lunedì 30 novembre 2009

Non dovevamo sapere...

Avrebbero fornito supporto logistico a una cellula del gruppo Salafita. Arrivati due tunisini da Guantanamo. La notizia diffusa dal Tg1. Il procuratore di Milano Spataro: «Avevamo raccomandato il riserbo assoluto»

MILANO
- Sono arrivati a Milano i primi due detenuti di Guantanamo: si tratta di due tunisini, Adel Ben Mabrouk e Mohamed Ben Riadh Nasri. La notizia è stata diffusa dal Tg1. No comment del procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, che ha sottolineato: «Avevamo raccomandato il riserbo assoluto sulla vicenda». Dopo l'interrogatorio saranno portati in carcere, a Opera o a San Vittore, in regime As2 («Alta sicurezza, secondo livello», il circuito creato ad hoc per gli indagati, imputati o condannati per terrorismo). Quindi saranno processati in Italia.

LE ACCUSE - Nei confronti dei due tunisini era stata emessa un'ordinanza di custodia cautelare a giugno 2007 dal gip Guido Salvini, su richiesta del pm Elio Ramondini, per terrorismo internazionale. Le accuse: associazione per delinquere, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e altri reati aggravati dalla finalità di terrorismo. Sono accusati in particolare di aver fornito supporto logistico a una cellula del gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento, che avrebbe reclutato persone destinate al martirio nei Paesi in guerra. I fatti risalgono a un periodo tra il 1997 e il 2001 e le indagini della Guardia di Finanza avevano accertato che, per finanziarsi, il gruppo ricorreva anche allo spaccio di droga.

TRE TUNISINI - L'accordo raggiunto tra Italia e Stati Uniti prevedeva l'arrivo di tre detenuti tunisini. Il terzo dovrebbe essere Abdul Bin Mohammed Ourgy: anche nei suoi confronti c'è un provvedimento di arresto della magistratura milanese perché avrebbe avuto dei legami con persone dedite a reclutare volontari per l'Iraq e l'Afghanistan. I nomi dei tre sono emersi dai documenti dell'intelligence americana: dei dieci tunisini detenuti a Guantanamo almeno cinque si trovano al centro di indagini della magistratura italiana. Secondo il Pentagono, sarebbero stati reclutati negli anni scorsi da persone che frequentavano il centro culturale islamico di viale Jenner. Gli altri nomi che appaiono nei documenti, oltre a quelli di Ourgy e di Nasri, sono Ridah bin Saleh al Yazidi, Lufti bin Swei Lagha e Bil Ali Lufti. Negli interrogatori a Guantanamo, quest'ultimo ha ammesso di aver usato almeno 50 nomi diversi quando era in Italia e ha aggiunto di aver avuto qualche problema con le autorità anche se, ha detto, «non ho mai ucciso nessuno».

VERSO LA CHIUSURA - Ad agosto l'amministrazione Obama aveva annunciato il trasferimento all'estero di alcuni prigionieri detenuti a Guantanamo, un passo verso la chiusura della discussa prigione militare entro il 2010. Tra Italia e Stati Uniti c'è stata una lunga trattativa: l'accordo bilaterale prevede che Roma prenda in carico, per poi incarcerare, solo quelli che risultano avere pendenze giudiziarie in Italia.

Opinioni

Che cosa c'è dietro il no della Svizzera ai minareti. Perché la confederazione elvetica ha votato contro i simboli musulmani di Marina Valensise

Non verranno più costruiti minareti sul suolo svizzero. Il referendum di domenica, voluto dal fronte conservatore composto dall’Svp, dalla destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf, si è stato approvato con oltre il 57 per cento dei voti. La proposta di inserire il divieto di costruire nuovi minareti in Svizzera ha ottenuto anche la maggioranza del voto dei cantoni (22 su 26) e comporterà la modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto sarà inserito come una misura “atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose”. Non si sono fatte attendere le reazioni internazionali. Per il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell'Ue, Carl Bildt, il rifiuto alla costruzione dei minareti è “un segnale negativo” e il Consiglio d’Europa parla di “grande preoccupazione”, così come il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si dice “preoccupato”. Il Partito popolare svizzero aveva raccolto centomila firme in un anno e mezzo per ottenere che la questione fosse sottoposta al voto perché l’erezione di torri o torrette collegate alle moschee era rinenuto il simbolo di una “rivendicazione di potere politico-religiosa”. I sondaggi degli ultimi giorni indicavano che la strada sarebbe stata quella del rifiuto, con il 53 per cento degli intervistati che si schierava per il no. La campagna che ha preceduto il referendum è stata animata e tacciata di razzismo: una moschea di Ginevra è stata danneggiata e lo stesso presidente della Confederazione, Hans-Rudolf Merz, si è rivolto alla nazione con un messaggio per dire che “ai musulmani dovrebbe essere garantito il diritto di praticare la propria religione anche in Svizzera, ma nelle valli elvetiche non echeggerà il canto del muezzin”. Contro il divieto, giudicato discriminatorio e pericoloso, si erano schierati il governo e la maggioranza dei partiti. Ma non erano solo i problemi di carattere religioso a preoccupare il governo svizzero. Già prima del voto, il Consiglio federale svizzero, organo esecutivo del governo della Confederazione, si è espresso contro l’iniziativa dell’Svp, giudicato discriminatorio e pericoloso, e che rischia di danneggiare i rapporti della Svizzera con il mondo arabo. La confederazione svizzera, infatti, ha molti investimenti nei paesi mussulmani e le multinazionali elvetiche hanno scelto di schierarsi contro o non prendere una posizione sul tema. L’esito del voto svizzero ha più un carattere ideologico che pratico. In tutti i cantoni, infatti, si contano solo quattro moschee con l’annesso minareto, mentre solo circa 200 i luoghi di culto musulmani. Il primo minareto svizzero è stato costruito nel 1865 a Serrie’re (Neuchatel) da Philippe Suchard, magnate del cioccolato e appassionato di architettura orientale, ma era solo ornamentale. La prima vera moschea con minareto è stata eretta nel 1963 a Zurigo, poi sono seguite quella di Ginevra, di Winterthur e di Wangen bei Olten. Nessuno di questi minareti è utilizzato per chiamare i fedeli alla preghiera, perché sono applicate le disposizioni sull’inquinamento acustico. In Svizzera solo il 5 per cento della popolazione è musulmana e la maggioranza proviene da Bosnia, Kosovo, Macedonia e Turchia. Nessuna sorpresa, invece, per gli altri due quesiti referendari. E’ stata respinta con il 68 per cento dei voti la proposta di vietare le esportazioni belliche, mentre il decreto che stabilisce di destinare all’aviazione civile le risorse ricavate dalle tasse sul traffico aereo è stata approvata dal 65 per cento dei votanti.

E in effetti, con il no ai minareti, gli svizzeri hanno detto che non si vive senza identità... alla faccia di chi vuole creare il nuovo ordine mondiale e cancellare le identità.

E poi arriva Fini

No a minareti, Fini: regalo al fanatismo La Lega: "Referendum anche in Italia"

Roma - Dopo lo stop degli svizzeri alla costruzione di nuovi minareti, la Lega Nord rilancia proponendo di porre sul Tricolore la croce e indire un referendum anche in Italia. Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, caldeggia la consultazione popolare: "In democrazia è sempre importante ascoltare il popolo". Ma il presidente della Camera, Gianfranco Fini, frena: "In Svizzera ha prevalso la paura, è stato un formidabile regalo all’islamismo più eccessivo". Il Vaticano ha fatto sapere di essere "sulla stessa linea dei vescovi svizzeri" che ieri hanno espresso forte preoccupazione per quello che hanno definito "un duro colpo alla libertà religiosa e all’integrazione".

Il referendum in Italia. Dal referendum svizzero a quello sulle moschee in Italia, il passo per la Lega è breve. A proporre come "urgentissima" la consultazione popolare è l’europarlamentare leghista Mario Borghezio: "E' urgentissimo lanciare un referendum in Italia: moschee sì, moschee no. Una consultazione propositiva per consentire ai cittadini di esprimersi con chiarezza". A raccogliere la proposta è il titolare del Viminale. "E' utile sempre in democrazia ascoltare ciò che vuole il popolo e non elite più o meno illuminate - ha spiegato Maroni - la Lega lo fa".

La croce nel Tricolore. Il secondo fronte avanzato dal Carroccio è la proposta avanzata da Roberto Castelli di introdurre la Croce nel Tricolore: "Perché nessuno se la prende con i buddisti, i testimoni di geova, gli induisti? Perché sono religioni tolleranti, noi siamo di fronte all’attacco alla nostra identità da una religione intollerante come l’islam". Su questo punto, però, non tutti i vertici di via Bellerio sembrano essere d'accordo. A sollevare i primi dubbi è il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli: "Nella nostra bandiera, quella lombarda, la croce c'è già ed è quella rossa in campo bianco, la croce di san Giorgio, emblema della bandiera con cui Milano e gli altri comuni lombardi sconfissero il Barbarossa nella storica battaglia di Legnano del 1176". Anche Calderoli vuole, infatti, sottolineare il dato importante: "Sì ai campanili e no ai minareti, ovvero da un lato il rispetto per la libertà di religione e dall’altro la necessità di mettere un freno agli aspetti politici e propagandistici legati all’Islam come, per esempio, la costituzione di un partito islamico in Italia, come già avvenuto in Spagna".

Fini alla Lega: "Visione sbagliata". Nel voto al referendum sui minareti in Svizzera "ha prevalso la paura", "un formidabile regalo all’islamismo più eccessivo". Secondo Fini, ora "il fanatismo islamico si sente più forte". Alla domanda su come avrebbe votato, la terza carica dello Stato ha detto: "Avrei votato convintamente per consentire il diritto di culto". "La Lega non è razzista e per certi versi nemmeno xenofoba" ma "ha una visione del fenomeno immigrazione che non risponde alla realtà". Secondo il presidente della Camera, il Carrocio "dà l’impressione che lo straniero sia qui di passaggio e quindi non ci dobbiamo più di tanto occupare del loro futuro. Èun atteggiamento che non condivido". Da qui l’invito della terza carica dello Stato alla Lega a "riflettere sul fatto che non si può discutere solo della carta dei doveri, ma anche di quella dei diritti".

La bocciatura di La Russa. Secondo il ministro La Russa quella di Castelli è solo "una battuta propagandistica". "Proporre di cambiare la bandiera può essere fatto solo da chi non ama la bandiera. Credo che quella di Castelli - ha aggiunto il ministro della Difesa - sia solo una battuta, neanche una provocazione ma solo una battuta propagandistica. Non si può cambiare la bandiera, non può essere una diversa dall’altra, altrimenti diventa solo una 'bandierina'". Quanto alla decisione del referendum svizzero sui minareti per La Russa "quel paese non è mai stato particolarmente aperto. Ha fatto molto bene ad esprimere una opinione che conferma che non bisogna mai discriminare ma neanche arretrare verso un futuro non dico multietnico ma culturale", ha concluso il titolare della Difesa.

Il Pdl: "No a guerre di religione". "C’è da augurarsi che tutto il mondo politico, senza distinzioni di schieramento, dopo qualche prima reazione emotiva, voglia scegliere una linea di sobrietà e di razionalità a seguito del referendum svizzero sui minareti", ha commentato Daniele Capezzone, portavoce Pdl, osservando che "gli italiani desiderano una politica operosa e volta al buongoverno". "E di tutto si sente il bisogno tranne che di qualche improvvisata e paradossale guerra di religione, comunque e da chiunque condotta".

Il "no" di Casini. "Non si può usare la croce un giorno proponendo che vada sulla bandiera e il giorno dopo spaccandola in testa agli immigrati. Ci vuole equilibrio", ha commentato il leader dell’Udc, Pierferdinando Casini, spiegando che "non c’è bisogno di inserimento di croci. La croce la difendiamo come simbolo dell’identità cristiana dell’Europa in tanti edifici pubblici e in tante scuole. La bandiera - ribadisce Casini - è bella così com’è oggi, cosi come l’inno nazionale. Non mettiamo in discussione i simboli della nostra patria". Quanto, poi, al referendum svizzero, Casini invita a "non comprimere le libertà religiosa. Il problema - conclude - non è scendere sul piano del fanatismo islamico e proibire le moschee, è importante che queste siano luoghi di culto e non di reclutamento di terroristi".

Le preoccupazioni del Vaticano. Il presidente del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, aveva già espresso con chiarezza il suo pensiero sul referendum tre giorni fa, in occasione della presentazione del messaggio del Papa per la Giornata mondiale per i migranti. "Non vedo come si possa impedire la libertà religiosa di una minoranza, o a un gruppo di persone di avere la propria chiesa", aveva detto il presidente del Pontificio consiglio. "Certo - aveva aggiunto - notiamo un sentimento di avversione o paura un pò dappertutto, ma un cristiano deve saper passare oltre tutto questo, anche se non c’è reciprocità". Monsignor Vegliò, vissuto a lungo in Paesi islamici, aveva poi sottolineato come "noi cristiani non possiamo accettare una logica di esclusione. Essere amici per noi non è un optional, se uno vuol essere un cattolico, deve essere aperto agli altri, non naif, certo, qualche volta bisogna anche saper tirare fuori le unghie, ma senza far troppo del male". A cose fatte, il presidente del Pontificio consiglio afferma di condividere in pieno il commento espresso ieri dalla Conferenza episcopale svizzera.

L'Ue smorza i toni. L’Unione europea non ha alcun problema con i minareti, e un referendum non è lo strumento adatto per affrontare questo discorso, che è più che altro una questione urbanistica. Ad affermarlo sono il ministro svedese per l’integrazione Nymako Sabuni e il ministro svedese per l’immigrazione Tobias Billstrom, che presiederanno il Consiglio Ue Giustizia e affari interni a Bruxelles. "L’Europa non ha problemi con i minareti, e mi dispiace che si decidano queste cose tramite un referendum", ha affermato la Sabuni. "Sono sorpreso che questo tema venga affrontato con un referendum, perchè non si tratta di una questione politica ma di pianificazione urbana. In Svezia l’altezza degli edifici è stabilita dagli amministratori locali nella progettazione urbanistica", ha concluso Billstrom.

Onu preoccupata. Le Nazioni Unite sono «preoccupate per il bando» dei minareti in Svizzera, ha affermato oggi a Ginevra un portavoce dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani. "Siamo preoccupati per il bando e stiamo esaminando le implicazioni", ha detto il portavoce Rupet Colville. L’iniziativa della destra nazional-conservatrice elvetica "Contro la costruzione di minareti, approvata ieri in referendum dal 57,5 % dei votanti, era già stata criticata dal comitato dell’Onu per i diritti umani in occasione dell’esame della situazione in Svizzera a fine ottobre. Il comitato è preoccupato per l’iniziativa che mira a vietare la costruzione di minareti e per la campagna discriminatoria di manifesti che l’accompagna", avevano affermato gli esperti dell’Onu.

Sulla svizzera

La rabbia e l'orgoglio del Sovrano. Minareti: un no chiaro che ora porrà dei problemi di Moreno Bernasconi

Altolà a un Islam conquistatore e fondamentalista che vuole imporre anche in Occidente la legge della sharìa e nega alle donne parità di diritti. Questo è il segnale secco che il popolo e i Cantoni svizzeri mandano al Governo federale, a buona parte delle proprie élite politiche e religiose e alla comunità internazionale. Poco importa se questa immagine dell’Islam non corrisponde all’atteggiamento di centinaia di migliaia di mussulmani moderati che vivono ben integrati in Svizzera e a quello di molti che vivono negli altri Paesi d’ Europa. E poco importa se l’iniziativa plebiscitata rimette in discussione alcuni dei capisaldi dello Stato di diritto elvetico e mette in grave difficoltà le autorità svizzere. L’attentato alle torri gemelle dell’11 settembre, il terrorismo di matrice islamico ben presente anche in Europa, il proselitismo delle frange radicali che infiltrano le moschee in numerosi Paesi europei hanno contribuito di fatto negli ultimi anni a dare dell’Islam l’immagine che è rimbalzata sui manifesti dei promotori dell’iniziativa e che viene condivisa da buona parte dell’opinione pubblica europea. Se i cittadini degli altri Paesi occidentali potessero votare su temi come questo, il risultato non sarebbe probabilmente diverso. A questi sentimenti diffusi – di timore verso il fondamentalismo islamico – si è aggiunta negli ultimi mesi per gli Svizzeri l’arroganza di un tiranno mussulmano come Gheddafi che tiene in ostaggio due nostri concittadini e ha chiesto di radiare dalla carta del mondo la Confederazione. Il popolo svizzero ha avuto una reazione di rabbia e orgoglio (indirizzata anche ad un troppo arrendevole presidente della Confederazione) che potrebbe costare un prezzo elevato in termini politici, giuridici ed economici, ma che gli Svizzeri manifestamente sono disposti a pagare. È difficile a questo stadio valutare esattamente le conseguenze del voto di ieri, ma la Svizzera deve prepararsi ad affrontare una serie di problemi seri che probabilmente non sono stati ponderati dai promotori dell’iniziativa. In primo luogo – contrariamente a quanto desiderato – il no ai minareti rischia di rafforzare in Svizzera l’Islam radicale a scapito dei moderati. I fondamentalisti non mancheranno infatti di presentare ai fedeli mussulmani il divieto di costruire i minareti come il segno di un odio verso la religione islamica tout court e quindi di giustificare la necessità di una «guerra santa» (a quando la nascita di un partito islamico in Svizzera?). Il Consiglio federale – che non ha ritenuto di dichiarare irricevibile l’iniziativa benché contraria ad alcuni diritti fondamentali – è ora costretto ad affrontare un eventuale ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Di fronte ad una sentenza che invalidasse la decisione del Popolo svizzero, che cosa farà? Paladina dei diritti dell’uomo, la Svizzera sarà costretta a sottrarsi alla CEDU ritirandosi dal Consiglio d’Europa che raggruppa l’insieme dei Paesi europei (e di cui avrà presto la presidenza)? Anche a livello di organismi internazionali (a cominciare dalle Nazioni Unite) non sarà facile spiegare che in Svizzera il Popolo è semplicemente Sovrano a causa della democrazia semidiretta. E comunque da ieri, all’interno dell’ONU e nelle relazioni internazionali non potremo più contare come prima sull’appoggio di Paesi arabi e di fede islamica. La Svizzera si ritrova confrontata con una seria situazione di conflitto fra una delle sue istituzioni basilari, la democrazia diretta, e i diritti fondamentali che definiscono le regole della convivenza della comunità internazionale. Un conflitto che con ogni probabilità non sarà facile risolvere.

Politically correct contro la svizzera

Gli svizzeri contro l'islamismo politico. Non possiamo che trovarli simpatici per questo di Ugo Volli

L'ho detto per la trombatura di D'Al Ulema e lo ridico oggi. Sono contento. Non ho ancora potuto leggere i giornali di oggi, quindi non so se hanno minimizzato o piantato su una tragedia. Ho visto però le prime reazioni, incredibilmente non solo dei "verdi" (bisognerebbe capire di che verde sono, di quello dell'erba o di quello delle bandiere del profeta), di Amnesty international (scusate, che c'entra? non si occupava della tortura?), dell'Organizzazione della Conferenza Islamica (che c'entra, eccome, è la base del futuro califfato), ma anche dei vescovi cattolici. Tutti più o meno hanno suggerito la ricetta che Bertolt Brecht attribuiva nel 1953, durante i grandi scioperi operai contro il regime, al comitato centrale del partito comunista tedesco: "avendo considerato che il popolo non ha fiducia nel governo in carica, il comitato centrale ha deciso di sciogliere... il popolo." Sto parlando naturalmente di quella gran sberla che i cittadini svizzeri hanno dato a Eurabia col referendum sui minareti delle moschee. Col 57 per cento dei voti e la maggioranza in tutti i cantoni salvo quattro, gli svizzeri hanno approvato un emendamento costituzionale che proibisce la costruzione di minareti alle moschee svizzere. Non fatevi ingannare dalla scarsa rilevanza pratica dell'argomento. Il nucleare in Italia è saltato con un referendum che riguardava il finanziamento della costruzione di una singola centrale, ma quella decisione di quasi trent'anni fa – secondo me sbagliata – ha bloccato lo sviluppo della tecnologia nucleare nel nostro paese fino ad ora e probabilmente per altri decenni ancora. Del resto contro il "dettaglio" dei minareti si era mobilitato uno schieramento formidabile: tutti i partiti politici, salvo i promotori dell'Udc-Svp, tutte le chiese, anche la comunità ebraica, il governo, il presidente della Svizzera. E gli elettori, infatti, sentendosi aggrediti, avevano mentito ai sondaggi, facendo credere che solo una minoranza del 30 per cento avrebbe votato a favore. E invece sono stati il doppio. Tutti razzisti? Tutti fascisti? No, è improbabile, sono pacifici svizzeri, affezionati a orologi, mucche pezzate e fonduta – e democrazia; o se volete svizzeri vecchia maniera orgogliosi della loro autonomia e abituati a difenderla con le buone o con le cattive dai tempi di Guglielmo Tell. Comunque gente che non vuole l'islamismo politico in casa: non una religione come tante, ma un sistema di dominio collaudato da quattordici secoli, che ora sembra avere i numeri, la forza e la complicità per sovrastare il vecchio nemico dell'altra sponda del Mediterraneo. In questo voto gli svizzeri si uniscono agli elettori delle ultime elezioni europee, anch'essi universalmente condannati per aver votato per forze "xenofobe e razziste". Su questo punto bisogna intendersi. Fra i nemici dell'Islam ci sono certamente degli autentici partiti razzisti e antisemiti che ricordano quelli degli anni Trenta, per esempio in Ungheria. Ma è abbastanza chiaro che se agli elettori è offerta una scelta elettorale che dica di no alla resa all'islamizzazione ma in maniera democratica e liberale, com'è il caso di Geert Willders in Olanda e di altri movimenti come gli svizzeri che hanno promosso il referendum, i risultati elettorali premiano questi. Se una scelta democratica ma anti-euraraba del genere è preclusa, allora c'è il rischio che prevalgano neofascisti, neonazisti e teppaglia del genere. La risposta peggiore che il sistema politico possa dare alle preoccupazioni evidenti di buona parte dell'elettorato è ignorarle o criminalizzarle, come la stampa usa fare in Italia e come hanno fatto in Svizzera. «L'odierna decisione popolare riguarda soltanto l'edificazione di nuovi minareti e non significa un rifiuto della comunità dei musulmani, della loro religione e della loro cultura. Il governo se ne fa garante», ha affermato per esempio secondo il Corriere della sera il ministro svizzero di Giustizia e polizia, Eveline Widmer-Schlump. Per carità, signora, lo sappiamo tutti che è una scelta estetica, l'islamismo non c'entra, quando mai. Se questa preoccupazione popolare per lo snaturamento e l'arabizzazione delle nazioni europee non trova un canale politico democratico, si rischia davvero di arrivare a rotture violente, di dare spazio a forze pericolose. In una concezione democratica e non leninista o aristocratica o da "stato etico", le forze politiche sono lì per realizzare le scelte dell'elettorato, non per "elevarlo", "educarlo" o spiegargli la "linea giusta", cioè quella che piace ai giornali, ai vescovi o agli opinion leader. Speriamo che questa consapevolezza induca i politici a riflettere e a rinunciare a sognare il loro paradiso multiculturale in terra di Eurabia. Spereiamo per esempio che si affossi una volta per tutte la folle idea di includere la Turchia nell'Unione Europea. Speriamo, ma non ci crediamo troppo. Temiamo semmai per un futuro molto agitato per il nostro malgovernato continente. Ma per ora, rallegriamoci con i vicini svizzeri. Se non altro per la dichiarazione di Tariq Ramadan, che come sapete è cittadino svizzero. La decisione è "una catastrofe", ha detto, «gli svizzeri hanno espresso una vera paura, un interrogativo profondo sulla questione dell'Islam in Svizzera» Non possiamo che trovarli simpatici per questo. Grazie Elvezia.

La Svizzera dice no alla costruzione di nuovi minareti. E in Italia c'è chi lancia accuse infondate di islamofobia. Florilegio di opinioni

Sia chiaro, la religione non c'entra nulla con il referemdum svizzero. Il voto contro l'aperura di nuovi minareti è squisitamente politica. L'islam non è infatti solo una dottrina, ma un sistema politico, che, come tale, si propone un obiettivo politico: la conquista degli infedeli, cioè di tutti coloro che non professano la fede musulmana. Naturalmente, quasi tutta la stampa italiana sposa la tesi del "partito xenofofo", intervista Tariq Ramadan, eleggendolo a difensore della fede, quando è vero il contrario. Ramadan, in buona compagnia con tutti gli imam che governano le moschee,non solo in Svizzera ma anche in Italia, dipende dai " Fratelli musulmani", altrochè leader moderato. Gli svizzeri se ne sono accorti e hanno detto "adesso basta". Il primo stop a Eurabia è arrivato. Aspettiamo fiduciosi i prossimi. Ci saremmo anche aspettati delle dichiarazioni da parte dei musulmani moderati del COREIS, ma non è stato così. Peccato.

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/11/2009, a pag. 1.29, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo "No, bocciata la libertà religiosa", a pag. 3, l'intervista di Gian Guido Vecchi a Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano dal titolo "Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi". Dalla STAMPA, a pag. 1-35, l'articolo di Franco Cardini dal titolo "Missili e campanili" e, a pag. 6, l'intervista di Ferruccio Sansa a Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII dal titolo "Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno". Dalla REPUBBLICA, a pag. 8, l'articolo di Renzo Guolo dal titolo "I timori del contagio" e, a pag. 9, l'intervista di Francesca Caferri a Tariq Ramadan dal titolo "Un risultato scioccante è il trionfo della paura". Ecco gli articoli, preceduti dai nostri commenti:

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista: "No, bocciata la libertà religiosa"

Pierluigi Battista scrive che questo referendum è "guerra preventi­va ai luoghi della preghiera". Si sbaglia. Il referendum è volto ad impedire la costruzione di nuovi minareti in Svizzera dove, al momento, ne esistono già quattro. Questo non ha nulla a che vedere con la libertà di professare la propria religione in luoghi di culto appositi. Infatti in Svizzera, al momento, esistono 200 moschee e, nel referendum, non si menziona nè l'opzione di eliminarle, nè di bloccare la costruzione di nuove. Ecco l'articolo:

La bocciatura svizzera dei minareti si gloria con nobili intenzioni stilistiche e architetto­niche, come se davve­ro lo splendore autoctono dei la­ghi e delle montagne avesse bi­sogno di essere protetto dall’in­trusione di torri sgraziate. Ma nel referendum svizzero hanno bocciato a maggioranza la liber­tà religiosa. Non la tutela del pa­esaggio, ma la guerra preventi­va ai luoghi della preghiera. Si sentono minacciati, ma han­no fatto di un minareto il quar­tier generale del nemico. Non hanno chiesto il controllo di ciò che viene predicato e agitato nelle moschee. Non si sono ri­bellati a costumi in contrasto con i principi che ci sono più ca­ri, dalla libertà della donna alla separazione tra politica e reli­gione, dalla democrazia all’auto­nomia delle leggi civili dalle pre­tese di un testo sacro. E non hanno nemmeno vellicato un istinto di sicurezza, che in Sviz­zera, per la verità, ha meno ra­gioni di esasperarsi che da noi. No, hanno manifestato un’ostili­tà preventiva e non negoziabile ai luoghi di culto. Hanno identi­ficato nel muezzin che dai mina­reti chiama i fedeli alla preghie­ra il nemico in agguato, il sim­bolo della minaccia, l’aggressio­ne a un’identità culturale. E se c’è un esempio della tanto evo­cata tirannide della maggioran­za, da ieri basta recarsi in Svizze­ra per contemplarne un model­lo. Hanno dato la risposta peggio­re alla minaccia islamista che in­combe sull’Europa, peggiore an­che dell’illusione multiculturali­sta i cui contraccolpi negativi so­no oggi al centro della riflessio­ne autocritica in Gran Bretagna e in Olanda. Se pensavano a una ritorsione per le persecuzioni e le discriminazioni religiose che infestano i Paesi in cui la legge non è che l’applicazione lettera­le e senza scampo della sharia, hanno imboccato la strada più pericolosa. Più pericolosa per le minoranze religiose che nel mondo dell’integralismo islami­co non hanno diritto di parlare, esprimersi, pregare, esporre i simboli del proprio credo. È ov­vio che i primi a rammaricarsi per il risultato svizzero siano sta­ti i vescovi: non si può risponde­re con i divieti a chi considera un reato punibile con la morte il semplice possesso di un croce­fisso. Non è con l’ostruzioni­smo che dovrebbe impedire la costruzione di un minareto che si possono salvare le chiese al­trove saccheggiate e bruciate, o avere più a cuore la sorte degli ebrei e dei cristiani che sono co­stretti alla clandestinità della lo­ro fede. Il divieto di minareto è inutil­mente offensivo, controprodu­cente. E colpisce il bersaglio sbagliato. Schiaccia i più mode­rati nelle braccia degli oltranzi­sti. Suscita risentimenti e vitti­mismi. Offre gratuitamente ar­gomenti a chi parte per l’Euro­pa con intenzioni ostili. Scam­bia catastroficamente la religio­ne con la politica. Anziché chiedere conto agli islamici dei loro comportamenti, li umilia osta­colando le loro preghiere. Inve­ce di esigere che tutto si svolga alla luce del sole, ricaccia nel­l’ombra chi vuole solo pregare e non ha intenzione di unirsi ai nemici dell’Occidente che consi­derano l’Europa terra di infedeli da combattere. Non c’è niente di male nella co­struzione di una moschea (che in Svizzera sono già duecento, peraltro) o di un minareto. Il male è che le moschee diventi­no luogo di reclutamento del verbo fondamentalista, e que­sto male è destinato a inasprirsi dopo il referendum svizzero. Il male non è la libera preghiera, ma il velo islamico non libera­mente scelto ma imposto da au­torità onnipotenti, padri padro­ni, mariti prepotenti. Non è il suono del muezzin, ma l’osten­tazione di un’ostilità minaccio­sa, come quella che ha cono­sciuto Milano quando, in gesto di sfida, si inscenò la genufles­sione islamica davanti al sagra­to del Duomo. Si capisce che alcuni esponenti della Lega esultino per il risulta­to svizzero. Si capisce un po’ me­no che siano seguiti da chi inve­ce non ha fatto della purezza et­nico- religiosa la propria bandie­ra. Che dovrebbe battersi per la reciprocità della libertà religio­sa e perché sia garantita l’inte­grità delle chiese e delle sinago­ghe, la sacralità dei luoghi di culto ovunque essi siano. Il re­sto è solo paura, terrore cieco. Ma la paura fa commettere erro­ri imperdonabili. Anche se espressi a maggioranza. Anche se la democrazia smarrisce se stessa, se non tutela le minoran­ze. Comprese quelle che prega­no in modo diverso.

CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi: "Strumentalizzare le religioni porta sempre frutti velenosi"

Nel corso dell'intervista, Vian fa notare un aspetto interessante : "trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorre­re per i minareti alla Corte di Strasbur­go: la stessa che vorrebbe togliere i Cro­cifissi". In ogni caso, non condividiamo la sua visione di reciprocità. Quello che descrive lui, è un idillio (inesistente) fra cristianesimo e islam. Nei paesi islamici la libertà di culto per le altre religioni non è garantita. In ogni caso, come già scritto nella critica a Battista, facciamo notare che, in Svizzera, non è in gioco la libertà di culto, ma il blocco della costruzione di nuovi minareti. Due cose diverse. Ecco l'intervista:

CITTÀ DEL VATICANO — «Bisogna stare attenti, a strumentalizzare le reli­gioni. È una cosa che ha sempre portato frutti cattivi, velenosi». Giovanni Maria Vian, direttore dell’ Osservatore Roma­no , riflette pacato sulla genesi del refe­rendum, prima ancora che sul risultato: «Premesso che c’è il pieno rispetto del voto popolare, come del re­sto hanno detto le autorità ci­vili e religiose svizzere, trovo molto interessante ciò che ha osservato alla Radio Vati­cana monsignor Felix Gmür, segretario generale della Con­ferenza episcopale svizzera: non siamo riusciti a fare ab­bastanza per spiegare che era un referendum da respinge­re. Una sorta di autocritica che dobbiamo fare tutti, reli­giosi e non».

Autocritica in che senso, professo­re? «Ci sono già state iniziative del gene­re, di carattere politico estremistico, ad esempio in Austria. Una campagna mol­to aggressiva, giocata sulla paura, che purtroppo ha fatto breccia».
È preoccupato di ciò che può accade­re? «Di per sé, in Svizzera, non mi pare che cambi granché dal punto di vista della libertà di culto o religiosa: le mo­schee ci sono, i quattro minareti che esi­stono resteranno e del resto non vengo­no usati per il culto. Il problema è simbo­lico, più che altro».
La paura degli elettori, pe­rò, è reale… «Viene posto il problema della presenza dell’Islam, un tema che è sotto gli occhi di tutti e va affrontato con gran­de prudenza, tendendo pre­sente che la libertà di culto in Europa è fuori discussione. Per questo è interessante la reazione dei vescovi svizzeri: la pura deplorazione avrebbe poco senso. Rischierebbe di essere percepita come la reazione di una élite lontana dalle preoccupazioni della gente. È giusto invece dire: non siamo riusciti a far capire cosa c’è in ballo».
Che cosa? «Per i cattolici la religione è anche un fatto pubblico. Tra l’altro, trovo un po’ ridicolo che ora i Verdi vogliano ricorre­re per i minareti alla Corte di Strasbur­go: la stessa che vorrebbe togliere i Cro­cifissi. La propaganda contro i minareti, comunque, è contraddittoria da parte di quelle forze che a volte si appellano a pa­role d’ordine vuote».
Tipo la difesa della cristianità agita­ta dagli estremisti politici? «Tipo. C’è da ricordare che a Roma, simbolo della cristianità, a metà degli anni Settanta fu proprio il vescovo della città, Papa Paolo VI, ad acconsentire che si desse il via libera alla costruzione del­la moschea più grande d’Europa. Ma non c’è solo questo».
Che altro? «In ballo c’è anche la libertà dei cri­stiani nei Paesi islamici».
Il problema della reciprocità. C’è chi dice: se i Paesi islamici non danno li­bertà di culto, bisogna reagire con du­rezza. «No, come diceva l’arcivescovo Anto­nio Maria Vegliò: Gesù non si è compor­tato così. Questo non significa ignorare i problemi. I problemi vanno visti e af­frontati».
Già, ma come? «La cosa fondamentale, nei rapporti con l’Islam e tra Islam e cristianesimo, è il rifiuto dell’uso violento della religio­ne. È una menzogna ateistica sostenere che i monoteismi sarebbero di per sé violenti. Nella tradizione islamica, d’al­tra parte, c’è un problema non risolto nel rapporto tra religione e politica. Ec­co perché Benedetto XVI dice che biso­gna confrontarsi sulle radici culturali, ri­correndo ad un elemento comune come la ragione, il logos».
Ma è possibile, in concreto? «L’uso distorto e violento della reli­gione fa vittime anzitutto nei paesi isla­mici. In tema di reciprocità, è importan­te la visita che in questi giorni il cardina­le Jean-Louis Tauran sta facendo in Indo­nesia: dove si respira un’aria diversa da quella che soffia dai venti di intolleran­za. Lì sembra esserci un Islam maggiori­tario ma di tendenza moderata. Direi che la reciprocità si possa intendere in questo senso: una sfida comune a favori­re la tolleranza e la libertà di culto ovun­que».

La STAMPA - Franco Cardini: "Missili e campanili"

Cardini cerca di capovolgere la realtà nel suo articolo, giocando sull'assurdo. Un campanile in Svezia non la rende papista, un tempio ebraico a New York non fa degli States uno Stato ebraico, è tutto vero, ma c'è una differenza fra le religioni citate da Cardini e quella islamica. Le prime non hanno velleità di conquista del mondo, nè parlano di Jihad. I terroristi di oggi non sono integralisti cattolici o buddhisti, ma islamici. I minareti e le moschee, spesso, diventano centri di reclutamento fuori controllo per terroristi. Leggendo l'articolo di Cardini sembra che in Svizzera l'islam sia stato messo al bando, che non sia più possibile professare una fede diversa da quella cattolica. Non è così. Esistono circa 200 moschee. Nessuno ha intenzione di abbatterle, nè di bloccare la costruzione di nuove. Il referendum riguarda i minareti. Per questo non vediamo in esso l'umiliazione di "molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa". Per saperne di più su Cardini, leggere il libro di Alexandre Del Valle "Rossi, neri e verdi", ed. Lindau. Ecco l'articolo:

Non c’è bisogno di aver letto Landscape and Memory (1995) di Simon Schama sulla storia del paesaggio per sapere che ambienti e landscapes si modificano col tempo. Anche e soprattutto grazie all’opera dell’uomo: e che poco c’è in essi di puramente «naturale», niente di definitivamente «bello». Agli antichi elvezi, probabilmente, le torri e i templi dei romani sulle prime non piacevano affatto; e, agli elvezi romanizzati, non dovevan garbare granché i campanili. Che quindi qualche minareto avrebbe davvero compromesso l’armonioso paesaggio svizzero, con i suoi laghi e i suoi pascoli, è lecito dubitare. Le ragioni del «sì» degli abitanti della felice Confederazione Elvetica al referendum sul bando alla costruzione delle torri da cui si chiamano i musulmani alla preghiera debbono essere anche altre. «Simboli del potere islamico», è stato detto. Ma quale potere? Un campanile cattolico in Svezia significa forse che quel Paese è passato al papismo? I templi buddhisti di New York simboleggiano il passaggio degli States alla fede in Gautama Siddharta? E la monumentale sinagoga di Roma significa forse che la Città Eterna è in mano agli ebrei? «Niente minareti se non c’è reciprocità», ha cristianamente sentenziato qualcuno. Ma di quale reciprocità si tratta? Di campanili cristiani molti Paesi musulmani abbondano: dalla Turchia alla Siria alla Giordania all’Egitto all’Algeria; e il fatto che il re dell’Arabia Saudita ne vieti la costruzione autorizza forse moralmente gli svizzeri a negare un minareto a una comunità musulmana fatta di turchi o di maghrebini, che col monarca wahhabita non hanno proprio nulla a che fare? Ma le moschee sono fonte d’inquinamento fondamentalista, proclama qualcun altro. Dal che s’inferisce che l’unico modo per controllare e contrastare il fondamentalismo sia quello di umiliare molte decine di migliaia di credenti rifiutando loro un simbolo di libertà religiosa. E’ arrivata a questo, la nostra regressione verso l’intolleranza? Giratela come volete: ma il risultato del referendum svizzero è un altro tassello nell’allarmante puzzle della perdita delle virtù di tolleranza e di ragionevolezza di cui l’Europa e il mondo occidentale stanno dando di questi tempi prove sempre più chiare. E che questa febbre sia grave è prova il contestuale rifiuto, opposto dal medesimo popolo svizzero, all’altro referendum, che gli chiedeva il divieto dell’esportazione di armi e materiale bellico al fine di sostenere lo sforzo internazionale per il disarmo. Qui, di fronte a ovvi motivi di ben concreto interesse economico, il popolo per definizione più pacifico d’Europa - ma anche quello militarmente parlando meglio esercitato - ha rifiutato di arrestare il «commercio di morte». E’ vero, le armi fanno male alla gente. Ma in fondo anche il tabacco e gli alcolici: e allora perché non continuarne produzione e vendita, magari con l’apposizione di qualche scritta d’avvertimento (tipo: «Sparare al prossimo fa male anche a te»)? C’è del metodo, in questa follia. Curioso che il minareto somigli dannatamente a un missile, o anche a un bel proiettile lucente di fucile. I Mani di Charlton Heston, ex Mosè, ex Ben Hur, che tra 1998 e 2003 fu presidente dell’americana National Rifle Association, ne saranno estasiati. Lo ricordate, senescente eppur fiero della sua armeria simbolo di libertà, nel Bowling for Columbine di Michael Moore? Chi oggi esulta per l’esito del doppio referendum svizzero può prendere il vecchio Charlton a emblema del suo trionfo. A questo punto, per il momento, è arrivata la nostra notte.

La STAMPA - Ferruccio Sansa: "Se lasciamo i garage, i fanatici diminuiranno"

Izzedin Elzir, portavoce dell'UCOII, sostiene che "Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee (...) se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione". Più moschee e minareti, meno terrorismo. Come no. Non comprendiamo questa relazione. E ci chiediamo, se essa è veritiera, come mai il terrorismo islamico sia nato in paesi islamici, fondamentalisti e dove il dialogo interreligioso è inesistente. Ecco l'intervista:

Izzedin Elzir, lei è portavoce dell'Ucoii, l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia. Nel nostro Paese fioriscono i progetti di moschee: sono davvero essenziali per la vostra comunità? «Sì, sono il luogo dove un musulmano fa le cinque preghiere. Molto di più: qui si insegnano religione e cultura. Si impara un modo di vivere e di convivere».
Gli attuali luoghi di preghiera non sono sufficienti? «Non ce la sentiamo più di pregare in garage e scantinati, non degni della nostra comunità, che umiliano e avviliscono».
Gli italiani, però, temono il diffondersi di luoghi di culto estranei alla fede cattolica e alla fisionomia delle città. «L'Italia è un Paese civile, bellissimo. Il nostro popolo, gli italiani intendo, crede fermamente nei diritti degli uomini e nella libertà religiosa».
Molti temono il diffondersi del fondamentalismo. «Anche per combattere questi eccessi sarebbe utile costruire nuove moschee».
E' sicuro? «Sì, se abbandonassimo le sale avvilenti, quasi clandestine, usciremmo verso una realtà aperta. Se ci sentissimo accettati perderebbe terreno l'esasperazione».
L'atteggiamento delle comunità islamiche verso gli estremisti non è a volte ambiguo? «Cerchiamo di isolare chi propaganda la guerra».
Accettereste di parlare italiano nelle moschee? «La predica del venerdì si fa già in arabo e in italiano. Non tutti i musulmani parlano arabo, la lingua ufficiale dell'Ucoii è l'italiano».
Non sarà facile convincere tutti, soprattutto la Lega. «Siamo aperti al dialogo. La Lega ha una posizione dura, ma c'è rispetto. Il confronto è l'unico strumento».
C'è chi sfiora il razzismo. «A me non piace fare la vittima. E' vero, l'islamofobia è diffusa, ma si risolve lavorando con tutti. Abbiamo un intenso dialogo interreligioso».
Come sono i rapporti con la Chiesa? «Ottimi. La Chiesa non è contro la costruzione dei luoghi di culto. Chi crede rispetta la fede degli altri».

La REPUBBLICA - Renzo Guolo: "I timori del contagio"

La posizione di Guolo è espressa dalla descrizione che fa dei partiti che hanno promosso il referendum: "destra xenofoba e nazionalista svizzera". Per Guolo essere realisti e arginare il fenomeno di islamizzazione dell'occidente significa essere islamofobi. Ecco l'articolo:

Uno stop che non riguarda la libertà di culto, incomprimibile nello spazio europeo anche fuori dall´Unione, ma la dimensione simbolica della presenza islamica nel paese. Con il referendum, tipica modalità della democrazia diretta elvetica, la destra chiedeva una modifica costituzionale che vietasse l´edificazione di nuovi minareti, definiti espressamente "simbolo di imperialismo politico-religioso". Affermazione che rivela come il nodo del contendere, che va oltre i confini della Confederazione e conferma come la forma del conflitto in Europa assuma, sempre più, i tratti del conflitto sui valori, sia ormai la visibilizzazione dell´islam nello spazio pubblico. Visibilizzazione negata, nel tentativo di marcare gerarchicamente il territorio attraverso l´espulsione di dimensioni simboliche, siano esse il minareto o il velo, considerate minacciose per l´identità locale declinata in chiave religiosa o etnica. Battaglia che la destra xenofoba e nazionalista svizzera e le correnti evangeliche più legate al cosiddetto "sionismo cristiano", movimento diffuso negli Usa che nell´islam vede un ostacolo alla realizzazione messianica della loro apocalittica dottrina, conducono in nome di un identità cristiana iperpolitica, che prescinde dalle posizioni delle leadership delle confessioni maggioritarie. Tanto che mentre i proponenti chiedevano di inserire il divieto in Costituzione, come misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose», le altre confessioni osteggiavano apertamente tale indicazione. La stessa Chiesa cattolica giudicava la vittoria del "sì" un ostacolo sulla via dell´integrazione e del dialogo. Icona di un cristianesimo senza Cristo, quella veicolata dalla destra cristiana xenofoba, in Svizzera come altrove, che tende a impugnare la Croce sottraendola alle Chiese, accusate di non interpretare il vero «sentire del popolo, spesso oscillanti tra il timore per la loro presa in un Continente secolarizzato e religiosamente plurale e l´opposizione alla discriminazione verso gli immigrati». Un voto, nonostante i troppo ottimistici pronostici contrari, in continuità con alcuni referendum del passato e con gli orientamenti emersi nelle ultime elezioni politiche. Anche se nella circostanza l´oggetto non era tanto, o solo, l´immigrazione proveniente dai paesi islamici, il 5% della popolazione, circa quattrocentomila persone, ma la rigerarchizzazione delle culture e delle religioni per via politica. Un voto destinato a rilanciare, anche lontano dalle rive del Lemano e più vicino a Chiasso, le polemiche sui luoghi di culto islamici; oltre che l´idea che la libertà religiosa, inscindibile dalla possibilità di edificare luoghi di culto, possa essere oggetto di pronunciamento popolare, magari a livello locale e senza più dover mascherare il quesito dietro a vaghe motivazioni estetiche o urbanistiche. Come se i diritti fondamentali fossero disponibili al giudizio della mutevole maggioranza del tempo. Un pronunciamento che deve far riflettere anche quanti ritengono l´integrazione dell´islam nelle società europee un corollario del nuovo pluralismo religioso e culturale che le caratterizza. I generici appelli al dialogo e al riconoscimento del pluralismo non bastano più per fronteggiare le derive xenofobe: servono pragmatiche politiche pubbliche capaci di produrre insieme coesione, sicurezza e libertà. Il "si" svizzero obbliga, infine, gli stessi musulmani a pensarsi meno in termini di comunità e più in termini di individui. Trasformazione che presuppone anche il superamento di posizioni e leadership tese a mantenere rigidamente coese le comunità; mentre il progredire dell´interazione con le società europee, vero antidoto alla politica esclusivista invocata da attivi imprenditori politici della xenofobia e favorita dallo stesso riflesso di chiusura di leadership che perseguono l´autoghetizzazione comunitaria per proteggere i musulmani dalla "contaminazione" con l´ambiente "impuro" circostante, implica un´apertura destinata a metterle in secondo piano. Scelta che implica l´accettazione di un islam europeo, lontano dai canoni di tradizioni o neotradizioni che, a torto o a ragione, appaiono agli autoctoni foriere di minacce.

La REPUBBLICA - Francesca Caferri: "Un risultato scioccante è il trionfo della paura"

Tariq Ramadan scrive: "I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione". Musulmani invisibili? Se fossero tali, non avrebbero moschee e in Svizzera non si sarebbe sentita la necessità di bloccare la costruzione di minareti. Tariq Ramadan guarda con orgoglio alla Spagna, dove è appena stato fondato un partito islamico: "L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno". Tariq Ramadan si maschera da moderato ma, di fatto, teorizza l'islamizzazzione profonda dell'occidente mediante "il radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea". La prossima proposta quale sarà? Convertire in massa e obbligatoriamente gli infedeli? Tagliare la gola agli atei? Frustare e impiccare gli omosessuali e le donne che rifiutano il velo? Ecco l'intervista:

«Un risultato scioccante». Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti di Islam europeo, controverso sostenitore della necessità di un radicamento delle comunità musulmane all´interno della realtà europea, reagisce così ai risultati del referendum in Svizzera. Un paese che conosce bene, perché è quello in cui risiede quando non insegna a Oxford o gira per conferenze nel resto d´Europa.
Scioccante perché, professor Ramadan? «Perché i sondaggi davano solo il 30% di supporto a questa iniziativa, e invece sono stati smentiti. E perché il risultato dimostra che i partiti più estremisti sono quelli che stanno guidando il dibattito sull´Islam in Europa. Succede in Svizzera, ma anche in Olanda e da voi in Italia. Si sta facendo leva sulla paura della gente per far passare il messaggio che l´Islam non è compatibile con la società europea. E questo è scioccante».
Dunque siamo di fronte a un fenomeno che va oltre i confini svizzeri… «Sì, certo. Guardiamo alla questione del velo in Germania, a quella delle scuole in Italia: il problema vero è quello della nuova visibilità delle comunità musulmane. Qualunque segno - un vestito, il colore della pelle, un simbolo religioso, una sala di preghiera - diventa un problema. C´è in Europa la paura costante che ciò che è diverso possa cambiare il continente».
Cosa si può fare per cambiare questo atteggiamento? «Io penso che il problema stia in entrambi i fronti. I musulmani devono smettere di cercare di essere invisibili e inserirsi invece nel dibattito a tutti i livelli: parlare di ecologia, così come di economia. Le società europee dovrebbero essere più coraggiose: discutere di emarginazione, di disoccupazione, di povertà. Sono questi gli elementi che possono creare futuri nemici dentro all´Europa, non la religione. L´Europa deve mostrare fiducia nei confronti dei suoi stessi cittadini. Servono programmi coraggiosi, partiti coraggiosi: se il dibattito resta in mano ai partiti populisti le cose non miglioreranno. Perché puntano solo alla contrapposizione».
Vede una responsabilità della comunità musulmana in questa mancanza di dialogo? «Sì certo. I musulmani non hanno finora lavorato abbastanza per far ascoltare la loro voce e far capire le loro posizioni».
Si aspetta qualche forma di violenza ora? «No, non in Svizzera. E francamente non in Europa. Quello che temo è piuttosto che i grandi paesi a maggioranza musulmana prendano delle posizioni dure. Le manifestazioni di rabbia avrebbero conseguenze politiche pesanti. Non arriveremo a nulla in questa maniera».

Ops!

Resta in carcere il presunto omicida. Domenica scena muta con il giudice. Giallo delle mani mozzate, l'arrestato: sono musulmano. Piccolomo non risponde al gip. «Devoto» al Milan, dopo il secondo matrimonio si sarebbe convertito all'islam

MILANO
- Rimane in carcere Giuseppe Piccolomo, il 58enne imbianchino di Ispra sospettato dell'omicidio della pensionata Carla Molinari al cui corpo sono state tagliate le mani il 5 novembre scorso. La custodia cautelare in carcere è stata disposta dal gip di Varese Giuseppe Fazio, su richiesta del pm Luca Petrucci. Il giudice non ha convalidato il fermo in quanto non sussisterebbe il pericolo di fuga, ma ha disposto comunque il carcere in considerazione dei gravi indizi di colpevolezza. Domenica l'uomo si era avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip, che l'aveva interrogato nel carcere di Varese. Lunedì mattina, invece, agli agenti della Polizia penitenziaria ha detto: «Sono musulmano». Questo prima che gli venisse servito il suo primo pasto da detenuto. Una richiesta che viene fatta perchè ai credenti di fede musulmana viene preparato un pasto privo di carne di maiale e non accompagnato da vino.

FEDE MUSULMANA - Se l'avvocatessa dell'uomo accusato dell'omicidio di Carla Molinari, Simona Bettiati, ritiene il particolare privo di qualsiasi valenza nell'ambito dell'inchiesta, la sua presunta conversione religiosa non era un gran mistero, soprattutto fra gli avventori del bar del centro commerciale cocquiese diventato quasi la sua seconda casa, una conversione che sarebbe arrivata dopo il suo secondo matrimonio, quando sposò la donna marocchina (ex colf di casa) con la quale gestiva la pizzeria non lontana dalla villetta dell'orrore e dove ebbe modo di conoscere Carla Molinari. Non risulta, comunque, frequentasse moschee o luoghi di culto musulmani.

DEVOZIONE MILANISTA - Risulta invece, dalle testimonianze del bar che trascorreva interi pomeriggi seduto al tavolino con la Gazzetta dello Sport fra le mani. Particolarmente «devoto» al Milan, era andato anche a Vienna in occasione di una finale di Coppa dei Campioni e c'è chi lo ricorda vestito da diavolo con in mano il tridente in plastica. Nel frattempo pesano come un macigno le parole pronunciate ieri dalle figlie di Piccolomo, Nunzia e Cinzia, che si sono dette convinte che la loro madre sia stata uccisa. La donna, Marisa Maldera, prima moglie di Piccolomo, morì a Caravate (Varese) nel rogo dell’auto su cui viaggiava con l’imbianchino il 21 febbraio 2003. Un incidente per il quale Piccolomo patteggiò una pena a un anno e quattro mesi per omicidio colposo, perché trasportava nel bagaglio una tanica di benzina che avrebbe scatenato l’incendio. Le figlie ora chiedono la riapertura dell’inchiesta ma, tecnicamente, questo sarebbe possibile solo in presenza di nuovi elementi. Secondo Nunzia e Cinzia il movente dell’omicidio sarebbe probabilmente riconducibile al fatto che loro padre aveva perso la testa per una donna marocchina (ex colf di casa), che poi Piccolomo sposò e dalla quale ha avuto due figli e con la quale gestì per qualche tempo una pizzeria.

L'ARRESTO - Il sospetto, conoscente della Molinari, era stato fermato giovedì scorso dagli agenti della Squadra mobile di Varese per omicidio volontario con le aggravanti della premeditazione e della crudeltà. L'uomo - che viene descritto a Cocquio come un «rumoroso attaccabrighe con poca voglia di lavorare» - si è contraddetto sull'origine dei graffi che aveva sul volto e che il gip Giuseppe Fazio, nel provvedimento con cui dispone la custodia cautelare, spiega che sono dovuti a un «disperato tentativo» della vittima di salvarsi. Il giorno dopo il delitto, Piccolomo riferì a un messo comunale, dal quale era andato per ricevere alcune notifiche, che si era procurato i graffi andando alla ricerca di funghi. Convocato dagli agenti della Squadra Mobile il 25 novembre, raccontò invece di essere andato, in compagnia di un architetto, a visionare un terreno e di essere lì caduto nei rovi. Una versione che però è stata smentita dallo stesso architetto. Il Gip, nel provvedimento, parla di «inquietante personalità» dell'indagato e di «crudeltà più volte dimostrata». Nel provvedimento si fa inoltre riferimento a dichiarazioni «gravemente indizianti, a carico di Piccolomo, comprese quelle delle sue due figlie, che sono state depositate durante l'udienza di convalida di ieri, in cui il piccolo imprenditore edile, ex ristoratore si è avvalso della facoltà di non rispondere».

In svizzera

Da qualche parte nel mondo, il popolo è ancora sovrano ma nonostante tutto, agli altri la cosa non va bene. No, non è un duro colpo alla libertà religiosa, i musulmani svizzeri, nonostante il blocco dei minareti, possono ancora professare la loro "religione di pace e amore", possono ancora costruirsi moschee e centri "culturali" per elargire "teorie dell'odio e del razzismo"... ma si dice l'esatto contrario. Ringraziamo sentitamente il vaticano che ancora una volta ci fa capire da che parte sta. Prima, se non altro, il vaticano ogni tanto parlava anche di reciprocità...

No ai minareti, Ue e Vaticano: «Dalla Svizzera segnale negativo». Le reazioni dopo il referendum. La Santa Sede: «Duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione»

MILANO - Fa discutere il «no» ai minareti sancito in Svizzera da un referendum. Sono molte, infatti, le reazioni al risultato. Il presidente del Pontificio consiglio dei migranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, spiega di essere «sulla stessa linea dei vescovi svizzeri», che hanno espresso forte preoccupazione per quello che hanno definito «un duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione». Lo stesso Vegliò, del resto, aveva espresso con chiarezza il suo pensiero sul referendum tre giorni fa, in occasione della presentazione del messaggio del Papa per la Giornata mondiale per i migranti. «Non vedo come si possa impedire la libertà religiosa di una minoranza, o a un gruppo di persone di avere la propria chiesa», aveva detto il presidente del Pontificio consiglio. «Certo - aveva aggiunto - notiamo un sentimento di avversione o paura un po' dappertutto, ma un cristiano deve saper passare oltre tutto questo, anche se non c'è reciprocità».

FRATTINI - Il ministro degli Esteri Franco Frattini si è detto preoccupato per la scelta della Svizzera e ha ricordato le ultime scelte del Consiglio europeo che sanciscono la «libertà di tutte le religioni». L'Italia, ha detto Frattini «difende il diritto di esporre il crocifisso nelle scuole, quindi guardiamo con preoccupazione a certi messaggi di diffidenza o addirittura proibizione verso un'altra religione».

UNIONE EUROPEA - Anche per il ministro degli Esteri svedese e presidente di turno dell'Ue, Carl Bildt, il no alla costruzione dei minareti emerso dal referendum svizzero lancia «un segnale negativo». «È un'espressione di un notevole pregiudizio e forse anche di paura, ma è chiaro che è un segnale negativo sotto ogni aspetto, su questo non c'è dubbio», ha dichiarato alla radio svedese. Per Bildt è anche «molto strana» la decisione di Berna di sottoporre la questione a referendum: «Di solito in Svezia e in altri Paesi sono gli amministratori delle città a decidere su queste cose».

COMMISSIONE UE - No comment invece dalla Commissione Europea. «La Commissione - ha affermato a Bruxelles il commissario alla Giustizia, la libertà e la sicurezza Jacques Barrot - non deve prendere posizione sulla questione, la Svizzera non è uno stato membro e del resto sono state seguite procedure democratiche».

CONSIGLIO D'EUROPA - Interviene anche il Consiglio d'Europa: «Nonostante sia espressione della volontà popolare, la decisione di vietare la costruzione di nuovi minareti in Svizzera suscita in me grande preoccupazione». afferma Lluis Maria de Puig, presidente dell'Assemblea parlamentare. «Se da un lato questa decisione riflette le paure della popolazione svizzera e dell'Europa, nei confronti del fondamentalismo islamico, dall'altra, mentre non aiuterà ad affrontare le cause di questo fondamentalismo, è molto probabile che incoraggi sentimenti di esclusione e approfondisca le spaccature all'interno della nostra società».

ONU - Posizione simile alle Nazioni Unite. Un portavoce dell'Alto commissariato per i diritti umani Onu afferma che «il comitato è preoccupato per l'iniziativa che mira a vietare la costruzione di minareti e per la campagna discriminatoria di manifesti che l'accompagna».

SVIZZERA - Lo stesso il ministro della giustizia elvetico, Eveline Widmer-Schlumpf, spiega che «non si tratta di un voto contro la religione islamica ma contro i minareti come edifici. In Svizzera si rispetta la libertà di fede, è un valore fondamentale, ma certo il risultato di questo referendum non è un bel segnale - ha affermato la Widmer-Schlumpf - È importante che nella nostra democrazia si abbia la possibilità di votare, e questo voto non è contro la religione islamica».

FRANCIA - Il dibattito investe anche la Francia, anche se il ministro francese dell'immigrazione, Eric Besson, dichiara che «i minareti non sono un tema politico, e il miglior modo per raggiungere l'integrazione dell'islam con i valori repubblicani è evitare i falsi dibattiti». «Bisognerebbe evitare di dare la sensazione che c'è una stigmatizzazione nei confronti di una religione, in questo caso l'Islam - ha sottolineato Besson -In Francia dobbiamo favorire l'emergere di un islam francese che si integri ai valori della repubblica, e il miglio modo per raggiungerlo è evitare i falsi dibattiti».

La Svizzera dice no ai minareti. L'Egitto: un insulto, musulmani reagite. Lega: ora anche in Italia

I Paesi arabi non hanno preso bene il no della Svizzera alla costruzione di nuovi minareti sul suo territorio. Il gran Muftì d'Egitto ha già chiesto ai musulmani di reagire, e di considerare questo referendum come un insulto all'Islam e un attacco alla libertà di religione. Sui blog e nei forum on-line i toni sono ancora più accesi, fino alla rabbia: «In Europa è in atto una guerra contro l'Islam», ha scritto un lettore libico del sito della tv al Arabiya. «Oggi i minareti. Domani le moschee», è intervenuto tale Said Ardallah sul forum aperto da al Jaziira. «Con i loro soldi nelle banche elvetiche gli ebrei hanno in pugno il Paese», scrive Ardallah. D'altra parte nessuno si aspettava un risultato del genere: sia maggioranza che opposizione elvetiche avevano invitato a votare per la libera costruzione. Gli svizzeri, dunque, non hanno seguito il consiglio. Il referendum è stato apporvato con il 57% dei voti. In base ai risultati ufficiali, solo quattro dei 26 cantoni che formano la Confederazione hanno respinto la proposta avanzata dal partito della destra populista dell’Udc e della destra cristiana dell’Udf. Data la maggioranza sia degli elettori che dei cantoni, il voto porterà dunque alla modifica dell’articolo 72 della Costituzione, che regola i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose: il divieto della costruzione dei minareti vi verrà inserito come una misura «atta a mantenere la pace fra i membri delle diverse comunità religiose».

La Lega: croce nel tricolore - per Roberto Castelli l'Italia dovrebbe pensare a mettere una croce nella bandiera. "Occorre un segnale forte per battere l'ideologia massonica e filoislamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega", ha detto. Per Calderoli anche noi dovremmo avere la possibilità di esprimere un parere con un medesimo referendum. «Il minareto è qualcosa di diverso da una moschea. Ha un forte contenuto simbolico, che travalica la dimensione religiosa. La esteriorizza, fino a farle assumete significati altri dalla preghiera», ha detto il leghista. Contrario il ministro La Russa: la croce nel tricolore non si metterà, dice. «Non abbiamo bisogno di mettere il Crocefisso all'interno della bandiera, basta saperlo tenere dentro la nostra cultura e la nostra tradizione cristiana». «Proporre di cambiare la bandiera può essere fatto solo da chi non ama la bandiera. Credo che quella di Castelli -ha aggiunto il ministro della Difesa - sia solo una battuta, neanche una provocazione ma solo una battuta propagandistica. Non si può cambiare la bandiera, non può essere una diversa dall'altra, altrimenti diventa solo una 'bandierina'». Quanto alla decisione del referendum svizzero sui minareti per La Russa «quel paese non è mai stato particolarmente aperto. Ha fatto molto bene ad esprimere una opinione che conferma che non bisogna mai discriminare ma neanche arretrare verso un futuro non dico multietnico ma culturale», ha concluso La Russa.

La Chiesa: preoccupante - All' indomani del referendum anti-minareti in Svizzera, il presidente del Pontificio consiglio dei migranti, mons. Antonio Maria Vegliò, ha fatto sapere di essere «sulla stessa linea dei vescovi svizzeri», che ieri hanno espresso forte preoccupazione per quello che hanno definito «un duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione».

Ramadan: scioccante - «Un risultato scioccante». Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti di Islam europeo, così commenta i risultati del referendum. Secondo Ramadan «il risultato dimostra che i partiti più estremisti sono quelli che stanno guidando il dibattito sull'Islam in Europa. Succede in Svizzera, ma anche in Olanda e da voi in Italia. Si sta facendo leva sulla paura della gente per far passare il messaggio che l'Islam non è compatibile con la società europea. E questo è scioccante».

L'Olanda pensa al referendum - Il partito Liberale Olandese di Estrema destra Pvv ha annunciato di voler chiedere al governo di indire un referendum contro i minareti, dopo quello che li ha banditi ieri in Svizzera. «Chiederemo al governo di far sì che sia possibile un simile referendum in Olanda», ha dichiarato il leader del partito, Geert Wilders, intervistato dal quotidiano Volksrant. Dopo essersi congratulato con gli svizzeri per «il grande risultato del referendum sui minareti», Wilders ha aggiunto che se il governo non agirà sarà il suo partito a presentare un referendum sull'argomento. Noto per le posizioni molto critiche verso l'immigrazione islamica, il Pvv dispone di nove dei 150 seggi del parlamento olandese. Diversi sondaggi indicano il partito in crescita, segnalando che se si votasse oggi potrebbe diventare la seconda formazione politica olandese con 27 seggi, dopo i 35 del partito Cristiano Democratico al governo. Wilders, autore del controverso documentario anti islamico Fitna, fu dichiarato persona non grata dalle autorità della Gran Bretagna in febbraio ma ha potuto recarsi nel Paese in ottobre dopo una sentenza a lui favorevole.

domenica 29 novembre 2009

Svizzera

Minareti : chi sono i veri razzisti? di Giorgio Ghiringhelli

Recentemente il Consiglio federale ha messo in consultazione una modifica del Codice penale che prevede una multa per chiunque utilizzerà o diffonderà pubblicamente simboli razzisti, specialmente quelli del nazionalsocialismo (come ad esempio la croce uncinata, il saluto nazista o il simbolo delle SS). Ebbene, il Corano in certi passaggi non ha nulla da invidiare al “Mein Kampf” di Hitler, essendo infarcito di versetti che inneggiano alla superiorità dei musulmani rispetto ai non musulmani, fomentano l’odio contro ebrei, cristiani e atei e aizzano a ucciderli (es. “ammazzateli dovunque essi si incontrino! Fateli uscire da dove essi vi han cacciato (…) – 2 :19). E del resto basta guardare cosa avviene in molti Paesi islamici per averne una conferma. Oggi v’è chi cerca di far passare per razzisti coloro che cercano di denunciare l’islamizzazione dell’Europa e della Svizzera e si battono contro i simboli dell’Islam: ma la storia – ahinoi, quando sarà troppo tardi – dirà chi erano i veri razzisti ed i loro fiancheggiatori e renderà giustizia a chi l’aveva capito subito ed aveva avuto il coraggio di dirlo. E allora come la mettiamo con i simboli di una religione che, checché ne dicano i suoi seguaci ed i suoi difensori d’ufficio, è in odor di spiccato razzismo? A seguito della modifica del Codice penale potranno essere multati anche coloro che costruiranno minareti o esibiranno pubblicamente il velo islamico? E’ proprio vero che dalla storia non si impara mai niente: ci preoccupiamo di vietare i simboli di un’ideologia del passato e chiudiamo gli occhi su un’ideologia che, con la tattica delle fette di salame (leggete in proposito i rapporti Obin e Dénécée pubblicati sul sito www.ilguastafeste.ch), ci sta portando lentamente ma inesorabilmente nella stessa tragica direzione sfruttando anche in questo caso le debolezze della democrazia. Coloro che in nome della libertà di religione vorrebbero mettere tutte le religioni sullo stesso piano dimenticano che l’Islam non è una religione come le altre ma è un’ideologia che strumentalizza una religione con il preciso obiettivo di sottomettere con la persuasione e la violenza tutti i non musulmani del mondo. Per questi ed altri motivi l’Islam è dunque incompatibile con la democrazia e con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e va tenuto a freno nei Paesi occidentali anziché essere incoraggiato cercando di andare incontro alle sue esigenze e cercando di renderci islamcompatibili. La votazione sui minareti, comunque andrà a finire, non arresterà l’islamizzazione del nostro Paese e quella dei musulmani moderati giunti da noi in cerca di libertà (i quali grazie alla dabbenaggine di molti nostri politici rischiano di cadere dalla padella alla brace), ma farà capire agli integralisti islamici – specie agli adepti della Fratellanza musulmana ben presente anche in Ticino – che la Svizzera non sarà terra di facili conquiste perché una grossa fetta di discendenti di Guglielmo Tell ha capito il loro “gioco” ed è ancora pronta a battersi contro chi vorrebbe sottometterci. E mi auguro che dopo i minareti toccherà al velo islamico e al burqa… Sulla controversa proposta di vietare la costruzione di minareti in Svizzera c’è chi ha fatto notare che l’iniziativa non rispetterebbe la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (la quale garantisce la libertà di religione e la libertà di manifestare liberamente la propria religione) e che quasi certamente i giudici di Strasburgo annullerebbero una decisione popolare favorevole al divieto. Ovviamente tutto è possibile, ma mi risulta che nel 2005 la Corte europea per i diritti umani, esprimendosi sul caso di una studentessa musulmana che era stata sospesa dall’Università di Istanbul per l’uso del velo islamico, aveva confermato che la legge turca che impone il divieto di indossare il velo in università ed edifici pubblici non violava i diritti umani. Quindi è anche possibile che la stessa Corte potrebbe arrivare alla medesima conclusione per quanto riguarda un eventuale divieto di costruire minareti. C’è pure chi ha fatto notare che un simile divieto sconfesserebbe l’insieme dei valori iscritti nel Patto delle Nazioni Unite (detto anche Patto ONU II) relativo ai diritti civili e politici. Ebbene, tale Patto stabilisce fra l’altro che in caso di elezioni lo spoglio delle schede deve avvenire in presenza dei candidati o dei loro rappresentanti. Proprio facendo appello a questa disposizione nel 2007 avevo presentato al Tribunale federale un ricorso contro gli atti preparatori delle elezioni cantonali in Ticino lamentando l’impossibilità per i partiti che partecipavano alle elezioni di poter inviare un loro rappresentante ad assistere alla regolarità dei lavori di spoglio. Ed i giudici federali respinsero il ricorso facendo notare che la Svizzera non aveva ratificato il protocollo facoltativo sui ricorsi individuali che consentirebbe ai cittadini di inoltrare ricorso al Consiglio dei diritti dell’uomo contro violazioni di norme contenute nel Patto. Quindi ho imparato a mie spese (avendo dovuto pagare una tassa di giudizio di 1′000 franchi) che questo Patto ONU II non ha alcun carattere vincolante per la Svizzera ed i suoi abitanti, e sarei molto sorpreso di apprendere che per i minareti si faccia un’eccezione. Andiamo dunque a votare tranquillamente secondo le nostre idee, e senza farci intimorire e condizionare da chi avrebbe preferito che il Parlamento dichiarasse irricevibile l’iniziativa per mettere il bavaglio ai cittadini ed evitare un voto che fa paura…

Gli svizzeri dicono "no" ai nuovi minareti

Ginevra - Gli svizzeri avrebbero accettato l'iniziativa contro la costruzione di minareti con il 59% di voti a favore, stando alle prime prime tendenza rilevate dall'istituto Gfs.Berna per conto della Televisione svizzera. I sondaggi prevedevano una sconfitta dell'iniziativa promossa dalla destra nazional-conservatrice ed osteggiata dal governo. L'altra iniziativa in votazione sul divieto contro l'esportazione di materiale bellico dovrebbe invece essere bocciata come previsto. Stando alle prime proiezioni la quota dei "no" è attorno al 68%. Il no ai minareti, non è un no al diritto di preghiera per i musulmani, ha affermato il parlamentare Oskar Freysinger dell'Unione democratica di centro (Udc), tra i principali promotori del referendum per il divieto di costruzione di nuovi minareti. "Il divieto dei minareti non cambierà niente per i musulmani che potranno continuare a praticare la loro religione, a pregare e a riunirsi. Si tratta di un messaggio, la società civile vuole mettere un freno agli aspetti politico-giuridici dell'Islam", ha detto Freysinger alla televisione svizzera.

European fiction

La grande finzione europea di Ida Magli

Si continua a discutere in Italia della bocciatura di D’Alema alla carica di Ministro degli Esteri europeo (formalmente detto: “Alto rappresentante per la politica estera europea” per non far capire del tutto, come al solito, ai poveri cittadini di che cosa si tratti) con chiacchiere prive di qualsiasi valore sia da parte della maggioranza che da parte dell’opposizione. Ci si accapiglia intorno alle parole altrettanto vacue di Martin Schulz, capogruppo del partito socialista europeo, il quale si diverte a prendere in giro gli uni e gli altri affermando che è stato Berlusconi a non sostenere in Europa la candidatura di D’Alema e insinuando, quindi, che il Capo del governo italiano l’ha presentata al solo scopo di procurargli una magra figura. Inutile dire che le Sinistre si sono gettate su questa versione dei fatti con il massimo della convinzione dato che questo permette di salvare la dignità di uno dei loro massimi esponenti e contemporaneamente di addossare al nemico Berlusconi l’ennesima colpa. Purtroppo gli Italiani sono tenuti talmente all’oscuro della situazione politica dell’Europa, che trovano del tutto convincente questa ridicola polemica, tanto più che i politici e i giornalisti si sono allenati ormai da moltissimi anni, o meglio fin da quando è stata progettata l’unificazione dell’Europa, a fornire le informazioni sugli avvenimenti europei in modo da lasciare sempre quel tanto di oscurità sufficiente a non far capire ai cittadini che l’osannata meta finale è l’abolizione degli Stati nazionali. Il sistema con il quale si è riusciti fino ad oggi a lasciare nei cittadini l’illusione di possedere ancora una patria è proprio quello che abbiamo visto messo in atto in questi giorni per il caso D’Alema. Si accumulano i particolari riguardanti la situazione di una singola nazione, mettendoli in rilievo come se fosse quello il punto di vista valido per valutare gli avvenimenti, mentre viceversa l’unico punto di vista valido è quello che si sono prefissati i quattro o cinque governanti, dei quali è difficile elencare con sicurezza i nomi, che guidano a tavolino la costruzione del Superstato europeo. Il fatto che tutti gli Stati abbiano adottato, dopo un lungo e tortuoso percorso, il trattato di Lisbona, ossia una Costituzione comune che ha sancito definitivamente la morte delle singole Nazioni, è un traguardo che nessun politico vuole più rimettere in discussione. E’ facile capire che gli Stati hanno messo fine alla propria esistenza nel momento stesso in cui hanno rinunciato a gestire la politica estera; questa infatti con il trattato di Lisbona è passata nelle mani dei pochi potenti che prendono le decisioni per tutta l’area euroamericana. Per poter salutare vittoriosamente la meta raggiunta c’era ancora, però, un ultimo ostacolo: l’eventualità di un referendum di ratifica del Trattato, promesso ai cittadini inglesi prima dal Governo Blair poi da quello Brown, e mai svolto fino ad oggi dato che il risultato negativo era più che certo. E’ questo il motivo per il quale una delle due cariche più importanti, create proprio con l’adozione del Trattato di Lisbona, doveva per forza essere assegnata agli Inglesi, in modo da superare di fatto così qualsiasi dubbio sull’accettazione del Trattato e permettere a Brown di non mantenere la promessa. Questa situazione era ben nota a tutti in Europa, sia ai politici che ai giornalisti, per cui qualsiasi candidatura, italiana o meno, D’Alema o meno, non aveva già in partenza nessuna chance e le discussioni in proposito servivano soltanto a nascondere, come al solito, la realtà all’opinione pubblica di tutti i 27 paesi partecipi dell’Unione. Ci si potrebbe chiedere, però, come mai l’esperto politico D’Alema sia caduto nella trappola. E’ questa la parte più significativa, e al tempo stesso più temibile, della “rappresentazione” che si svolge sul palcoscenico d’Europa. C’è, anche fra i politici, chi non ha capito che l’unificazione europea è un disegno di lunga durata a tre facce: la prima è quella segreta, che ha progettato e che guida le altre due anche senza che gli attori ne siano consapevoli; la seconda è quella reale, che lavora alla dissoluzione dell’entità sia politica che culturale dell’Europa; e infine la terza, che serve a nascondere e a proteggere le altre due, e che si svolge con il sistema della fiction a puntate. Ogni puntata pone le basi di ciò che avverrà nelle puntate successive e gli attori si adeguano al ruolo che il pubblico si attende. E’ questo il punto: gli sceneggiatori sanno bene che non possono venir meno alla fiducia del pubblico nei ruoli prefissati. La “rappresentazione” è obbligata. Avviene più o meno la stessa cosa a quasi tutti i politici che si muovono sul palcoscenico europeo. Credono di essere “parlamentari”, rappresentanti del proprio Stato e del proprio partito di provenienza, e talmente abbacinati dalla finzione in atto che non si accorgono neppure del fatto che non può esistere, se non nella finzione, un solo grande Popolo e un solo grande Stato in cui si parlano 27 lingue diverse, o meglio nel quale nessuno capisce la lingua dell’altro e adotta la lingua voluta e tacitamente imposta dall’Impero: l’inglese. Ma cosa importa? Ad impedire che qualcuno potesse avere un soprassalto di realismo è stata volutamente veicolata un’altra astutissima finzione: un’Europa quasi da burla, in cui le decisioni vengono prese da burocrati un po’ scemi o un po’ matti, gente che si trastulla con le misure delle banane e delle zucchine, mentre si lascia credere che in realtà gli unici che contino continuino ad essere gli Stati nazionali e i garanti dell’economia, forti dell’immagine tedesca. La finzione ha funzionato: da anni sono al lavoro fior di psicologi e di sociologi, esperti di pubblicità e di illusioni di massa, dietro alla terza faccia della dittatura europea. Hanno usato contro i Popoli quelle stesse scienze umane che erano nate per comprendere ed aiutare i Popoli. Per questo, dunque, sono stati scelti due “signor nessuno” alle cariche più importanti: devono salvaguardare la seconda e la terza faccia del disegno europeo (la prima non ne ha bisogno: continua a non essere vista). Il Ministro degli Esteri inglese serve a salvaguardare la seconda faccia impedendo il referendum e la terza faccia perché appunto non essendo nessuno, rappresenterà un’Europa inesistente; per giunta, essendo donna, priva di qualsiasi prestigio agli occhi del mondo orientale e africano con i quali dovrà trattare. Non è difficile per noi che abbiamo avuto occasione di conoscerne i gusti da vicino, immaginarci la faccia di Gheddafi in presenza della poco leggiadra signora Ashton. Il Presidente d’Europa belga, a sua volta un signor nessuno che serve alla seconda e alla terza faccia europea perché eletto a quella carica in pratica come controfigura della Germania, e al tempo stesso sicura prova agli occhi di tutti, sia all’interno che all’esterno, che il grande Superstato europeo è una finzione.

Religione di pace

Germania, torna la paura. 90 islamici in agguato

La paura per gli attentati terroristici non dà tregua, neppure nella vicina Germania. Nel Paese ci sarebbero infatti circa novanta estremisti islamici addestrati e pronti per il combattimento, molti dei quali avrebbero anche esperienze di guerra. I gruppi terroristici predenti in Germania non si limiterebbero più a reclutare nelle moschee giovani disposti a morire per la Jihad, ma cercano nuove leve anche nelle prigioni, nei club sportivi e nelle università. Il terrorista potrebbe quindi essere un teutonico qualsiasi. Uno scenario inquietante, quindi, anche se la possibilità di attentati terroristici è ancora lontana. La tensione però è alta lo stesso. E mentre il governo tedesco è chiamato dalla Nato e dagli Usa a un maggiore impegno in Afghanistan, dove è presente con circa 4.250 soldati, Berlino pensa a un nuovo approccio contro la minaccia del terrorismo interno. Nelle scorse settimane, infatti, le autorità hanno rafforzato notevolmente le misure di sicurezza alla luce di alcuni messaggi video pubblicati su Internet che minacciavano attentati contro obiettivi tedeschi in Germania e all'estero.

Le minacce – Alcuni video minacciosi risalgono allo scorso ottobre e citavano Monaco di Baviera, proprio nei giorni in cui nel capoluogo bavarese si teneva l'annuale Oktoberfest. In quell’occasione le autorità federali avevano blindato aeroporti e stazioni ferroviarie nelle principali città del Paese.

Le strategie adottate dalla Stato tedesco - Nel prossimo mese è un forum del Centro federale per la difesa contro il terrorismo (Gtaz), un organismo formato da polizia e servizi segreti, per cercare di trovare un nuovo approccio al problema, in modo da poter affrontare meglio questo tipo di sfide. La revisione della strategia, non si concentrerà soltanto sui cittadini tedeschi che si convertono all'Islam, ma anche sugli estremisti di origini straniere che frequentano i network clandestini nel Paese. Il forum, che verrà organizzato dal ministero dell'Interno, si propone - tra gli altri obiettivi - di rafforzare i rapporti con le organizzazioni islamiche e gli Imam moderati per cercare di contrastare l'eventuale diffusione dell'estremismo nelle carceri del Paese.

sabato 28 novembre 2009

Logiche da pentapartito

Nasce il Barroso II: poltrone per tutti nella nuova Commissione Europea di Giovanni Marizza

Se al gioco del lotto esistesse la ruota di Bruxelles, sarebbe il caso di giocare il 27. Ieri, infatti, 27 novembre 2009, sono trapelati i nomi dei componenti della nuova Commissione Europea, il “governo” del Vecchio Continente guidato dal portoghese Josè Manuel Barroso al suo secondo mandato. La somiglianza con l’italiano governo Spadolini II del 1982 è impressionante: 27 commissari ha l’esecutivo europeo e di 27 ministri disponeva il governo italiano di 27 anni fa. Identiche anche le motivazioni: accontentare non solo tutti i partiti, ma anche tutte le provenienze geografiche. Né 27 anni fa in Italia servivano 27 ministri, né oggi in Europa servono 27 commissari: la metà sarebbe più che sufficiente. Il fatto è che l’Unione Europea è costituita da 27 Paesi membri e, pur di accontentarli tutti, si dà un commissario a testa. E già questo fatto è grottesco, perché se Malta e il Lussemburgo (pur con tutto il dovuto rispetto per Malta e il Lussemburgo) dispongono di un commissario esattamente come la Germania, la Francia e il Regno Unito, significa che c’è qualcosa che non va. Inoltre, pur di accontentare tutti i Paesi membri, in Europa vengono escogitate competenze bizzarre e fantasiose all’insegna delle duplicazioni e degli sprechi, come il Commissario ai media, quello agli aiuti umanitari o quello alle misure antifrode. C’è anche un Commissario all’unione doganale, uno per lo sviluppo rurale, un altro per la concorrenza. Ma ce n’è pure uno dedicato agli affari marittimi, uno alla politica regionale, un altro per la tutela dei consumatori (non bastava quello dell’antifrode?) e addirittura un Commissario per il multilinguismo. Proprio come nell’Italia pentapartitocratica del 1982, quando - pur di sistemare adeguatamente tutti i partecipanti al banchetto - si istituiva un ministero per il bilancio, uno per le finanze e un altro per il tesoro. Ce n’era uno per la pubblica istruzione e uno per la ricerca. Uno per il lavori pubblici, uno diverso per i trasporti e uno ancora per l’industria, il commercio e l’artigianato. Uno per il lavoro e la previdenza sociale e uno per la sanità. Un dicastero per la funzione pubblica e un altro per le partecipazioni statali. Uno per il turismo e spettacolo e un altro, differente, per i beni culturali e ambientali che sono notoriamente meta dello stesso turismo di cui sopra. Ma soprattutto ce n’era uno per le Regioni (comprese, ovviamente, quelle del Mezzogiorno) e uno diverso per il Mezzogiorno, costituito dalle medesime regioni anzidette. L’apoteosi dello spreco. E se fosse servita un’ulteriore poltrona, non si sarebbe esitato a spacchettare, chissà, magari il ministero di grazia e Giustizia (strano Paese, quello che antepone la grazia alla Giustizia!). Ma almeno nell’Italia della prima repubblica governava la maggioranza, mentre nell’Europa del terzo millennio governano tutti, sia il Partito Popolare che ha stravinto le ultime elezioni europee, sia il Partito Socialista che le ha straperse. La neonata Commissione europea, infatti, è composta da personaggi scelti (dai governi nazionali, non da Barroso che si limita a prenderne atto) probabilmente anche per la loro competenza professionale, ma prima ancora per la loro appartenenza politica. Proprio come il governo Spadolini del 1982, che in base all’infallibile manuale Cencelli annoverava fra le sue folte schiere 12 ministri democristiani, 8 socialisti, tre socialdemocratici, due repubblicani e un liberale, a loro volta scelti in modo da accontentare tutte le correnti e sottocorrenti. E non era finita lì: oltre ai partiti e alle correnti, anche le provenienze geografiche dovevano essere rigorosamente rispettate. Ecco allora che le regioni più popolose e rappresentative esprimevano più ministri (quattro al Lazio, tre ciascuno a Lombardia e Piemonte), quelle di medio calibro (Sicilia, Puglia e Toscana) ne avevano due ciascuno e le altre si dovevano accontentare di uno solo. Una cosa squallida e deprimente, sì, ma sempre meglio dell’Europa odierna, che assegna un commissario a ciascun Paese, indipendentemente dal fatto che gli abitanti di quel Paese siano decine di migliaia o decine di milioni. In Italia, inoltre, le provenienze geografiche dovevano essere rispettate con l’accortezza di non far rappresentare la stessa regione da personaggi del medesimo partito. E così il Piemonte, che di ministri ne aveva tre, era rappresentato da un democristiano, un socialdemocratico e un liberale, che per un tocco di raffinatezza politico-geografica provenivano uno dal nord della regione (il novarese Nicolazzi), uno dal centro (il torinese Altissimo) e uno dal sud (il cuneese Bodrato). Solo i farmacisti e gli equilibristi del circo Orfei riescono a fare meglio. Poche sono le differenze sostanziali fra il Barrosum Secundum e lo Spadolinum. Una consiste nel fatto che il secondo governo di Spadolini durò, secondo la triste usanza del tempo, solo tre mesi (settembre, ottobre e novembre del 1982), mentre l’esecutivo europeo resterà in carica, a meno di imprevedibili tegole, per i prossimi cinque anni. Un’altra differenza sta nel fatto che in quel governo italiano di 27 anni fa i ministri erano tutti uomini mentre oggi Barroso dispone anche di nove commissarie donne. Sì, perché la lobby trasversale femminile del parlamento europeo era giunta a minacciare la sfiducia alla Commissione se il numero delle commissarie non fosse stato superiore a quello della Commissione uscente. Infatti prima erano otto, ora sono diventate nove: il ricatto ha funzionato.

Controordine... compagni!

Cassa integrazione stranieri, la Lega ci ripensa

Milano
- Il deputato della Lega Nord Maurizio Fugatti ha ritira l’emendamento alla Finanziaria che puntava ad introdurre un tetto alla cassa integrazione per gli extracomunitari. Lo annuncia lo stesso esponente del Carroccio in una nota. "Resto convinto - premette - delle idee espresse ieri riguardo all'emendamento sulla cassa integrazione agli extracomunitari. Vista però la contrarietà del ministro del Welfare Sacconi, non è mia intenzione creare problemi alla maggioranza e quindi l'emendamento in questione sarà ritirato".

L'attacco di Avvenire. La proposta del Carroccio di fissare un tetto per la cassa integrazione agli immigrati non era passata inosservata. Tra i più duri a protestare è Avvenire. L’emendamento "sopravviverà solo qualche ora. Inammissibile a prima vista, il parlamento saprà respingerlo subito. Ma sarà durato comunque troppo", tuona il quotidiano dei vescovi. "Il solo fatto che si proponga di limitare un diritto soggettivo come la cassa integrazione a lavoratori che pure hanno contribuito al relativo fondo - per la semplice ragione che sono nati altrove - appare aberrante", secondo il giornale Cei, che dedica all’iniziativa del Carroccio un corsivo intitolato L’eccezione aberrante.

Il rischio. "Di eccezione in eccezione, sul piano pratico, si rischia di smontare tutele e diritti. Fino a renderli nulli per tutti. Soprattutto, però, una tale proposta è espressione di quella mentalità che nel compagno di lavoro, come nel cittadino che ci passa accanto, non vede una persona ma un qualcosà diverso da sé. E non riconoscere nell’altro se stessi è l’aprirsi di un abisso nel quale tutto diventa possibile".

Solo questo? Perchè non di più?

Immigrati, Fini: estendere cittadinanza

Roma - La sfida dell’integrazione deve essere vinta in Italia così come in Europa attraverso un programma di estensione della cittadinanza sociale e di quella politica. È quanto affermato dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, nel suo intervento al convegno "Il futuro della democrazia", organizzato dalla fondazione Farefuturo a Cadenabbia, in provincia di Como.

"Inlcusione degli immigrati". "Il carattere dinamico della democrazia, il suo tendere naturalmente all’allargamento dei diritti trova nell’inclusione degli immigrati nella vita civile dei paesi europei un nuovo e cruciale terreno di affermazione. È una delle nuove grandi sfide che la politica del XXI secolo ha il dovere di vincere", ha affermato Fini. Una affermazione che arriva all’indomani della decisione della Lega di non appoggiare la proposta di legge finalizzata alla semplificazione delle procedure per ottenere la cittadinanza.

"Estensione della cittadinanza sociale e politica". Secondo il presidente della Camera, la grande sfida dell’integrazione "deve essere vinta attraverso un programma di estensione della cittadinanza sociale e di quella politica" e alla sua base deve esserci "un ambizioso programma di ricostruzione civile" e "deve affermarsi un nuovo modello di nazione". Fini ha poi ribadito che l’appartenenza alla nazione "non discende solamente da un retroterra etnico, ma è anche il prodotto di una scelta individuale, di un atto volontario di amore verso il paese che si è scelto come la propria patria" e in questo senso "le democrazie europee devono suscitare sentimenti di appartenenza anche in coloro che vengono da paesi lontan". Occorre, secondo il presidente della Camera, "promuovere un’educazione alla cittadinanza attraverso la diffusione della lingua e della conoscenza della storia e dei principi costituzionali presso i nuovi cittadini".

"Ruolo parlamento è controllo del governo". Le riforme istituzionali "non vanno viste con un approccio solo tecnico-politico, ma come un fattore di rilancio della coesione morale e sociale". È il parere del Presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha parlato del tema delle riforme politiche nel suo intervento a un dibattito organizzato dalla Fondazione Farefuturo di cui è presidente alla Fondazione Adenauer, nella villa di Cadenabbia in cui il cancelliere tedesco trascorreva le sue vacanze. "Il problema della decisione politica - ha ricordato Fini - ha animato il grande dibattito sulle riforme costituzionali. Accanto alla democrazia governante, connessa al rafforzamento del ruolo dell’esecutivo, deve essere affermata con altrettanta forza la democrazia rappresentativa. E quindi - ha proseguito il Presidente della Camera - il ruolo del Parlamento dovrà essere adeguatamente valorizzato, come peraltro accade nei sistemi presidenziali, nel senso dell’indirizzo e del controllo dell’azione del Governo". Fini ha sottolineato l’importanza di un "rilancio della partecipazione politica", che però non passi solo attraverso "l’ammodernamento delle istituzioni", ma anche per "il rinnovamento dei partiti: questi - secondo Fini - si sono indubbiamente alleggeriti con la fine delle contrapposizioni ideologiche, ma rimangono strumenti fondamentali della democrazia".