi, come Padoan, stai vicino anche ai politici (D'Alema, Amato e il PD) alla fine ti capita di diventare ministro del Tesoro e dopo nei weekend incontri i ministri delle finanze e banchieri centrali del mondo a Tokio o New Yok invece degli amici di infanzia o di facoltà ad Andalo. E non devi fare niente di difficile, ripeti solo per 20 anni di continuo in tutte le occasioni alcune formule generiche sulla "competitività, l'importanza di un sistema bancario capitalizzato... le riforme strutturali, la spread, la liquidità a sostegno di...". Non devi sbatterti, studiare, faticare, inventare, rischiare... fai solo riunioni e incontri dal mattino alla sera da cui viene fuori un documento che dice il deficit deve essere il 3% e poi va a cena. Perchè mai dovresti guastare un mondo così bello e perfetto solo perchè alcuni milioni di persone ne soffrono?

venerdì 21 febbraio 2014

L'ennesimo tecnico assassino

Padoan, ecco chi è il nuovo ministro dell'Economia. Sostenitore della riforma Fornero, Padoan ha sempre sostenuto la necessità di ridurre il debito. Come? A colpi di tasse di Domenico Ferrara

Alla fine è arrivato l'ennesimo tecnico. Pier Carlo Padoan è il nuovo ministro dell'Economia. L'ufficialità della sua nomina arriva nel giorno in cui, da capo-economista dell'Ocse, ha divulgato un report segnato da tratti che rasentano il catastrofismo: “La diffusa accelerazione nella produttività dall'inizio della crisi potrebbe presagire l'inizio di una nuova era di bassa crescita. Lo slancio dell'economia globale continua ad essere lento, aumentando la preoccupazione per cui vi sia stato un adattamento al ribasso strutturale dei tassi di crescita rispetto ai livelli pre-crisi. Queste preoccupazioni erano già prevalenti nei Paesi avanzati, ma ora comprendono anche le economie emergenti e sono alimentate da un alto tasso di disoccupazione e una bassa partecipazione al mercato del lavoro".

Ecco, saranno gli stessi problemi che dovrà affrontare in via XX settembre, da ministro stavolta, e non più da economista. E pensare che Padoan nel marzo dello scorso anno aveva spiegato di vedere la luce in fondo al tunnel argomentando così: La situazione in Europa, Italia compresa, è molto meno drammatica di quanto non fosse sei mesi fa. E la recessione finirà, sempre in tutta Europa, entro alcuni trimestri”. Previsione smentita dai fatti. Professore di Economia alla Sapienza di Roma, Padoan dal 1998 al 2001 è stato consulente economico per i premier Massimo D'Alema e Giuliano Amato. Già direttore della Fondazione dalemania Italianieuropei, membro della commissione nazionale per il progetto dei Ds e collaboratore dell'Unità, Padoan è sempre stato un fervido sostenitore della riduzione del debito pubblico e, soprattutto, delle tasse. Lo dimostrò nel dicembre del 2009, quando in una intervista a Le Figaro, spiegò che “per risanare i debiti contratti dai Paesi occidentali durante la crisi la diminuzione delle spese non basterà, quindi è inevitabile un aumento delle tasse''. Opinione ribadita un anno dopo quando l'allora capoeconomista dell'Ocse e vicepresidente della stessa organizzazione parigina chiosava: “Può essere pericoloso procedere con aggiustamenti fiscali di grande rilevanza solo attraverso tagli alla spesa, in alcuni casi occorrono anche aumenti delle imposte. Non si può fare tutto solo riducendo la spesa, si deve fare in qualche modo anche aumentando le imposte”.

Nel dicembre scorso si esibì in una differenziazione dei balzelli: “Le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà, come l'Imu, mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l'occupazioe sono quelle sul lavoro”. Si riferiva per caso alla patrimoniale? Padoan ha incassato anche una velata critica dal premio Nobel per l'Economia, Paul Krugman, che sul New York Times scrisse: "Certe volte gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno cattivi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all'Ocse". Non parlategli poi di uscire dall'Euro, perché vi risponderebbe che “costerebbe più che difenderlo” e che, se accadesse, “l'Italia tornerebbe agli anni '70 con un effetto recessivo e inflazionistico molto forte”. Colui che dal 2001 al 2005 fu direttore esecutivo per l'Italia del Fmi e che poi ricoprì altri incarichi di consulenza per la Banca mondiale, la Commissione Europea e la Bce, è stato un sostenitore del governo Monti nei confronti del quale espresse parole positive approvando sia la spending review sia la riforma delle pensioni targata Fornero. Dopo la travagliata - quanto poco duratura - presidenza dell'Istat (il voto delle commissioni competenti in un primo momento non raggiunse la maggioranza richiesta per legge ritardando i tempi della sua nomina), venne poi il tempo dell conversione: basta austerity e rigore, adesso si pensi alla crescita. Il problema è che gli strumenti finora utilizzati non sono serviti a molto. Esattamente dieci giorni fa, Padoan dispensò infine la teoria del benessere: “Occorre andare oltre una valutazione quantitativa della richezza, il pil non basta più, conta il benessere dei cittadini, che ha più dimensioni”. E speriamo che il nuovo ministro possa davvero migliorarlo questo benessere.

giovedì 20 febbraio 2014

Tassare, tassare, tassare

Ue, l'austerity della Merkel non basta: la Bundesbank vuole le patrimoniali di Stato. Alla Bundesbank la politica lacrime e sangue che hanno messo in ginocchio i Paesi Ue non basta: "Tassare i patrimoni" di Andrea Indini

L'austerityi a cui ci ha abituati l'Unione europea ancora non basta. Per quanto molti Paesi colpiti dalla crisi economica abbiano compiuto evidenti passi avanti, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann ipotizza un'altra stagione lacrime e sangue con una raffica di patrimoniali di Stato. "Lo slancio riformatore non dovrebbe diminuire", spiega il numero uno della buba. E fra le strade possibili da intraprendere cita anche quella delle patrimoniali. "Prima di chiedere aiuti agli altri e alla banca centrale - è il ragionamento - in un paese minacciato dall’insolvenza si potrebbero tassare i patrimoni una tantum, anche perché in più di un caso gli stati sovraindebitati sono quelli che detengono un alto patrimonio privato". Weidmann non cita l’Italia esplicitamente, ma è difficile che, rispondendo così alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, non ci abbia proprio pensato. D'altra parte, anche nel Belpaese, troverebbe la sponda giusta per andare a mettere le mani nei conti correnti degli italiani. Lo stesso Fabrizio Barca, sondato per andare a fare il ministro dell'Economia, ha detto chiaramente che servirebbe un prelievo di circa 400 miliardi per andare ad appianare i conti dello Stato. Una posizione che trova la sponda tra le frange estreme della sinistra. "Bisogna andare a prendere i soldi dove sono - ha detto il segretario della Fiom, Maurizio Landini, alla Telefonata di Belpietro - e se si vuole davvero dare un elemento di cambiamento bisogna anche dire che chi in questi anni ha pagato meno, e al limite ha avuto dei vantaggi per il tipo di situazione che si è determinata, adesso è il momento di chiederli se davvero vogliono fare qualcosa per il paese che se ne facciano carico". Per il momento l'ipotesi della patrimoniale è stata scartata da Filippo Taddei. "Il nostro obiettivo è offrire una riduzione del carico fiscale che sia duratura e certa - ha spiegato il responsabile Economia del Partito democratico - la dobbiamo finire con le operazioni straordinarie e i fantomatici gettiti da rientro dei capitali". Ai tedeschi le politiche lacrime e sangue, che hanno messo in ginocchio molti Paesi dell'Eurozona, sembrano non bastare mai. Come se l'austerity sfrenata portata avanti a oltranza dalla cancelliera Angela Merkel non avesse già fatto troppi danni. Sul fronte della crisi dell’eurozona Weidmann, che da mesi si scontra pubblicamente con il presidente della Bce Mario Draghi, ha riconosciuto i passi avanti compiuti: "Ci sono progressi in alcuni Paesi, ma c’è ancora bisogno di agire". "Le ragioni della crisi vengono da lontano – ha concluso – e non può meravigliare che servano alcuni anni per superarle". Insomma, per il numero uno della Buba sarebbe sbagliato abbassare la guardia. Il ché significherevve, inevitabilmente, un'altra sonora batosta.

Cose che si sapevano...

Renzi vuole tassare il risparmio. "Sì a rimodulazione delle imposte sulle rendite finanziarie". Il responsabile economico Pd: "C'è investimento e investimento". Ma promette: "Ridurremo subito le tasse sul lavoro" di Chiara Sarra

Il governo Renzi rimodulerà la tassazione sulle rendite finanziarie. Lo ha detto oggi Filippo Taddei, secondo cui "c’è risparmio e risparmio, c’è investimento e investimento". "L’origine del risparmio può avere aspetti diversi, una cosa è chi risparmia per pensare al suo futuro", ha precisato il responsabile economico del Pd, "Vanno valutate e tassate in modo diverso. Non ci lanciamo in nessuna campagna contro il risparmio". A fronte di questo ci sarò per una riduzione delle tasse sul lavoro. "Cercheremo di fare misure ordinarie e non straordinarie attraverso il taglio della spesa corrente e proseguiremo con la spending review, così come con i pagamenti della Pubblica Amministrazione", ha aggiunto Taddei, "Dobbiamo cambiare marcia. Il lavoro deve essere al centro delle nostre priorità". Proprio in queste ore Taddei, insieme alla responsabile del lavoro democratica Marianna Madia ha lanciato un appello affinché si faccia chiarezza sul numero degli esodati. "È necessario fare rapidamente chiarezza sulla reale entità della platea degli esodati al fine di valutare con completezza l’entità delle risorse necessarie per risolvere questa incredibile vicenda. Per questo ci appelliamo ai vertici dell’Inps affinchè consentano di capire quale sia la reale entità numerica del fenomeno", dichiarano gli esponenti del Pd.

martedì 18 febbraio 2014

Piccole notizie tra amici

Della serie: "prometti poi prendi i soldi e scappa lo stesso". La storiaccia di electrolux. Altrove, sempre in italia, succede che dopo il giorno di San Valentino, la perugina decide di mandare in cassa integrazione oltre 800 dipendenti. Intanto, Mr. #hashtag renzie, quello che promette quattro riforme in quattro mesi, continua a giocare con l'iphone. La longa manus di DeBenedetti in una telefonata di un finto Vendola... Ora, Barca viene giudicato matto e falso.

sabato 15 febbraio 2014

La ripresina del governo Letta...

Il 2014 si apre con 440mila lavoratori in cassa integrazione: persi 700 euro a testa. Secondo l'osservatorio della Cgil a gennaio sono stati persi 311 milioni di reddito complessivo. Calano le ore di cassa (-10%), ma solo a causa dell'aumento della disoccupazione e della riduzione delle autorizzazioni. La Cgia di Mestre fa intanto un bilancio del governo Letta: "Nel 2014 +2,4 miliardi di tasse"

Il 2014 si apre con la richiesta di 81 milioni di ore di cassa integrazione a gennaio, equivalenti a 440mila lavoratori a zero ore. Il reddito complessivo perso, sottolinea la Cgil rielaborando i dati Inps, è stato pari a 311 milioni di euro, ovvero 700 euro in meno in busta paga per ogni lavoratore in cig a zero ore. E’ durato poco, quindi, l’ottimismo per i dati macroeconomici che hanno mostrato nei giorni scorsi un piccolo passo in avanti, accolti con tanto entusiasmo dall’esecutivo. “E’ ancora drammatica emergenza sul fronte lavoro”, sottolinea il segretario confederale Cgil, Elena Lattuada, chiedendo al prossimo governo di “dare un segnale di decisa discontinuità rispetto al passato mettendo il lavoro al centro dell’agenda”. La Cgil ricorda che le ore di cassa integrazione chieste dalle aziende a gennaio sono state 81,3 milioni, in calo del 5,28% sul mese precedente e del 10,36% sul gennaio 2013. L’incidenza delle ore di cig per lavoratore occupato nel settore industriale – sottolinea la Cgil – è pari, per il solo mese di gennaio a 13 ore per addetto. Il rapporto precisa però che la flessione registrata nella richiesta di ore “si deve principalmente a due fattori: l’aumento della disoccupazione, come testimoniato dall’andamento delle domande di disoccupati e la riduzione delle autorizzazioni sulle ore di cassa integrazione in deroga”.

Nel dettaglio si rileva inoltre come la cassa integrazione ordinaria (cigo) a gennaio registri un monte ore pari a 23,8 milioni, per un -5,28% su dicembre e -23,05% su gennaio 2013. La richiesta di ore per la cassa integrazione straordinaria (cigs) è stata di 43,8 milioni, in crescita su dicembre (+9,88%) e su gennaio dello scorso anno (+0,84%). Infine la cassa integrazione in deroga (cigd) con 13,7 milioni di ore ha registrato a gennaio un calo sul mese precedente del 38,68%, e sull’anno del 16,13 per cento. “Gli interventi che prevedono percorsi di reinvestimento e rinnovamento strutturale delle aziende continuano a diminuire – segnala la Cgil – e rappresentano solo il 3,94% del totale dei decreti. Un segnale evidente del progressivo processo di deindustrializzazione in atto nel Paese. A gennaio, considerando un ricorso medio alla cig, pari cioè al 50% del tempo lavorabile globale (due settimane) – conclude la Cgil – sono stati coinvolti 884.392 lavoratori in cigo, cigs e in cigd. Se invece si considerano i lavoratori equivalenti a zero ore, pari a cinque settimane lavorative, si determina un’assenza completa dall’attività produttiva per 442.196 lavoratori, di cui 238.000 in cigs e 74.000 in cigd”.

Bilancio del governo Letta? “Nel 2014 +2,4 miliardi di tasse”: E, mentre i dati sulla cassa integrazione confermano che l’emergenza lavoro resta alta, la Cgia di Mestre fa il bilancio fiscale del governo di Enrico Letta, calcolando i saldi tra le maggiori e le minori entrate generati da tutti i provvedimenti di natura fiscale approvati in questi ultimi nove mesi e mezzo. “Se nel 2013 il sistema Paese ha risparmiato poco più di un miliardo di euro di tasse, grazie soprattutto all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, quest’anno ne pagheremo 2,4 miliardi in più e nel 2015 subiremo un aggravio di un miliardo di euro. Se, invece, riusciremo a tagliare di quasi tre miliardi le uscite, come previsto dalla legge di Stabilità con la cosiddetta spending review, la situazione cambierà nettamente segno: l’anno prossimo gli italiani risparmieranno quasi 2 miliardi di euro di tasse”.

“Innanzitutto – dichiara il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi – va segnalato che il governo Letta ha ereditato una situazione alquanto difficile, sia per la tenuta dei conti pubblici, sia per l’andamento negativo di tutti gli indicatori economici. Tuttavia, i risultati del nostro bilancio fiscale non tengono conto di una cosa: con l’introduzione della Tasi, molte tipologie familiari corrono il rischio di subire un aumento della tassazione locale, visto che i sindaci avranno la possibilità di applicare il nuovo tributo con un’ampia discrezionalità”. Se la riduzione della tassazione registrata nel 2013 è stata dovuta in gran parte all’abolizione dell’Imu sulla prima casa, nel 2014 buona parte dei 2,4 miliardi di nuove tasse saranno pagate dalle banche e dalle assicurazioni. Quest’ultime, saranno chiamate a versare oltre 2,6 miliardi di euro all’Erario a seguito della svalutazione e delle perdite sui crediti concessi a questi soggetti ai fini Ires e Irap. “Non è da escludere – conclude Bortolussi – che questo aggravio fiscale abbia delle ricadute negative anche per i cittadini e le imprese. Con meno risorse a disposizione, non è probabile un ulteriore contrazione degli impieghi bancari o un aumento dei costi dei servizi offerti alla clientela”.

venerdì 14 febbraio 2014

Dell'avere ragione

Grillo contro Napolitano: "Ci risparmi le consultazioni, sono una presa per il c...". Il leader del Movimento 5 Stelle poi tuona contro Renzi: "Un carrierista senza scrupoli, un bugiardo incallito". I grillini non saliranno al Colle di Nico Di Giuseppe

"Il nuovo boss non è Al Capone, ma un carrierista senza scrupoli, in arte Renzie, buon amico di Berlusconi, di Verdini e di gente che avrebbe fatto paura ai gangster del proibizionismo. Oltre ad essere un bugiardo incallito, lo vogliono le banche, la Confindustria, De Benedetti, Scaroni, la finanza. Un perfetto uomo di sinistra. Non ci sarà alcuna discussione parlamentare. Letta non chiederà la fiducia, ma prenderà i suoi stracci e se andrà, licenziato come una serva da chi, nel suo partito, fino a ieri ne elogiava l'azione di governo. Al confronto del pdexmenoelle un nido di serpi è un luogo ameno". Beppe Grillo tuona dal suo blog nel giorno in cui il premier salirà al Colle per presentare le sue dimissioni.

Il leader del Movimento 5 Stelle rincara la dose: "Napolitano sceglierà Renzie (e non è un capriccio) che non è parlamentare, che non si è mai candidato nel ruolo di presidente del Consiglio durante le elezioni. Lo farà, come lo ha fatto per Monti e per Letta, ignorando il Parlamento, la Costituzione e la volontà degli italiani per la terza volta. Ora Napolitano darà via al rito delle consultazioni che dovrebbe per decenza risparmiarci. Un'immensa presa per il culo, il Presidente a vita riceverà le delegazioni dei partiti che rilasceranno all'uscita del Quirinale le solite frasi condite di ipocrisia ormai insopportabile. Se Al Capone ottenne il controllo del mercato degli alcoolici, Renzie otterrà quello delle nomine delle aziende di Stato, come ENI, ENEL, Finmeccanica e Terna che scadono tra due mesi. Dei luoghi dove risiede il potere reale. Letta e Renzie sono dei prestanome, utili a chi li ha sostenuti e li sostiene. Marionette. Il Parlamento e lo stesso Governo sono un'illusione ottica e il Quirinale una monarchia. Dall'esterno il cittadino assiste a una squallida lotta tra bande per il potere mentre "nel fango affonda lo stivale dei maiali".

Il M5s non parteciperà alle consultazioni al Quirinale. Lo ha deciso l’assemblea dei deputati del Movimento. I voti contrari alle consultazioni sono stati 62, 17 i favorevoli e 6 gli astenuti. Anche nella Lega Nord ci sono malumori. "Questa volta sono d’accordo con Grillo, queste consultazioni sono inutili e fossi il segretario della Lega non andrei al Quirinale, le crisi extraparlamentari sono un ricordo della prima Repubblica, il passaggio in Parlamento è fondamentale: Letta deve andarci, dimettersi lì e spiegare le ragioni", ha sostenuto il governatore lombardo Roberto Maroni.

Merkel e il fedelen alleaten Napolitanen

Letta lascia e già la Merkel ordina: "Adesso dovete fare presto". Letta si dimette. Napolitano esautora il parlamento: "Non è necessario che Letta passi dalle Camere". Ma come giustificherà agli italiani il terzo premier nominato senza passare dal voto? di Andrea Indini

"Grazie a tutti quelli che mi hanno aiutato". Alle 13 in punto, poco dopo aver riunito l'ultimo Consiglio dei ministri, Enrico Letta sale al Colle per rassegnare le "dimissioni irrevocabili". Una pura formalità. Perché l'ennesima manovra di Palazzo consuma sotto gli occhi attoniti degli italiani costretti ad assistere al nascere di un governo auto nominato nella sede del Pd e mai passato dalle urne. Un "golpe bianco" che trova anche il plaudo della Ue e della cancelliera Angela Merkel che invitano gli orchestranti del blitz a trovare "una soluzione rapida" che porti Matteo Renzi al più presto a Palazzo Chigi.

"Non possiamo aspettare ancora". È questo il tormentone che ha accompagnato la legislatura, ormai a termine, di Letta. Un tormentone che è risuonato piú volte anche in questi giorni convulsi che hanno portato alla capitolazione dell'ennesimo esecutivo partorito nelle stanze del Quirinale. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano vuole traghettare la crisi di governo in quattro e quattr'otto. Ecco allora che si profilano, secondo quanto riferiscono fonti del Quirinale, consultazioni lampo. La motivazione (di facciata) è "dare alla finanza mondiale un nuovo presidente del Consiglio italiano già lunedì". In realtà, Napolitano e i compagni del Pd non vedono l'ora di scalzare Letta da Palazzo Chigi per insediare Renzi. Anche il presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso non si scompone per quello che definisce "un processo democratico interno". In realtà, il passaggio di consegne di oggi ha gli stessi contorni di un "golpe bianco". Renzi è, infatti, l'ennesimo premier nominato dal Colle. Un'investitura che non arriva dalle urne, un gioco di poteri che getta un'ombra sulla nuova era che il segretario del Pd punta a inaugurare.

La crisi di governo non solo è già scritta, ma è anche un bieco déjà vu degli ultimi tre anni. Letta comunica al Consiglio dei ministri le dimissioni e, come da manuale istituzionale, sale al Colle per rimettere nelle mani del capo dello Stato il mandato da presidente del Consiglio. Auspicando "una efficace soluzione della crisi" Napolitano sceglie la strada delle consultazioni lampo per "la delicata fase economica che il paese attraversa" e per "affrontare al più presto l’esame della nuova legge elettorale e delle riforme istituzionali ritenute più urgenti". Decide così di "esautorare" il parlamento e iniziare i colloqui subito per terminarli entro domani. Alcuni partiti confermano di essere stati già allertati per sabato. Oggi Silvio Berlusconi andrà, infatti, in Sardegna per chiudere la campagna elettorale di Ugo Cappellacci e farà ritorno a Roma e non a Milano. Domenica, quindi, Matteo Renzi potrebbe già essere incaricato di formare il nuovo governo, con il giuramento lunedì sera al massimo martedì. Rimangono però due nodi da sciogliere: la necessità o meno che ci sia un passaggio di Letta in Parlamento e come giustificare all'opposizione il terzo premier scelto senza volontà popolare.

Figli di papà dalle penne rosse...

... disse il tizio nato in una famiglia di parassiti...

John Elkann: “I giovani non trovano lavoro perché stanno bene a casa”. Il presidente della Fiat, in un incontro con gli studenti a Sondrio, ha dichiarato che "molti non colgono le tante possibilità perché non hanno ambizione". Il giudizio del rampollo Agnelli va ad aggiungersi a quello dell'ex ministro Fornero che definì i ragazzi italiani troppo choosy e a quelle del collega Padoa Schioppa che li definì "bamboccioni"

I giovani non hanno un lavoro perché stanno bene a casa o non hanno ambizione. La pensa così il presidente Fiat John Elkann, che durante un incontro con gli studenti delle scuole superiori di Sondrio, per parlare proprio di lavoro e di scuola, ha dichiarato: “Molti giovani non colgono le tante possibilità di lavoro che ci sono o perché stanno bene a casa o perché non hanno ambizione”. Ma le parole del rampollo della famiglia Agnelli sono solo le ultime in ordine di tempo di una lunga serie di giudizi sprezzanti sul tema della disoccupazione giovanile. L’ex ministro del Lavoro del governo Monti, Elsa Fornero, sdoganò in Italia il poco conosciuto termine “choosy“. In sostanza, per il ministro, i giovani italiani sono troppo schizzinosi per trovare un’occupazione. Più duro fu il suo vice, Michel Martone, “se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto tecnico professionale sei bravo. Essere secchione è bello, almeno hai fatto qualcosa”. ”Mandiamo i bamboccioni fuori di casa”, aveva invece sintetizzato con estrema brutalità e molta ironia alla fine del 2007 l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, nel corso di un’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato, lanciandosi in una filippica contro i ragazzi che stanno ancora alle dipendenze dei genitori: “Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi. È un’idea importante”. Il presidente Fiat, che nel 2011 ha guadagnato 2 milioni di euro, non è nuovo a dispensare consigli ai giovani. Nel settembre 2013 aveva lanciato un invito: “Ragazzi, studiare vi fa ricchi”, e il riferimento non era allo spirito, ma al portafogli.

Nel corso dell’incontro di Sondrio, Elkann ha risposto alle domande dei giovani. A chi gli chiedeva se la mancanza di occupazione giovanile non fosse legata alla mancanza di domanda, Elkann ha sostenuto che questo non è vero perché “ci sono tantissimi lavori da fare, c’è tantissima domanda di lavoro ma manca proprio l’offerta. Certo io sono stato fortunato ad avere molte opportunità ma quando le ho viste ho saputo anche coglierle”. In ogni caso Elkann suggerisce ai tanti ragazzi di non essere pessimisti anzi “è meglio essere ottimisti e guardare avanti in maniera reale. Le opportunità esistono più oggi che una volta e sono enormi. Una risposta alla disoccupazione giovanile, ad esempio – osserva – può essere quella di creare delle attività in proprio”. A un altro ragazzo che si è presentato come “studente dell’ultimo anno della scuola per elettricisti ed idraulici” e gli ha chiesto di poter lavorare in Fiat, Elkann gli ha replicato: “Prima diventa un elettricista e poi ne parliamo”.

Ma oltre al lavoro, nell’incontro si è parlato anche di tempo libero. A un altro studente che gli ha chiedeva dove lui e il fratello Lapo trovassero le motivazioni per impegnarsi nel lavoro, Elkann ha risposto: “Lapo, Ginevra e io siamo sempre stato stimolati dalla nostra famiglia a fare le cose dando sempre il meglio. Stare sempre in vacanza diventa estremamente noioso”. “Non sono proprio d’accordo”,  ha replicato lo studente con ironia, suscitando gli applausi e le risate dei compagni. Elkann si è soffermato anche sul destino dell’azienda di famiglia: “Sono contento perché Fiat è ancora più italiana e ha le forze che rendono la componente italiana del gruppo ancora più forte”. ”Fiat – ha proseguito – non ha fatto un’alleanza con Chrysler ma si è sposata ed è diventata la settima società al mondo che produce macchine con una gamma completa e oggi può fare cose che prima non poteva fare, Fiat e Chrysler insieme hanno opportunità straordinarie”.  Nessun commento invece sulla caduta del governo Letta e l’arrivo di Matteo Renzi.

mercoledì 12 febbraio 2014

Gatti che si credono cani da riporto...

Sano complottismo

The american job: quello che il giornalista Alann Friedman non ha voluto dire sul "golpe" del 2011 di Francesco Amodeo

Quando gli americani vengono a salvarci io sento sempre puzza di bruciato, la storia è piena di testimonianze di interessi made in Usa spacciati per aiuti filantropici al nostro paese. Non entro nei dettagli ma a buon intenditor poche parole. Ultimo il caso del giornalista Alan Friedman che sembra essere venuto a smascherare il complotto ai danni del popolo italiano che di fatto dal 2011 ha favorito un governo non legittimato dal consenso popolare che a sua volta ha svenduto l’Italia all’Europa e ai suoi potentati finanziari. Se così fosse allora perché non ha voluto dire tutta la verità? Perchè mettere fertilizzante sulle foglie se si sa bene che è la radice ad essere marcia? Perchè fare credere a tutti che l’incontro tra Napolitano e Monti nel Giugno 2011 seguito poi dall’incontro tra Monti e Prodi e tra Monti e Carlo De Benedetti nell’agosto dello stesso anno siano davvero la prova del complotto ai danni del governo in carica e quindi di tutti gli italiani. Perchè non proviamo ad analizzare insieme cosa è davvero accaduto in quei mesi che ha coinvolto su cose ben più gravi i protagonisti di quella vicenda. Cosa c’hanno tenuto nascosto per coprire scenari ben più ampi.

Cominciamo col dire che il punto cruciale sul quale andava focalizzata l’attenzione non risiede nella constatazione che Napolitano a Giugno 2011 (quando Berlusconi aveva la maggioranza e lo spread era di parecchio sotto il livello di guardia) avesse già in mente di sostituire Berlusconi con Monti, perchè è evidente che quella non fu una sua personale volontà bensì un diktat arrivato dalle lobby finanziarie di cui proprio Monti ha in passato occupato i vertici (membro Direttivo Bilderberg, Presidente europeo Commissione Trilaterale, Presidente lobby belga Brugel). Quello che è grave, è capire come hanno costretto un governo democraticamente eletto a dare le dimissioni e soprattutto quanto questo giochino di tenere per alcuni mesi lo spread ai massimi storici per causare la caduta del Primo Ministro in carica e favorire la nascita dell’esecutivo tecnico, sia costata in termini di miliardi di euro agli italiani se si pensa che lo spread passò dai 214 punti del 24 giugno 2011 fino ad arrivare agli oltre 500 punti nella fatidica seconda settimana di quel travagliato Novembre, portando gli interessi del titolo di Stato decennale anch’esso a quote record ( http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-09/spread-btpbund-oltre-punti-063829.shtml?uuid=AajR9xJE ) con delle modalità che rendono assolutamente necessario aprire un dibattito su quanto tutto questo abbia palesemente imbavagliato e legato al palo il processo democratico nel nostro paese e rendendo necessaria quindi una immediata rivalutazione dei trattati e degli accordi siglati in quel periodo che hanno fortemente penalizzato la nostra sovranità nazionale ed escluso i cittadini dal processo di ratifica degli stessi.

Friedman parla dell’incontro avvenuto a Saint Moritz tra Mario Monti e Carlo De Benedetti nell’agosto del 2011 quando il professore della Bocconi in tempi non sospetti sarebbe andato ad informare l’editore/finanziere del suo probabile futuro incarico di governo. Non entriamo nel merito della assoluta gravità di una scelta del genere nell’atto di comunicare notizie così sensibili che arrivano dai massimi vertici dello Stato ad una persona che svolge attività sui mercati finanziari. Informazioni su eventi che avrebbero avuto ripercussioni immediate e prevedibili su quei mercati stessi. Lasciamo che su questo sia la magistratura a valutare se c’è ipotesi di reato o meno. Occupiamoci invece solo della cronaca giornalistica degli eventi ignorati dallo stesso Friedman. Cosa è successo due mesi prima di quell’incontro proprio a Saint Moritz e sempre con Monti come protagonista? C’è stata la riunione Bilderberg 2011 dal 3 al 6 giugno. Una riunione nella quale, come gli eventi dimostreranno, è stata pianificata la parallela caduta dei governi eletti in Italia e Grecia adottando le medesime modalità, nello stesso preciso momento con lo scopo di favorire l’instaurazione di due governi tecnici guidati da uomini provenienti dalle medesime elite finanziarie. (http://www.bilderbergmeetings.org/participants_2011.html).

Una decisone che verrà poi comunicata ed imposta ai diretti interessati durante la riunione del G20 che si svolse il 3-4 Novembre 2011 ossia una settimana prima che i due rispettivi Presidenti del Consiglio di Italia e Grecia dessero le dimissioni mai annunciate prima. Chi c’era con Monti a quella riunione? Tra gli oltre 100 uomini più potenti del mondo che si sono incontrati in quell’occasione (a Friedman sconvolge di più l’incontro tra Monti e De Benedetti) erano seduti al suo fianco anche i presidenti delle due banche d’affari che qualche mese dopo causeranno la speculazione sui mercati italiani e la conseguente impennata dello spread che porterà Monti al governo. C’era, infatti il Ceo di Goldman Sachs e di Deutsche Bank. Deutsche Bank ha inspiegabilmente venduto nei primi sei mesi del 2011 l’88% dei titoli italiani in portafoglio. (http://www.corriere.it/economia/11_luglio_28/prodi-deutsche-bank_02a8aac8-b914-11e0-a8dd-ced22f738d7a.shtml)

Goldman Sachs, invece, già responsabile per aver indotto la crisi sui mercati americani e per questo incriminata (http://www.repubblica.it/economia/2010/04/17/news/rampini_goldman-3407899/ ) ha effettuato a sua volta una massiccia vendita di titoli italiani ed una serie di speculazioni sui nostri mercati ( http://www.milanofinanza.it/news/dettaglio_news.asp?id=201111100904011010&chkAgenzie=PMFNW&sez=news&testo=&titolo=CRISI:%20Goldman%20Sachs%20ha%20innescato%20vendite%20Btp%20%28MF%29) ma la cosa più assurda sta nel fatto che con le conseguenze delle sue stesse speculazioni la Goldman Sachs e le lobby finanziarie ad essa collegate sono riuscite a piazzare i loro 4 uomini (tutti ufficialmente uomini Goldman Sachs) in posti chiave. Basta guardare le date e l’incredibile tempistica.

1 Novembre: Mario Draghi (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene scelto come Presidente della Banca Centrale Europea

11 Novembre: Lucas Papademos (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene imposto in Grecia come Presidente del Consiglio tecnico. Era Governatore della Banca di Grecia nel 2001 quando vennero truccati i conti della Grecia con l’aiuto della Goldman Sachs per permetterle l’entrata nell’euro.(http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/26/prestiti-goldman-sachs-dietro-conti-truccati-della-grecia/199893/). Papademos è stato poi scelto in questi mesi nella Commissione per la scandalosa ricapitalizzazione della Banca D’italia forse proprio per la sua specializzazione in questo tipo di operazioni/truffa ma lasciamo stare questo inquietante dettaglio. 16 Novembre: Mario Monti (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) viene scelto da Napolitano come Presidente del Consiglio tecnico in Italia. La Goldman Sachs aveva pubblicamente espresso il suo diktat in quelle settimane con un report che risulta una vera e propria minaccia ai politici italiani per fare in modo che seguissero alla lettera le sue istruzioni: “In caso di un esecutivo di centro-destra sostenuto da una coalizione più ampia, lo spread si attesterebbe 400-450, quindi sempre a livelli pericolosi. Le elezioni anticipate sarebbero invece lo scenario peggiore per i mercati” e in questo caso Goldman non fa previsioni sullo spread, ma e’ evidente che salirebbe alle stelle.” In pratica la soluzione che proponeva era chiara: Nessun governo politico, nessuna elezione democratica ma governo tecnico imposto dalla finanza internazionale. Il piano originale prevedeva anche Romano Prodi (Goldman Sachs, Trilaterale, Bilderberg) alla Presidenza della Repubblica e questo spiega perchè Monti – come rivelato da Friedman – andò ad incontrare proprio Prodi in quei mesi nonostante l’ex Presidente del Consiglio non ricoprisse più incarichi politici. Questo fu l’unico intoppo di quel piano ben congegnato infatti Romano Prodi fu “impallinato” dai suoi con il voto segreto ed il piano saltò. Fu a quel punto che i potentati finanziari perdendo il loro punto di riferimento in un ruolo chiave come la presidenza della repubblica e non avendo il tempo per riorganizzarsi in quel senso, furono costretti a favorire la riconferma di Napolitano impedendo che un’altra figura da loro indipendente salisse al Quirinale.

A questo punto, dopo aver creato la crisi sui mercati, dopo aver causato l’impennata dello spread dopo aver costretto Berlusconi alle dimissioni e piazzato Monti al governo, non restava altro che dimostrare agli italiani che era arrivato il salvatore della patria in modo da tenerlo in carica il tempo necessario a firmare quei trattati che avrebbero vincolato per sempre l’Italia all’austerity nel silenzio generale (ed ecco che viene firmato dal binomio Monti /Napolitano il Mes, il fiscal compact e modificata silenziosamente la costituzione per introdurvi la ghigliottina del pareggio di bilancio). Per fare questo la BCE di Mario Draghi ha attivato in data  22 dicembre 2011, quindi immediatamente dopo la salita al governo di Monti, la long term refinancing operation (LTRO) (http://argomenti.ilsole24ore.com/parolechiave/ltro.html ) dando il via ad una incredibile iniezione di liquidità pari a 1000 miliardi di euro alle banche che però non li distribuiranno nell’economia reale per salvare imprese e famiglie ma acquisteranno unicamente titoli di stato italiani in modo che la discesa repentina dello spread venisse in maniera ingannevole attribuita all’arrivo del professore della Bocconi al governo. Perché la Bce non ha effettuato quell’iniezione di liquidità un mese prima per salvare un governo eletto democraticamente? perché non è stata fatta per permettere agli italiani di tornare a votare?

A tenere alta la tensione ci penseranno poi le agenzie di rating come la Moodys che arriveranno prima a declassare l’Italia ( http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2012-07-13/moddys-declassa-rating-titoli-074033.shtml?uuid=AbtZn66F ) e poi sempre nel caso di Moodys addirittura a prendere pubblicamente posizione sulle prossime elezioni italiane, appoggiando una rielezione di Mario Monti e provando a sbarrare la strada a un ritorno di Silvio Berlusconi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/13/moodys-turbolenze-politiche-hanno-poche-conseguenze-su-affidabilita-italia/444770/

E anche qui nulla è stato lasciato al caso, infatti, qualche imbarazzo susciterà in quelle settimane la notizie che proprio Mario Monti era stato un collaboratore della Moodysdal 2005 al 2009 come sarà costretto ad ammettere lui stesso: http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/1031694/Monti-Moody-s.html.

Nella questione Friedman è stato fatto anche il nome di Corrado Passera che ricordiamo essere un membro ufficiale del Bilderberg e della Commissione Trilaterale ed a questo punto è giusto ricordare che anche il figlio del succitato Carlo de Benedetti ,Rodolfo, ha partecipato più volte alle riunioni del Bilderberg. Concludiamo ricordando a tutti che nel 2012 fu Enrico Letta l’unico politico italianochiamato a sostituire Monti alla riunione del Bilderberg 2012 in America ed in quel periodo i pochi che vennero a saperlo si interrogavano sul motivo di tale scelta da parte dell’alta finanza internazionale dato che Enrico Letta non era ne segretario del suo partito ne candidato alla presidenza del consiglio. Sta di fatto che pochi mesi dopo quella riunione sempre Giorgio Napolitano incaricò proprio Enrico Letta come Presidente del Consiglio al posto di Monti. Le jeux sont faint. Banco vince anzi banca vince. Detto questo, siamo sicuri che il vero scandalo di quanto accaduto nel 2011 sia da ricercare nell’incontro tra Napolitano e Monti come Friedman vuole farci credere ? O qualcuno ha voluto semplicemente fare una “tirata d’orecchie” al nostro Presidente della Repubblica per le posizioni contro l’austerity espresse poche settimane fa davanti alla Commissione Europea. Posizioni alle quali lui stesso ovviamente non crede dato che l’austerity è figlia delle sue scelte ma che evidentemente ha dovuto fare in un momento di anti-europeismo dilagante. Scelta che evidentemente ha urtato la suscettibilità degli orgogliosi e onnipotenti tecnocrati europei.

Siamo sicuri che non sia stato fatto tutto questo  semplicemente per farlo rientrare nei ranghi è fargli capire che è arrivato il momento che cominci ad allentare il suo sostegno al governo Letta dato che i poteri forti sono già pronti a scaricarlo in favore di Matteo Renzi? O Friedman è davvero un salvatore della nostra patria al quale sono solo sfuggiti dei “dettagli” che adesso si adopererà a rendere pubblici? Ai posteri l’ardua sentenza.

Punti di vista

Chiaro, nevvero? di Gianfranco LaGrassa

1. Interrompo momentaneamente un altro scritto più complessivo perché ritengo questo (il caso Napolitano appena scoppiato) un evento da mettere in rilievo pur se passerà in questo paese di Pulcinella non proprio come una meteora, ma probabilmente senza l’attenzione che merita. Intanto diciamo subito che questo blog aveva subito afferrato il senso di quanto si era svolto in quei mesi del 2011 (non nei particolari, ma nelle tendenze generali) per dare il via al governo Monti, passato come quello dei “tecnici”, mentre era un governo di dissesto nazionale atto a preparare la svolta che stenta a verificarsi ed è ormai in ritardo. Abbiamo subito detto che lo spread era un’indegna bufala, alla quale ha fatto finta di credere l’intero quadro politico di “sinistra” e di “destra”. Inutile che adesso quest’ultima sollevi scandalo; solo dopo un anno ha cominciato a sostenere che lo spread era una scusa, ma lo ha detto ancora in sordina. Adesso si scatena. Intanto, però, il suo leader è stato acquiescente, ha brontolato, elevato qualche protesta, ma in definitiva ha accettato tutto quello che gli veniva inflitto, ma soprattutto veniva inflitto al paese (lui ha ancora meno di quello che si merita per la sua vergognosa e vile complicità). Intanto diciamo che quella di Monti non è la peggiore fra le mosse compiute dal presdelarep. Quando la Nato (su input americano e tramite l’uso iniziale dei sicari francesi e inglesi poi seguiti da altri, fra cui gli ignobili italiani con al governo ancora Berlusconi) aggredì la Libia, Napolitano disse subito, per mettere termine a qualche esitazione, che dovevamo agire da fedeli alleati con la Nato. Già mostrava dunque da chi fosse “consigliato”; inutile gridare adesso al suo Alto Tradimento nei confronti del paese, soggiacendo a pressioni straniere. Allora ci furono ordini perentori di aggredire un paese indipendente, che aveva con noi importanti accordi di tutti i generi (economici, politici, ecc.). La destra berlusconiana, quindi, non protesti troppo: ha accettato aggressione e tradimento, ha accettato lo spread, ha accettato che iniziasse la pantomima atta a sostituire, quale longa manus degli Usa (obamiani), la “sinistra” piciista, scelta vent’anni fa tramite “mani pulite” per guidare il paese alla più perfetta delle servitù allo straniero (Usa). Una scelta rivelatasi infelice anche per tale paese guida e quindi da superare con quella non più ex piciista che viene avanti con Renzi, ecc. (ma per questo rinvio allo scritto che ho interrotto momentaneamente). In ogni caso, la pantomima è condotta con la piena complicità del nanerottolo (politico) della “destra”, pur se con qualche soprassalto di fronte a momenti di disorientamento dei suoi seguaci, molti dei quali all’oscuro delle sue probabili trame proprio con il presdelarep e altri del genere.

Interessante è stato constatare che il siluro a Napolitano proviene proprio da “sinistra”. Si poteva pensare a coloro che stanno perdendo il controllo del Pd, agli ex piciisti. In realtà, proviene da altri lidi; e sembra che il siluro non sia sgradito nemmeno agli ambienti statunitensi (sempre obamiani perché sono questi ad avere la massima presa oggi in Italia). Tuttavia, starei attento a sostenere che la manovra parte proprio dalle principali centrali strategiche Usa. E ancor più la smetterei di semplificarsi i compiti gridando ai “poteri forti” che abbandonano Napolitano, ai potentati finanziari che hanno interesse a succhiare tutto quanto possono della “ricchezza” italiana, ecc. Bisogna rifarsi al duro richiamo e quasi grido d’allarme di Squinzi. Si è avvertito che una transizione così lunga e scombiccherata, con ormai due governi di dissesto del paese, rischia di creare problemi gravi per una possibile ripresina; ma soprattutto può provocare sconquassi in larga parte del ceto medio e piccolo-imprenditoriale e in altri ceti medi di servizio a questo collegati. Nel mentre anche i sindacati ormai sono largamente inefficienti pur controllando ancora abbastanza (ma per quanto?) i loro beoti iscritti. Più ancora che Grillo, sono stati i forconi (pur da considerarsi falliti come movimento) a far capire che non bisogna tendere troppo la corda.

Napolitano non ha affatto agito per conto proprio e nemmeno ha agito stupidamente. Nei vent’anni di demenziale antiberlusconismo – portato avanti da puri e semplici rinnegati di ogni risma, privi quindi di qualsiasi carisma e di ogni pur minima convinzione nelle schifose azioni che stavano compiendo – si è andando consolidando quel “ceto medio semicolto” di cui parlo spesso, palla di piombo al piede per ogni rinnovamento del paese. A meno che non si creda che il rinnovamento passi per le quote rosa, la scelta di donne politicanti carine alla guisa delle veline di Striscia la notizia; che passi per i gay pride e per tutta una scelta di “progressismo”, che a mio avviso non va combattuto ma semplicemente preso per una coreografia senza farne il fulcro di un’azione (a)politica, incapace invece di imprimere una qualsiasi spinta alla crescita economica e all’autentico mutamento sociale.

Tale ceto di poveri illusi – vero decadimento intellettivo di ciò che si mosse, magari a vanvera ma con minore demenza, negli anni ’70-’80 – porta molti voti alla “sinistra”, seguendo tuttavia quelli che ho sopra indicato quali rinnegati di ogni risma. La transizione verso personaggi alla Renzi e simili comporta il rischio di perdere molti voti e favorire Berlusconi o, se anche quest’ultimo perdesse presa, altre “avventure”. In definitiva, la transizione così lunga, e con Berlusconi bombardato ma sempre tenuto sufficientemente in piedi, dovrebbe servire a convincere i semicolti a non abbandonare il Pd pur dotato d’altro quadro dirigente (non più ex piciista); se non altro per non riportare in sella l’odiato cavaliere. Un’operazione che ha proceduto quindi con mille equilibrismi, diecimila volteggiamenti poco comprensibili, disagio crescente, ingrippamento dell’economia, disaffezione totale alla politica.

Qualcuno adesso vorrebbe dare la sveglia e urlare che bisogna far presto. D’altra parte, si può cambiare Letta con Renzi ancora una volta senza alcuna elezione? Rischioso per la disistima crescente che avvolge la cosiddetta Casta. Ma andare ad elezioni significa, allo stato attuale, poter far vincere la “destra”. Probabilmente, si attuerà la “staffetta” cercando di non tirare oltre il 2015; in definitiva, il Pd resta ancora il primo partito, e la “destra” è in vantaggio nei sondaggi ma anche con l’aggiunta di gruppuscoli (come quelli di Alfano, ecc.) che non si sa quante garanzie diano di non ribaltare ancora i risultati del voto. Tuttavia, sembra ricresciuto il movimento “5 stelle”; e senz’altro anche questo è elemento da tenere in considerazione, pur se già si è visto che anche al suo interno si possono verificare tanti balletti e confusioni. In definitiva, la vicenda Napolitano sembra al momento un bel “ceffone” dato per dire: fate presto perché veramente la corda è tesa al massimo. Tuttavia, dopo tante urla, la destra berlusconiana (F.I.) pare intenzionata a non insistere sull’impeachment. Resterà senz’altro un ulteriore disgusto per i politicanti. Tuttavia, non appena conclusa la transizione, Napolitano probabilmente si dimetterà; se non subito (può essere che occorrano dei ritocchi e magari la sua presenza, sempre gradita a dati ambienti statunitensi, sarà ancora ritenuta utile), non oltre le nuove elezioni, che non dovrebbero essere ritardate, appunto, oltre il 2015.

Adesso non mi dilungo qui in considerazioni circa il carattere di quella che viene definita democrazia. Tanto, al momento siamo ancora tutti “americani”. E la “democrazia” negli Stati Uniti è stata talmente ben descritta proprio da loro stessi, quanto meno dal loro cinema, che se qualcuno ha ancora voglia di nutrire illusioni, perché togliergliele? Lasciate pure che il popolo creda (o meglio ri-creda, perché adesso……) di decidere le sue sorti con le urne. Se per caso, in un domani più fortunato, a causa di disagi e disaffezioni crescenti di fronte agli attuali decerebrati, dovesse esserci un vero ricambio con l’affermarsi di gruppi dirigenti minimamente capaci e convinti delle loro azioni – in quanto più incisive nel conciliare i loro interessi con quelli della maggioranza della popolazione – è molto utile che tali nuovi gruppi siano legittimati dalla credenza popolare nelle “elezzioni”. Come diceva il Nerone di Petrolini (cito all’incirca): “quando dici al popolo le belle paroline, lui si affeziona”. E chi volesse infine far uscire questo benedetto paese dalla sua abiezione attuale, ha bisogno che il popolo “si affezioni”; e sembra che il voto sia l’inoculazione (quanto meno sotto cute) di questo “positivo” sentimento.

2. Riporto:

http://www.ilgiornale.it/news/interni/quellombra-bruxelles-dietro-risiko-quirinale-991114.html

A me sembra che non vi sia da molte altre parti una descrizione abbastanza precisa come questa dei vari passaggi dell’attuale vicenda. Tuttavia, riporto l’articolo soprattutto per sottolineare alcuni punti. Intanto, finalmente si cita anche Obama tra chi ha ordito il sedicente complotto. Sappiamo che non era tale, sappiamo che tutti i protagonisti, anche quello apparentemente oggetto dello stesso (Berlusconi), erano al corrente dell’operazione. Comunque, almeno si dice che tale operazione vedeva implicato anche il rappresentante degli Usa. Si scrive Obama e Merkel. Errore: il padrone non è alleato con il maggiordomo, gli ordina quello che deve fare. Comunque, tra chi vede quale principale nemico nostro la Germania e chi almeno ricorda che ci sono pure gli Stati Uniti, mi sembra evidente che sia più perspicuo quest’ultimo. Poi, dopo tutte le litanie (soprattutto proprio de “Il Giornale”, forse ancor più che dei giornali di “sinistra”) su quanto è buono e bravo “Supermario” (Draghi), sapere che egli, assieme al suo predecessore, è uno dei principali responsabili del sedicente complotto è molto “riposante”.

Un inciso del quotidiano mi ha molto divertito perché senza volerlo è tanto significativo e carico di storia. Ricorda che una riunione importante di banchieri (con a capo l’Intesa) si svolse il 25 luglio 2011; e si parla di “data evocativa, ecc. ecc.”. In effetti anche nel ’43 su quella riunione estiva aleggiava la “famiglia” Savoia. Anche quella volta, dietro ai cosiddetti “congiurati” vi erano pezzi importanti dell’industria (“privata”) italiana, perché ben si conoscono le simpatie filo-americane della principale nostra industria avente tale caratterizzazione proprietaria e il fatto che intrattenne rapporti con gli Alleati anche durante la guerra. Quella riunione inoltre non era altro che preparatoria, in definitiva, dell’8 settembre, dove – dopo aver trattato tutta l’estate per cambiare campo e passare per “vincitori” nella guerra in corso – una bella quota di fascistoni pretese di diventare la guida dell’antifascismo. E’ appunto quello che chiamo “antifascismo del tradimento” che poi, negli anni ’70, concluse la vergognosa operazione (un episodio della quale fu la fondazione di “Repubblica”) di riduzione della Resistenza a mera “liberazione dalla dittatura” e conquista della “democrazia” (ecco ancora il Nerone di Petrolini in azione verso il “poppolo”). E furono sempre gli stessi protagonisti di allora (con qualche mutamento se non altro perché Signora Morte ha talvolta qualche merito): i già fascistoni cambiatisi di casacca e i soliti industriali “privati”. Ma c’è di più. Altri traditori si presentarono al nuovo appuntamento con la “storia” (quella con la “s” minuscola, microscopica): i vertici del Pci, mutati soprattutto nel 1972 e che prepararono il viaggio del loro “ambasciatore segreto” negli Usa sei anni dopo. Avvenne anche allora un cambio di casacca; ma essendo una “guerra fredda” e non “calda”, il cambio avvenne in tempi assai più lunghi. Le caratteristiche furono certamente diverse, ma sempre nell’ambito di ciò che ho scritto in un mio libro: “Tutto torna ma diverso”; e ricordando inoltre la famosa massima che la “seconda volta la storia si ripete in farsa”. Cosa intendo dire?

Nel 1945 i falsi vincitori della guerra, i già fascistoni diventati antifascisti, se la presero in saccoccia dai democristiani – favoriti dal cedimento, peraltro giustificato dati i rapporti di forza internazionali, dei piciisti con Togliatti e la svolta di Salerno – i quali si impossessarono dell’industria “statale” (IRI), rafforzandola inoltre con Finmeccanica (1948), Eni (1953) ed Enel (1962). Essi garantirono che il passaggio dalla monarchia alla Repubblica avvenisse con una continuità di dipendenza dagli Stati Uniti, che infatti appoggiarono, nel referendum del ’46, la Repubblica, mentre gli inglesi (ormai divenuti potenza minore) avrebbero preferito la monarchia. Oggi, in tono minore e meno drammatico e viscerale, si ripete la “storia”. Gli antifascisti del tradimento (repubblicani certo), la cui ossatura fu infine costituita dai rinnegati del piciismo (e dagli altri cialtroni opportunisti dell’ultrarivoluzionarismo sessantottardo), pretesero di rappresentare la “nouvelle vague” filo-statunitense innescata dalla ben nota operazione giudiziaria del ’92-’93.

Essi iniziarono lo smantellamento dell’industria “pubblica” e si misero a cantare le lodi di quella “privata” a partire dalla Fiat della “qualità totale”. Furono appoggiati da questi settori industriali e iniziarono a svendere i settori “pubblici” (con funzione precipua di Prodi all’IRI, di D’Alema al governo nel ’99 con l’appoggio dell’ineffabile Draghi, allora Direttore generale del Tesoro, ecc.). Trovarono opposizione – ma solo per motivi personali e di stupidità degli Agnelli, De Benedetti, ecc. che lo provocarono – in Berlusconi; e mostrarono una invereconda incapacità, solo pari a quella dei Savoia (e Badoglio), nel riuscire a diventare i veri paladini degli Usa. Così essi oggi pagano la loro miseria, politica e culturale (il “progressismo” d’accatto), con il progetto di sostituzione da parte dei “renziani”. Anche questi del tutto filoamericani; e per di più appoggiati dalla GFeID (grande finanza e industria decotta di proprietà “privata”). E tale “nuova sinistra” (pagliaccesca) ha bisogno di una benevola attenzione da parte dei “destri” berlusconiani; altrimenti, talmente miserabili e solo furbastri sono questi “sinistri” che sono capaci di perdere le elezioni (come Occhetto & C. nel 1994), mentre Berlusconi ha il terrore di vincerle. Beh, qualcosa da ridere c’è, ma molto da piangere. Siamo all’osso, la miserabilità di questa Italietta non era forse mai giunta a simili punti. Adesso, vediamo a che svolta sono in grado di prepararci.

martedì 11 febbraio 2014

Punti di vista su Napolitano e Monti

Un gioco di potere orchestrato dal corriere. Intervista a Giulio Sapelli

Non è tanto l'iniziativa di Napolitano, che nella calda estate del 2011 già sondava Mario Monti per un cambio al vertice del governo quattro mesi prima della caduta di Berlusconi, a sorprendere un fine analista come il professor Giulio Sapelli: no, ricevere personaggi come l'ex commissario europeo, con cui tra l'altro aveva lavorato insieme nei palazzi di Bruxelles, era per Napolitano una cosa piuttosto normale, che non dovrebbe scandalizzare. Piuttosto, il professore è sorpreso dalla grande attenzione che il Corriere della Sera ha scelto di riservare al presidente della Repubblica, che pure in tempi non sospetti aveva sostenuto e spalleggiato nelle sue iniziative politiche per scansare Berlusconi: "In via Solferino hanno scelto un cambio di strategia, mettendo in moto dinamiche inevitabili in tempi come quelli attuali, quando la crisi economica è peggiore di quella del 2011. Dinamiche che vogliono innescare cambiamenti o riassestamenti di blocchi di potere, in un contesto sociale davvero difficilissimo".

Professor Sapelli, che idea s'è fatto sulla vicenda portata alla luce da Alan Friedman? Un presidente della Repubblica che lavora dietro le quinte... Guardi, che Napolitano chiami Monti, che quest'ultimo incontri prima De Benedetti e poi Prodi, non mi sembra un grande problema. Piuttosto, mi sono chiesto come mai oggi la notizia si uscita in contemporanea sul Financial Times e sul Corriere della Sera, con due tagli completamente diversi: il primo ha trattato la vicenda in maniera molto asciutta, accompagnando la notizia con un grafico sull'ascesa e il declino di Monti, mentre il quotidiano di via Solferino ha preso di mira Napolitano.

Che risposta s'è dato? Mi pare evidente che questi due giornali sono espressione di gruppi differenti: il Financial Times è legato al mondo economico-finanziario anglo-americano, di cui Friedman è espressione, mentre il Corriere, con la scelta di accendere i riflettori sul Quirinale, si sta riposizionando. Un tempo, infatti, spalleggiava Napolitano e le sue scelte, mentre ora non si capisce bene a quale gruppo di potere faccia riferimento. Sono piuttosto sconcertato.

Perché? Perché evidentemente via Solferino ha scelto di abbandonare il sostegno ai gruppi di potere filotedeschi e filofrancesi, cui Napolitano e Monti sono sempre stati legati, e ha deciso combattere una battaglia tutta interna al nostro Paese, i cui contorni non sono ancora ben definiti. Il fatto che Napolitano abbia scelto di replicare con una lettera a De Bortoli per dire che non c'è stato nel 2011 nessun complotto non fa altro che confermare questa cosa: è un braccio di ferro tutto italiano. Da un lato il Corriere, dall'altro Napolitano e Monti, il cui legame fortissimo è tra l'altro confermato dal fatto che in tanti anni il presidente ha scelto di andare più volte all'inaugurazione dell'anno accademico della Bocconi, mai a quello di università statali.

Non solo lo stesso Monti, ma anche De Benedetti e Prodi hanno confermato che nell'estate del 2011 Napolitano si stavano muovendo: è solo una coincidenza? Direi proprio di no: sono tutti esponenti dello stesso gruppo di interesse, che in quell'estate aveva messo nel mirino l'Italia e il governo guidato da Berlusconi, la cui caduta a novembre, come ho scritto più volte, è stata una cosa senza precedenti, visto che mai si è verificato che un esecutivo si veda costretto a lasciare pur avendo una maggioranza parlamentare.

Quindi anche la famosa lettera della Bce dell'estate 2011 nasce in questo contesto in cui gruppi di potere ben precisi lavorano al cambiamento? Naturalmente, il legame è del tutto evidente.

Professor Sapelli, viviamo in uno presidenzialismo di fatto? Formalmente no, in quanto il parlamento è ancora centrale. Ma l'azione del presidente della Repubblica descrive un sistema in cui non ci sono più partiti forti e grandi imprese, e dove il Quirinale si prende un peso sempre crescente nelle decisioni che contano, puntando sulla persona che poteva piacere a Francia e Spagna, non certo a Gran Bretagna e Stati Uniti, contro cui Monti, quando è stato commissario, si è sempre schierato. Vede, oggi il potere è in mano a congreghe, circoli, club, grand commis d'etat, direttori dei ministeri, qualche alto funzionario. E al presidente Napolitano.

Un presidente forte, che fa e disfa, come ai tempi di Oscar Luigi Scalfaro. Scalfaro, che notoriamente aveva una forte connotazione politica, in realtà era controbilanciato da poteri altrettanto forti come i partiti, che oggi non sono più come un tempo. Questa è la sostanziale differenza con quel periodo storico, caratterizzato da forti contrappesi che oggi non ci sono.

Perché proprio oggi salta fuori questa vicenda? Perché la situazione economica è terrificante, peggiore di quella del 2011, e quindi si sono rimessi in moto quei sommovimenti che in qualche modo mirano al cambiamento o, quanto meno, al riassestamento.

Terzi contro Monti, caso marò

Marò, Terzi attacca Monti: "Se sono in India è tutta colpa tua"

Sul caso dei marò si riaprono vecchie ferite. Come quelle tra l'ex ministro degli esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e l'allora premier Mario Monti. L'attacco durissimo al Loden arriva dall'ex titolare della Farnesina: "Se oggi i nostri marò si trovano in  questa situazione, la colpa è del governo Monti. Questa vicenda è frutto di un vergognoso errore di Monti su istigazione dell’allora ministro Passera”, che hanno rispedito i due militari italiani in India dopo che erano rientrati in Italia. Dimessosi dalla Farnesina in segno di protesta con le decisioni  di Monti, Terzi risponde così quando gli chiedono per quale motivo allora il governo italiano abbandonò la procedura di un arbitrato internazionale, che in un primo momento era stato annunciato e avviato: “Non so perchè fu abbandonata la strada dell’arbitrato. Posso dirvi, però, che le motivazioni che mi vennero vibratamente rappresentate da Monti e Passera per ribaltare la decisione di trattenere i marò in Italia, erano fondate su motivazioni di natura economica, dei danni che avrebbero subito le nostre imprese e dalle reazioni indiane”. Terzi sottolinea: “La procedura di arbitrato internazionale era  statta annunciata l’11 marzo e avviata e io mi ero ormai dimesso. Poi è stata inspiegabilmente lasciata cadere. Ci si è affidati interamente agli indiani e questa decisione è stata confermata dal governo Letta. Non vedo nessuna discontinuità nella linea adottata dall’attuale esecutivo”.

lunedì 10 febbraio 2014

La germania e l'italia

La germania sta spolpando le nostre migliori aziende di Libreidee

«Si chiama Spirale della Deflazione Economica Imposta. Ne ho scritto per la prima volta 4 anni fa ne “Il Più Grande Crimine”», ricorda Paolo Barnard. «Dissi che la Germania e la Francia avevano progettato la distruzione dei paesi industrializzati del sud Europa con l’adozione dell’euro, in particolare dell’Italia, perché era la Piccola Media Impresa italiana che aveva stroncato quella tedesca, al punto che nel 2000, prima dell’euro, l’Italia era il maggior produttore e la Germania l’ultimo (dati Banca d’Italia)». Oggi lo scenario si è ribaltato, puntualmente. E le imprese tedesche vengono a fare shopping da noi, perché «in quel comparto industriale abbiamo il miglior sapere al mondo». E, grazie alla trappola dell’euro, che ha «deprezzato l’economia italiana a livello albanese», i tedeschi comprano le aziende italiane a prezzi stracciati. Lo conferma un recente report del “Financial Times”: «Le piccole medie imprese tedesche si sono gettate in un’abbuffata trans-alpina, rendendole le più attraenti acquirenti straniere in Europa di aziende italiane». «Aziende della base industriale del Mittelstand tedesco ottengono accesso al sapere tecnologico di aziende italiane in difficoltà, mentre in alcuni casi spostano i loro quartieri generali oltr’alpe», scrive il quotidiano finanziario il 27 gennaio, sottolineando l’importanza del “sapere tecnologico italiano”. «Le aziende tedesche stanno afferrando opportunità d’espansione mentre la recessione sospinge verso il basso il prezzo degli affari nel sud Europa in difficoltà». Per Barnard, è esattamente «la Spirale della Deflazione Economica Imposta, per comprarci con due soldi» grazie alle restrizioni promosse dal sistema Ue-Bce. Marcel Fratzscher, direttore dell’istituto economico tedesco Diw, ammette che il terreno di caccia del business tedesco è soprattutto l’area in crisi, dove i tedeschi possono “aiutare” le piccole e medie aziende italiane, che «spesso faticano a ottenere credito». Ovvio: «A noi la Germania ha proibito di avere una “banca pubblica” come la tedesca Kfw», protesta Barnard. Una banca che, «barando sui deficit di Stato tedeschi, ha versato miliardi in crediti alle aziende tedesche».

«Le acquisizioni – continua il “Financial Times – sono spesso descritte come accordi strategici, ma degli insider ci dicono che il linguaggio nasconde una serie di acquisizioni aggressive». Di fatto, è la “conquista” di aziende italiane, contro la volontà dei proprietari italiani costretti a vendere. «In alcuni casi gli accordi sono strutturati in modo che il marketing e il management sono esportati dall’Italia, spogliando l’azienda acquistata fino alle sue strutture produttive». Carlos Mack, di Lehel Invest Bayern, dice al “Financial Times” che la logica dietro al trasferimento delle sedi delle aziende italiane «è di avere sia i beni di valore che il marketing e il management in Germania, perché così si ha accesso più facile al credito bancario da banche non italiane». Sempre Mack dice che le aziende tedesche «non sono interessate al mercato italiano, ma solo al prodotto italiano». Ovvero, «sono interessate a vendere il prodotto italiano altrove». Per Barnard, è «la conferma che noi abbiamo le più straordinarie piccole medie imprese del mondo, e ora ci portano via i gioielli della nostra produzione». «A differenza delle aziende italiane – continua il “Financial Times” – le tedesche hanno poche difficoltà a trovare crediti». Una ricerca ha evidenziato che «le banche italiane lavorano bene con le succursali tedesche in Italia, facendogli credito, per proteggersi dai loro investimenti nelle aziende italiane in difficoltà». Ma come, non erano in difficoltà le nostre banche? «Perché prestano ai tedeschi e non a noi?». E’ un “trucco”, innescato dalla Deflazione Economica Imposta dall’euro: «Le nostre aziende affogano, quindi le banche italiane strangolano le aziende italiane perché sono in difficoltà, e arrivano i tedeschi a papparsi i nostri marchi di prestigio a 2 soldi, e le banche italiane ci fanno affari». Norbert Pudzich, direttore della Camera di Commercio Italo-Tedesca a Milano, dice che anche prima della recessione le aziende italiane avevano difficoltà a trovare crediti, perché ad esse manca lo stretto rapporto con le banche “di casa”, che invece le aziende tedesche del Mittelstand hanno. Infatti, osserva Barnard, la stessa Kfw «ha versato miliardi di euro di spesa pubblica sottobanco alle aziende tedesche, barando, mentre costringevano noi a rantolare senza un centesimo dal governo».

«Tutto questo – conclude Barnard – io lo denunciai 4 anni fa, e mi davano del pazzo. Questa è la distruzione pianificata di una civiltà, quella italiana, delle nostre famiglie, dei nostri ragazzi. Questo è un crimine contro l’umanità, perché lo stesso accade in altri paesi europei. Questo è nazismo economico». I tedeschi? «Non cambieranno mai», sono «sterminatori nell’anima», andrebbero «commissariati dall’Onu per sempre». Barnard l’ha ripetuto in decine di conferenze, mostrando una slide dell’“Economist”: ora, con la nostra economia retrocessa a condizioni da terzo mondo «proprio a causa dell’Eurozona voluta da Germania e Francia», la Germania e altre potenze vengono a rastrellare aziende italiane pagandole quattro soldi. Tutto previsto: era un piano preciso. Se cessi di immettere denaro nel sistema, proibendo allo Stato di spendere, vince chi bara – in questo caso la Germania, in cu lo Stato finanzia (di nascosto) le aziende, creando un enorme vantaggio competitivo, completamente sleale. La politica italiana? Non pervenuta. E’ per questo che i “predatori” hanno campo libero. E il paese precipita.