lunedì 31 agosto 2009

Ipotesi

Scontro sulla nota anonima: "sembra un avvertimento mafioso". Mogavero: «Boffo potrebbe dimettersi». Il vescovo di Mazara: «Se lo fa non è per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale»

MILANO - Dino Boffo potrebbe valutare la possibilità di dimettersi da direttore del quotidiano Avvenire, «non certo per ammissione di colpa, ma per il bene della Chiesa e del giornale». È monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del consiglio Cei per gli Affari giuridici, il primo prelato a parlare esplicitamente di dimissioni, dopo l'attacco del Giornale di Vittorio Feltri: «Se ritiene che tutta la vicenda, pur essendo priva di fondamento, possa nuocere alla causa del giornale o agli uomini di Chiesa, Boffo potrebbe anche decidere di dimettersi. In effetti in Italia chi si dimette è sempre ritenuto colpevole, ma non sempre è così. Se Boffo accettasse anche di passare per un disgraziato pur di non nuocere alla causa del giornale, farebbe la cosa giusta. Poi nelle sedi opportune si accerteranno debitamente i fatti».

SECONDO EDITORIALE
- Un invito che il direttore non avrebbe intenzione di accogliere. Martedì mattina su Avvenire Dino Boffo pubblicherà un secondo editoriale (dopo quello di domenica) in cui spiegherà cosa c’è dietro la lettera anonima spedita almeno tre mesi fa e inviata a circa 300 persone, tra vescovi, una vasta rappresentanza della Curia e alcuni direttori di giornali. «Boffo è molto provato e umanamente a pezzi, come anche tutta la sua famiglia - dice una fonte a lui vicina -, ma non ha intenzione di arrendersi». Tuttavia circola insistente la voce di possibili dimissioni nell’arco di qualche mese, tanto più che una frangia dell’episcopato italiano - quella legata all’ala martiniana e progressista - non è in totale accordo con le posizioni di Boffo.

«AVVERTIMENTO MAFIOSO» - A proposito della lettera anonima inviata a tutti i vescovi, monsignor Mogavero conferma: «L’ho ricevuta anche io, poco prima di Pasqua. È un momento di grande imbarbarimento, questa storia si contorna sempre più di tinte sgradevoli. Ho subito pensato che fosse un’operazione pilotata da qualcuno, diretta a noi vescovi, un’operazione squallida, quasi un avvertimento mafioso. A me è arrivata una fotocopia, ma c’era tanto di carta intestata, e il pezzo riconduceva al casellario giudiziario. Le ipotesi dunque sono due: o qualcuno ha messo mano a documenti riservati - e questo è estremamente grave - o qualcuno ha diffuso la notizia falsa per far scoppiare una bomba ad orologeria. È un’operazione squallida, che non ha nessuna credibilità. Lo scopo? Forse delegittimare i vescovi, o Avvenire, o Boffo? Oppure spaccare ulteriormente il mondo cattolico? Ma né l’uno né l’altro scopo è stato raggiunto e le posizioni espresse in passato da Avvenire sulle principali vicende politiche italiane rimangono valide».

LA NOTA ANONIMA - Dunque resta un mistero l'origine del mini dossier che accusa Boffo e che è stato reso pubblico da Feltri. L'informativa, una nota anonima, è stata praticamente inviata a tut­ti i vescovi d’Italia per posta. Secondo una ricostruzione dell'agenzia Apcom potrebbe essere partita da ambienti dell’università Cattolica di Milano e recapitata in prima battuta alla diocesi ambrosiana e all’Istituto Giuseppe Toniolo presieduto dal cardinal Dionigi Tettamanzi. Dalla diocesi milanese e dal porporato lombardo nessuna presa di posizione ufficiale pubblica. In ambienti ecclesiali si dice che, mentre la sentenza è vera, «l’informativa aggiuntiva potrebbe essere una bomba ad orologeria per regolare questioni personali o politiche». Secondo monsignor Mogavero in ogni caso la vicenda «pesa» nelle relazioni tra Chiesa e governo perché «indubbiamente in situazioni come questa c'è uno spirito di corpo che si ricompatta anche se precedentemente vi poteva essere una situazione sfilacciata». «Se il premier Silvio Berlusconi - continua il vescovo di Mazara - cerca un riavvicinamento con la Chiesa deve semplicemente cambiare stile di vita, deve semplicemente fare il politico e non il manager o l'uomo di spettacolo». Poi, prosegue Mogavero, «il giudizio sulla sua politica lo daranno il Parlamento e la storia ma se cerca la vicinanza con il mondo ecclesiastico deve assumere un rigoroso stile di vita. Non ci interessa la sua vita privata, ci interessa che non ne faccia motivo di spettacolo».

«I SERVIZI NON C'ENTRANO» - Entrando nel merito della vicenda Boffo, il presidente del Copasir Francesco Rutelli ha escluso un coinvolgimento dei Servizi, assicurando la «massima attenzione contro eventuali deviazioni». «A proposito degli articoli di stampa che ipotizzano la formazione di documentazione illecita nell'ambito delle polemiche in corso, il presidente del Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica Francesco Rutelli - si legge in un comunicato - ha reso noto che il comitato non ha ricevuto finora alcuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione. Il Copasir dedicherà il massimo di attenzione ad ogni notizia a questo proposito e vigilerà perché non si registrino deviazioni, in qualunque direzione, dai compiti istituzionali in un momento molto delicato per la vita democratica».

IL FASCICOLO A TERNI - Informativa a parte, negli archivi del tribunale di Terni è conservato il fascicolo processuale che riguarda il direttore di Avvenire e che lo costrinse a pagare un'ammenda di 516 euro. Sulla vicenda lunedì mattina il procuratore Fausto Cardella, che all'epoca dei fatti non guidava ancora l'ufficio, non ha voluto fare commenti. Si è limitato a confermare che nessuna iniziativa è stata presa dalla Procura in seguito alla pubblicazione della notizie riguardanti Boffo. Da parte sua il gip di Terni Pierluigi Panariello ha spiegato che nel fascicolo riguardante il procedimento per molestie a carico di Dino Boffo «non c'è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali». Il giudice si sta occupando della vicenda essendo stato chiamato a decidere in merito alle richieste di accesso agli atti presentate da diversi giornalisti. Non si trovano invece più a Terni il pubblico ministero che coordinò l'inchiesta e il gip che firmò il decreto penale di condanna nei confronti di Boffo per molestie.

CESA E ROTONDI - A sostegno del giornalista scende ancora in campo il segretario dell'Udc Lorenzo Cesa: «L'attacco a un giornale libero come Avvenire che per tutti noi cattolici è un punto di riferimento è vergognoso ed è un segno del degrado della politica dei nostri tempi» spiega il leader centrista a margine del sit-in di protesta davanti all'Ambasciata libica di via Nomentana a Roma contro la visita del premier Berlusconi a Tripoli. Cesa si augura che venga fatta luce «sul dossier che è girato tra le redazioni e lo si faccia in Parlamento nella commissione competente che è il Copasir». Per il ministro per l'Attuazione del programma di governo, Gianfranco Rotondi, «questo è uno dei casi in cui serve solo la preghiera per tutti i protagonisti di questo doloroso capitolo della vita nazionale». «Il livello di imbarbarimento nel rapporto tra politica e informazione è tale che necessita di un momento di riflessione e di responsabilità» sostiene Piero Fassino. All'esponente del Pd replica il presidente dei deputati del Pdl Fabrizio Cicchitto: «Quello che afferma Fassino sull'imbarbarimento dello scontro politico-giornalistico è condivisibile se riguarda ciò che è successo in Italia da alcuni mesi a questa parte e se si rivolge a trecentosessanta gradi a tutti i mezzi di comunicazione di massa, giornali e trasmissioni televisive, che si sono esibiti su questo terreno».

L'aiuto Ue

Sbarchi, l'Ue incalza. Maroni: "Linea immutata"

Milano
- La Commissione europea "è a conoscenza" delle ultime notizie riguardanti il respingimento verso la Libia, ieri, di un gommone con 75 persone a bordo, provenienti probabilmente da Eritrea e Somalia, e "invierà una richiesta di informazioni ai due paesi interessati, Italia e Malta, per poter valutare la situazione". Lo ha riferito oggi a Bruxelles un portavoce dell’Esecutivo comunitario, Dennis Abbott, rispondendo a una domanda di Apcom. "La Commissione sottolinea che qualunque essere umano ha diritto di sottoporre una domanda che gli riconosca lo statuto di rifugiato o la protezione internazionale", ha aggiunto Abbott, ricordando poi quanto aveva già affermato in proposito il commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot, in una lettera del 15 luglio scorso al presidente della commissione europarlamentare Libertà civili, Lopez Aguilar: "Il principio di non-refoulement (non respingimento, ndr), così come è interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, significa essenzialmente che gli Stati devono astenersi dal respingere una persona (direttamente o indirettamente) laddove potrebbe correre un rischio reale di essere sottoposta a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti. Inoltre - continuava il testo di Barrot - gli Stati non possono respingere dei rifugiati alle frontiere dei territori in cui la loro vita o la loro libertà potrebbe essere minacciata a causa della loro razza, religione, nazionalità, affiliazione a un gruppo sociale particolare, o della loro opinione politica. Quest’obbligo deve essere rispettato durante l’attuazione dei controlli alle frontiere, conformemente al Codice delle frontiere di Schengen, anche per le attività di sorveglianza in alto mare".

La proposta di Barrot. Il commissario sottolineava ancora che "la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo indica che gli atti eseguiti in alto mare da una nave di Stato costituiscono un caso di competenza extraterritoriale e possono impegnare la responsabilità dello Stato interessato". Il portavoce ha anche ricordato che proprio mercoledì prossimo, lo stesso Barrot presenterà una proposta della Commissione riguardante la possibilità che gli Stati membri accolgano volontariamente dei rifugiati temporaneamente residenti in un Paese terzo, diverso da quello di origine da cui sono fuggiti. Un caso simile, insomma, a quello dei somali e degli eritrei provenienti dalla Libia e respinti nel Mediterraneo, che potrebbero - se la proposta venisse applicata - non aver bisogno di affidarsi ai trafficanti e di affrontare la rischiosa traversata per mare verso l’Italia.

Maroni: ci sono informazioni sbagliate. Sui respingimenti "ci sono informazioni sbagliate". Così, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha risposto in merito al barcone respinto ieri. "Primo: in Libia è presente una sede dell’alto commissariato per i rifugiati; secondo: il respingimento di ieri è stato fatto in acque internazionali", ha spiegato Maroni. Per questo, ha detto, bisognerebbe "accertarsi delle notizie e usare la prudenza che queste cose richiedono, altrimenti succede come la scorsa settimana quando i 70 clandestini a bordo di una nave respinta, per la stampa erano tutti curdi e iracheni, ma dopo i controlli si è verificato fossero tutti egiziani". Inoltre, ha sottolineato Maroni, "la pratica dei respingimenti fa parte di accordi tra Italia e Libia firmati dal governo precedente, che noi abbiamo solo attuato". Il ministro ha poi ricordato i dati sui flutti di clandestini sulle coste italiane: "Nel periodo tra il primo maggio e il 30 agosto 2008 arrivarono 14mila clandestini, nel medesimo periodo quest’anno ne sono arrivati 1300".

Ancora tensione sul pattugliatore. Momenti di tensione sul pattugliatore d’altura Denaro della Guardia di Finanza, sul quale si trovano i 75 migranti, tra i quali 15 donne e tre minori, respinti ieri in Libia dal governo italiano dopo essere stati intercettati al largo delle coste siciliane. Gli immigrati, in gran parte somali, si sarebbero infatti rifiutati di essere trasbordati sulle unità libiche. A comunicarlo è stato uno di loro, telefonando con un satellitare al corrispondente in Italia della Bbc. A rendere difficoltosa l’operazione anche le condizioni del mare, tanto da sollecitare l’intervento di un rimorchiatore. Alla fine è stato deciso per motivi di sicurezza di dirottare il pattugliatore direttamente verso il porto libico di Al Zuwarah, luogo di partenza di numerosi barconi carichi di immigrati, dove l’unità militare italiana sta per approdare.

[Dis]integrazione in italia

All’asilo si parlerà arabo"Aiuto all’integrazione". Il Comune lancia corsi per le maestre: anche cinese e romeno di Emanuela Minucci

Insegnanti poliglotti, in grado di padroneggiare una lingua che italiano non è, per alunni sempre più multietnici. Attenzione, però, non al liceo o alle medie, ma negli asili comunali di Torino, dove da gennaio l’amministrazione, prima in Italia, darà il via a corsi obbligatori di lingua straniera per le maestre delle materne. E sbaglia chi pensa subito all’ormai indispensabile e diffusissimo inglese: agli insegnanti degli asili sarà richiesto di apprendere, a scelta, il tedesco, il francese, il romeno, il cinese e in particolare l’arabo, perché «anche per i bambini italiani è utile, fin dalla più tenera età, potersi avvicinare a culture diverse dalla propria». A volere fortemente questa novità, conscio della metamorfosi che stanno vivendo gli asili torinesi (il caso della struttura Bay di San Salvario, che ha il 60 per cento di bambini stranieri, guida la classifica delle scuole ad alto tasso di bambini non italiani), è l’assessore all’Istruzione Beppe Borgogno. «Dal momento che questi corsi riguarderanno il personale della scuola materna che si occupa dei piccoli fino ai cinque anni - ha spiegato ieri - va da sé che tutto ciò non è finalizzato all’organizzazione di elaborati corsi di grammatica: si chiede soltanto alle maestre di potersi rivolgere in più lingue ai bambini per stimolare in loro uno strumento di apprendimento e per farli entrare in contatto con realtà e culture diverse sempre più massicciamente presenti nel nostro Paese». Il Comune di Torino ha deciso. Ma prima di dare il via libera a questi corsi, dovrà sottoporre la questione ai sindacati e convincere realtà come le fondazioni bancarie a collaborare economicamente al progetto. «Attualmente, su 900 maestre in forza alle nostre materne soltanto una trentina è in grado di offrire insegnamenti multilingue ai bambini - spiega ancora Borgogno - grazie a questo progetto, che speriamo venga cofinanziato anche da sponsor come le banche, prepareremo duecento insegnanti alla volta, e nel giro di cinque anni tutto il corpo docente potrà rivolgersi ai bambini in più lingue». Alla materna, si sa, i bambini non seguono lezioni vere e proprie. Si gioca, si sta insieme, si disegna, si crea, si fa merenda guidati dagli insegnanti. Quindi è facile immaginare che, una volta completato questo progetto, dopo una giornata all’asilo Mohammed tornerà a casa e saprà che «giocare» in tedesco si dice «zu spielen», mentre Giovanni potrà tentare di gorgheggiare in arabo la parola mela. «Saranno i primi passi rudimentali fra le lingue straniere - chiarisce Garbarini della Divisione Istruzione - giusto per far capire ai bambini che il loro vicino di armadietto con gli occhi a mandorla non parla italiano e scrive con gli ideogrammi. E poi ai bambini solitamente riesce il miracolo di imparare in fretta e di sentirsi subito stimolati a volerne sapere di più». I primi a usufruirne saranno certamente gli iscritti all’asilo Bay di San Salvario, quello per cui adesso anche i genitori italiani si mettono in coda. Un piccolo e miracoloso esempio di integrazione perfetta che soltanto qualche tempo fa, storia degli Anni Novanta, era considerato come la «materna dei neri», con il risultato che quasi nessun genitore italiano voleva mandarci i propri figli. Oggi la situazione è completamente diversa, tanto che quelle stesse classi ad alto tasso di occhi a mandorla e pelle nera sono diventate uno status symbol. Il piccolo asilo che negli Anni Novanta chiese l’aiuto del Comune per finanziare progetti speciali in grado di attutire i conflitti che precedono l’integrazione, da qualche giorno non sa come fronteggiare le richieste in arrivo dai genitori italiani che oltretutto vivono in altri quartieri. «Abbiamo 62 posti e una lista d’attesa di altri 75 con domande che arrivano da tutte le zone della città», spiega la direttrice didattica Marica Marcellino. «Dati del genere - aveva commentato lo stesso assessore Borgogno qualche giorno fa - dimostrano che in questa scuola sono riusciti a trasformare l’alto tasso di stranieri in opportunità». E presto anche gli insegnanti si rivolgeranno a questi bambini nelle loro lingue d’origine.

Parassitismi Ue

L'imbarcazione è a cinque miglia dalle coste di tripoli. Immigrati respinti, Ue chiede spiegazioni. Domenica sul gommone c'erano 75 persone, tra cui donne e bambini, e stato rimandato verso la Libia

MILANO
- Mentre l'Unione Europea chiede informazioni «ai paesi interessati Italia e Malta» sul respingimento del gommone con a bordo 75 persone, l'imbarcazione è in balia delle onde. A 5 miglia dalla Libia non riesce a raggiungere le coste.

L'UNIONE EUROPEA - È stata inviata, quindi, una richiesta ben precisa «per poter valutare la situazione». Lo ha riferito oggi a Bruxelles un portavoce dell’Esecutivo comunitario, Dennis Abbott che ha aggiunto: «La Commissione sottolinea che qualunque essere umano ha diritto di sottoporre una domanda che gli riconosca lo statuto di rifugiato o la protezione internazionale». Inoltre ha ricordato una lettera del commissario alla Giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot nella quale ha scritto: «Il principio di non-refoulement (non respingimento, ndr), così come è interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, significa essenzialmente che gli Stati devono astenersi dal respingere una persona (direttamente o indirettamente) laddove potrebbe correre un rischio reale di essere sottoposta a tortura o a pene o trattamenti inumani o degradanti».

IL GOMMONE - Intanto pare non sia ancora arrivato a destinazione, il gommone carico di rifugiati somali. Si trova a circa 5 miglia dalle coste della Libia che non riesce a raggiungere a cause delle cattive condizioni del mare. L'imbarcazione era stata intercettata dalla Guardia di Finanza a circa 24 miglia a sud di capo passero non avrebbe ancora raggiunto l'approdo libico a causa delle cattive condizioni del mare.

Poi, la Ue si offende se un Frattini a caso dichiara che la stessa non sta facendo niente per auitare, fermare o bloccare questa assurda ed inutile immigrazione selvaggia. Evidentemente il molle Frattini ha ragione da vendere. Tuttavia, la Ue vuol pensarci bene prima di gestire il caos, infatti è tutto rimandato ad ottobre...

Moralmente puro

Video sharing. Arabia Saudita, nasce NaqaTube alternativa islamica a YouTube. Dopo IslamicTube, ArabTube, VideoArab e gli altri siti di video sharing musulmani una nuova alternativa ''moralmente pura'' al popolare canale americano di condivisione file.

ROMA
- Un pericolo chiamato YouTube, un flusso non governato e non governabile di file da arginare. Non oscurandolo, ma combattendolo sullo stesso terreno: stringhe di bit epurate da allusioni sessuali, musiche e messaggi "profani". Dopo IslamicTube, ArabTube, VideoArab e gli altri siti di video sharing musulmani in Arabia Saudita nasce "Naqatube", in ordine di tempo l'ultima alternativa ''moralmente pura'' al popolare sito americano di condivisione di file, il più grande contenitore al mondo, ora proprietà di Google. Secondo Arab News, NaqaTube (Naqa in arabo significa puro) non sarebbe altro che una semplice raccolta di video privi di elementi considerati impuri dalla morale islamica. Molti dei prescelti circolavano già su YouTube, anzi diversi sono stati scaricati dal "concorrente" e nuovamente postati. Una selezione rigidissima che accanto a innocui cartoni animati e documentari sulla natura, affianca video dal contenuto prevalentemente religioso: nei suoi dieci canali moltissimi sono i materiali relativi a studiosi, imam e predicatori. Uno dei moderatori del sito, intervistato dal quotidiano con uno pseudonimo, ha spiegato che nessun contenuto offende il sentimento religioso: rigorosamente bandite immagini di donne e video musicali non musulmani. Censurato anche il materiale "ostile" al governo saudita e al suo establishment politico e culturale. "Il sogno è quello di far diminuire il numero di visitatori di YouTube. Il nostro sito ha ricevuto dalle cinquemila alle seimila visite dal suo lancio avvenuto due mesi fa", ha sottolineato il moderatore accodandosi ai desideri di quanti, nel mondo islamico, hanno creato gli altri siti di video sharing "religiosamente corretti". Ha poi aggiunto: "Stiamo promuovendo un Islam moderato, niente di estremo". Un modo, anche se non dichiarato esplicitamente, per marcare la differenza con i cloni che, in passato, generarono polemiche. Il più illustre è Aqsatube, dei palestinesi di Hamas. Il centro studi israeliano, dopo avere analizzato il sito, lo aveva tacciato di essere un mero strumento di propaganda terroristica, denunciando la messa online d'immagini che esaltavano il martirio, anche di bambini e della Jihad.

domenica 30 agosto 2009

Prodi, primarie e Giappone

Il Professore commenta la vittoria democratica in Giappone e ne approfitta per dire la sua sul dibattito in corso nel partito. Pd, parla Prodi: "Primarie verepoi tutti uniti dietro al leader"

ROMA - "Le primarie sono un grande momento di democrazia: quello che voglio sono primarie aperte e forti, non importa se ci saranno tensioni, la democrazia è lotta vera".
Così l'ex premier Romano Prodi ha risposto ad una domanda sulle primarie Pd ai microfoni di Sky. "Quello che chiedo - ha proseguito Prodi dopo aver commentato le elezioni giapponesi in cui si sta profilando la vittoria dei democratici - è che il vincitore delle primarie abbia dietro tutti per dare agli italiani il messaggio che avrà la forza di governare, che potrà vincere le elezioni nell'ugual misura con cui le hanno vinte i giapponesi". Sul Giappone il Professore rivela di aver sentito Naoto Kan al telefono, che gli ha ricordato la frase che l'ex premier disse allora ("Non basta vincere, ma bisogna poi governare e bisogna governare con una solida maggioranza"). "E' certo - conclude prodi - che loro avranno una maggioranza molto più solida di quella che ebbi io...".

Il commento

Le convulse giornate della perdonanza di Eugenio Scalfari

Venerdì scorso il Tg1 diretto dall'ineffabile Minzolini, incurante del fatto che le notizie del giorno fossero l'attacco del "Giornale" contro il direttore dell'"Avvenire", lo scontro tra la Cei e la Santa Sede da un lato e il presidente del Consiglio dall'altro e infine la querela di Berlusconi a Repubblica per le 10 domande a lui dirette e rimaste da giugno senza risposta; incurante di queste addirittura ovvie priorità, ha aperto la trasmissione delle ore 20 con l'intervento del ministro Giulio Tremonti al meeting di Comunione e Liberazione. Farò altrettanto anch'io. Quell'intervento infatti è rivelatore d'un metodo che caratterizza tutta l'azione di questo governo, mirata a sostituire un'onesta analisi dei fatti con una raffigurazione completamente artefatta e calata come una cappa sulla pubblica opinione curando col maggiore scrupolo che essa non percepisca alcun'altra voce alternativa. Cito il caso Tremonti perché esso ha particolare rilievo: la verità del ministro dell'Economia si scontra infatti con dati ed elementi di fatto che emergono dagli stessi documenti sfornati dal suo ministero, sicché l'improntitudine tocca il culmine: si offre al pubblico una tesi che fa a pugni con i documenti ufficiali puntando sul fatto che il pubblico scorda le cifre o addirittura non le legge rimanendo invece colpito dalle tesi fantasiose che la quasi totalità dei "media" si guardano bene dal commentare. Dunque Tremonti venerdì a Rimini al meeting di Cl. Si dice che fosse rimasto indispettito per il successo riscosso in quello stesso luogo due giorni prima di lui dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, con il quale ha da tempo pessimi rapporti. Non volendo entrare in diretta polemica con lui si è scagliato contro gli economisti e i banchieri. Nei confronti dei primi l'accusa è di cretinismo: non si avvidero in tempo utile che stava arrivando una crisi di dimensioni planetarie. Quando se ne avvidero - a crisi ormai esplosa - non chiesero scusa alla pubblica opinione e sdottorarono sulle terapie da applicare mentre avrebbero dovuto tacere almeno per due anni prima di riprendere la parola. Nei confronti dei banchieri la polemica tremontiana è stata ancor più pesante; non li ha tacciati di cretinismo ma di malafede. Nel momento in cui avrebbero dovuto allentare i cordoni della borsa e aiutare imprese e consumatori a superare la stretta, hanno invece bloccato le erogazioni. "Il governo" ha detto il ministro "ha deciso di non aiutare i banchieri ma di stare vicino alle imprese e ai consumatori". Così Tremonti, il quale si è spesso auto-lodato di aver avvistato per primo ed unico al mondo l'arrivo della "tempesta perfetta" che avrebbe devastato il mondo intero. Ho più volte scritto che la primazia vantata da Tremonti non è esistita, ma ammettiamo che le sue capacità previsionali si siano manifestate. Tanto più grave, anzi gravissimo è il fatto che la politica economica da lui impostata fin dal giugno 2008 sia stata l'opposto di quanto la tempesta perfetta in arrivo avrebbe richiesto. Sarebbe stato infatti necessario accumulare tutte le risorse disponibili per fronteggiare l'emergenza, per sostenere la domanda interna, per finanziare le imprese e i redditi da lavoro. Tremonti fece l'esatto contrario. Abolì l'Ici sulle prime case dei proprietari abbienti (sui proprietari meno abbienti l'abolizione di quell'imposta l'aveva già effettuata il governo Prodi). Si accollò l'onere della liquidazione di Alitalia. Versò per ragioni politico-clientelari fondi importanti ad alcuni Comuni e Province che rischiavano di fallire. Dilapidò risorse consistenti per "aiutini" a pioggia. In cifre: le prime tre operazioni costarono oltre 10 miliardi di euro; la pioggia degli aiutini ebbe come effetto un aumento del 5 per cento della spesa corrente ordinaria per un totale di 35 miliardi. Ho chiesto più volte che il ministro elencasse la destinazione di questo sperpero ma questo governo non risponde alle domande scomode; resta comunque il fatto. Ne deduco che il ministro preveggente fece una politica opposta a quello che la preveggenza avrebbe dovuto suggerirgli. Se gli economisti sono cretini che dire di chi, avendo diagnosticato correttamente, applicò una terapia sciagurata? Quanto ai banchieri: il governo Berlusconi-Tremonti si è più volte vantato di avere ottenuto, nei primissimi incontri parigini avvenuti dopo lo scoppio della crisi, interventi di garanzia a sostegno di eventuali "default" bancari. In Italia tali interventi non furono necessari (altrove in Europa ci furono in misura massiccia) perché le nostre banche erano più solide che altrove, situazione riconosciuta ed elogiata dallo stesso ministro quando ancora i suoi rapporti con Draghi erano passabili. Se ci fu un blocco nei crediti interbancari, questo fu dovuto ai dissesti bancari internazionali. Se c'è tuttora scarsa erogazione creditizia ciò si deve al fatto che i banchieri guardano attentamente al merito del credito e debbono farlo. Tremonti sostiene che i soldi delle banche riguardano le banche mentre quelli del Tesoro riguardano i contribuenti. Ma su un punto sbaglia di grosso: il credito elargito dalle banche è di proprietà dei depositanti che sono quantitativamente addirittura maggiori dei contribuenti. Concludo dicendo che il nostro ministro dell'Economia ha detto al meeting di Cl un cumulo di sciocchezze assumendo per l'occasione un "look" da profeta biblico che francamente non gli si addice. Ha riscosso molti applausi, ma il pubblico del meeting di Cl applaude convintamente tutti: Tremonti e Draghi, Tony Blair e Bersani, Passera e Tronchetti Provera, il diavolo e l'acqua santa e naturalmente Andreotti. Chi varca quei cancelli si "include" e questo è più che sufficiente per batter le mani. Ecco una questione sulla quale bisognerà ritornare. Torniamo ai fatti rilevanti di questi giorni: l'aggressione del "Giornale" all'"Avvenire", il rapporto tra il premier e le gerarchie ecclesiastiche, la querela di Berlusconi contro le domande di Repubblica. Sul nostro giornale sono già intervenuti in molti, da Ezio Mauro a D'Avanzo, a Sofri, a Mancuso, al documento firmato da Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quale si sta riversando un plebiscito di consensi che mentre scrivo hanno già superato le cinquantamila firme. Poiché concordo con quanto già stato scritto in proposito mi restano poche osservazioni da aggiungere. Che Vittorio Feltri sia un giornalista dedito a quello che i francesi chiamano "chantage" o killeraggio che dir si voglia lo sappiamo da un pezzo. Quella è la sua specialità, l'ha praticata in tutti i giornali che ha diretto. Proprio per questa sua caratteristica fui molto sorpreso quando appresi tre anni fa che la pseudofondazione che gestisce un premio intitolato al nome di Mario Pannunzio lo avesse insignito di quella medaglia che in nulla poteva ricordare la personalità del fondatore del "Il Mondo". I telegiornali e buona parte dei giornali hanno parlato in questi giorni del "giornale di Feltri" omettendo una notizia non secondaria e non sempre presente alla mente dei lettori: il "giornale di Feltri" è il "Giornale" che fu fondato da Indro Montanelli, per molti anni di proprietà di Silvio Berlusconi e poi da lui trasferito prudentemente al suo fratello. Lo stesso Feltri ha scritto che dopo aver ricevuto la nomina da Paolo Berlusconi si è recato a Palazzo Chigi dove ha avuto un colloquio di un'ora con il presidente del Consiglio. Una visita di cortesia? Di solito un direttore di un giornale appena nominato non va in visita di cortesia dal presidente del Consiglio. Semmai, se proprio sente il bisogno di un atto di riguardo verso le istituzioni, va a presentarsi al Capo dello Stato. E poi un'ora di cortesie è francamente un po' lunga. Lo stesso Feltri non ha fatto misteri che il colloquio ha toccato molti argomenti e del resto la sua nomina, che ha avuto esecuzione immediata, si inquadra nella strategia che i "berluscones", con l'avvocato Ghedini in testa, hanno battezzato la controffensiva d'autunno. Cominciata con Minzolini al Tg1 è continuata con l'arrivo di Feltri al "Giornale" e si dovrebbe concludere tra pochi giorni con la normalizzazione di Rete Tre e l'espianto di Fazio, Littizzetto, Gabanelli e Dandini. La parola espianto è appropriata a questo tipo di strategia: si vuole infatti fare terra bruciata per ogni voce di dissenso. Non solo: si vogliono mettere alla guida del sistema mediatico persone di provata aggressività senza se e senza ma quando la proprietà del mezzo risale direttamente al "compound" berlusconiano, oppure di amichevole neutralità se la proprietà sia di terzi anch'essi amichevolmente neutrali. Berlusconi avrà certamente illustrato a Feltri la strategia della controffensiva e i bersagli da colpire. Aveva letto l'attacco contro il direttore dell'"Avvenire" prima della sua pubblicazione? Sapeva che sarebbe uscito venerdì? Lo escludo. Feltri è molto geloso della sua autonomia operativa e non è uomo da far leggere i suoi articoli al suo editore. Ma che il direttore di "Avvenire" fosse nel mirino è sicuro. Berlusconi si è dissociato e Feltri ieri ha chiosato che aveva fatto benissimo a dissociarsi da lui. "Glielo avrei suggerito se mi avesse chiesto un parere". Si dice che la gerarchia vaticana avrebbe sollecitato il suo licenziamento, ma Berlusconi, se anche lo volesse, non lo farà. L'ha fatto con Mentana, ma Mentana non è un giornalista killer. Farlo con Feltri sarebbe assai pericoloso. Una parola sulle dichiarazioni di dissenso da Feltri fatte ieri da tutti i colonnelli del centrodestra, da Lupi a Gasparri, a Quagliariello, a Rotondi. Berlusconi si è dissociato? I colonnelli si allineano. E' sempre stato così nella casa del Popolo della Libertà. Tremonti, pudicamente, ha parlato d'altro. E la Perdonanza? Come si sa la Perdonanza fu istituita da Celestino V, il solo papa che si sia dimesso nella millenaria storia della Chiesa, come una sorta di pre-Giubileo che fu poi istituzionalizzato dal suo successore Bonifacio VIII. I potenti dell'epoca avevano molti modi e molti mezzi per farsi perdonare i peccati, ma i poveri ne avevano pochi e le pene erano molto pesanti. La Perdonanza fu una sorta di indulgenza di massa che aveva come condizione la pubblica confessione dei peccati gravi, tra i quali l'omicidio, la bestemmia, l'adulterio, la violazione dei sacramenti. Confessione pubblica e perdono. Una volta l'anno. Di qui partirono poi le indulgenze ed il loro traffico che tre secoli dopo aveva generato una sistematica simonia da cui nacque la scissione di Martin Lutero. E' difficile immaginare in che modo si sarebbe svolta l'altro ieri la festa della Perdonanza con la presenza del Segretario di Stato vaticano inviato dal Papa in sua vece e con accanto il presidente del Consiglio a cena e nella processione dei "perdonati". Diciamo la verità: il killeraggio di Feltri contro Boffo ha risparmiato al cardinal Bertone una situazione che definire imbarazzante è dir poco anche perché era stata da lui stesso negoziata e voluta. Dopo l'attacco di Feltri quella situazione era diventata impossibile, ma non facciamoci illusioni: la Chiesa vuole includere tutto ciò che può portar beneficio alle anime dei fedeli e al corpo della Chiesa. Se Berlusconi si pentisse davvero, confessasse i suoi peccati pubblicamente, si ravvedesse, la Chiesa sarebbe contenta. Ma se lo facesse sarebbe come aver risposto alle 10 domande di Repubblica. Quindi non lo farà. Nessun beneficio per l'anima sua, ma resta il tema dei benefici per il corpo della Chiesa. Lì c'è molto grasso da dare e il premier è prontissimo a darlo. In realtà il prezzo sarà pagato dalla democrazia italiana, dalla laicità dello Stato e dai cittadini se il paese non trarrà da tutto quanto è accaduto di vergognoso ed infimo un soprassalto di dignità.

Immigrazione

Dal 6 maggio, giorno dell'accordo, sono un migliaio i migranti riportati a tripoli. Sicilia, respinto gommone di migranti. A bordo 75 persone tra i quali donne e bambini, in prevalenza somali: tornati in Libia

PALERMO
- Erano in 75. Tutti stipati su un gommone. Uomini, donne e bambini in fuga dall'Africa e alla ricerca di un futuro. La speranza era tutto lì in quel viaggio da costa a costa. Fino in Sicilia. E c'erano quasi arrivati, quando il brusco risveglio è stato dettato dalle motovedette italiane, incrociate sul loro cammino. Tutti, tranne un uomo ferito, sono stati riportati in Libia.

IMMIGRAZIONE - I primi a intercettare l'imbarcazione sono stati gli uomini della marina maltese. Poi è arrivata la Marina Italiana, al di fuori delle acque territoriali. Il gommone si stava dirigendo «inequivocabilmente» verso le coste della Sicilia sud orientale. Da qui la decisione di rimandare tutti indietro con la Guardia di Finanza. Tutti tranne un immigrato con alcune costole rotte che è stato trasferito all'ospedale di Pozzolla, in provincia di Ragusa. Secondo le prime informazioni gli extracomunitari sarebbero in maggioranza somali o comunque provenienti dal Corno d'Africa, dunque nelle condizioni di fare richiesta d'asilo. Quello di oggi è l'ennesimo respingimento, dopo l'accordo bilaterale tra Italia e Libia. Dal 6 maggio ad oggi sono oltre un migliaio gli immigrati che sono stati riportati a Tripoli.

Si celebra il Trattato di Amicizia tra Italia e Libia, ci saranno anche le frecce tricolori. Berlusconi a Tripoli incontra Gheddafi: «Serve più rigore con gli immigrati». Il premier: «Se vogliamo procedere a una politica vera di integrazione dobbiamo anche essere rigorosi»

MILANO
- Il premier Silvio Berlusconi è a Tripoli per partecipare ai festeggiamenti in occasione del primo anniversario della firma del Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Il presidente del Consiglio è stato ricevuto prima dal primo ministro libico Baghdadi Mahmudi e dal ministro degli Esteri Mussa Kussa. «Se vogliamo davvero procedere a una politica vera di integrazione dobbiamo anche essere rigorosi per non aprire l'Italia a chiunque» ha affermato Berlusconi.

L'INCONTRO - Dopo aver partecipato ai festeggiamenti, il premier si è recato a Shabit Jfarai (circa 20 chilometri dalla capitale del paese) per assistere alla posa simbolica della prima pietra dell'autostrada che percorrerà la Libia dalla Tunisia all'Egitto e che rappresenta la principale compensazione per il passato coloniale italiano. Ad accoglierlo è stato il leader libico il Colonnello Muhammar Gheddafi. Subito dopo il Cavaliere sarà ospite a cena del leader libico. Il rientro in Italia è previsto in serata.

POLEMICHE - Ma fin dal suo annuncio la visita del premier per le celebrazioni del Trattato di Amicizia tra Italia e Libia ha suscitato immediate polemiche. Una visita molto criticata dalle opposizioni, che puntavano l'indice sull'opportunità di presentarsi a fianco di Gheddafi, il primo settembre, in occasione dei festeggiamenti dell'anniversario della rivoluzione libica: festeggiamenti ai quali non parteciperanno il presidente francese Nicolas Sarkozy, il presidente russo Dmitri Medvedev, il primo ministro Vladimir Putin. Critiche a cui Palazzo Chigi risponde ricordando che il presidente del Consiglio sarà presente in Libia solo il 30 agosto ed esclusivamente per la festa di amicizia italo-libica, mentre il primo settembre, anniversario della rivoluzione libica, sarà già a Danzica, in Polonia, per partecipare alle «Celebrazioni del settantesimo anniversario dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale».

FRECCE TRICOLORI - Ma le polemiche non sono relative solo alla visita di Berlusconi, dato che hanno anche coinvolto le nostre Forze armate, in particolare la pattuglia acrobatica delle Frecce tricolori che parteciperà ai festeggiamenti in Libia. In particolare le opposizioni contestano non solo l'opportunità della presenza delle nostre Frecce tricolori ma alcuni punti dello stesso Trattato di Amicizia tra Italia e Libia. «Le esercitazioni congiunte tra le forze armate terrestri e aeree di Italia e Libia sono l'ultimo tranello contenuto in quel trattato di amicizia che abbiamo criticato fin dal primo momento e che Berlusconi si ostina senza alcun motivo a voler festeggiare domani a Tripoli. A questo punto La Russa ci faccia sapere se l'Italia fa ancora parte della Nato o se ha scelto come suo alleato militare prediletto un paese che non rispetta i diritti umani». È quanto afferma, in una nota, il portavoce dell'Udc Antonio De Poli. «Di questo passo - aggiunge De Poli - possiamo aspettarci che le Frecce Tricolori, al termine dell'evitabile esibizione della prossima settimana, non tornino in Italia ma restino direttamente in Libia a disposizione del colonnello Gheddafi...».

Riflessioni sulla Cei

CEI, l'"Avvenire”, la trave e la pagliuzza di Nicolò Vergata

“Perché guardi la pagliuzza nell’occhio di tuo fratello quando nel tuo c’è una trave?” lo dice il vangelo secondo Luca (Luca 6,41- 42; 6,45 ). Parole originariamente dette da Cristo contro i farisei, le guide spirituali che sviavano il popolo. Nel vangelo di San Luca esso è rivolto contro le false guide della comunità, che pretendono di essere "sopra" il maestro. Temo che una ripassatina dei testi sacri non guasterebbe né alla CEI né al direttore dell’Avvenire, quotidiano portavoce dei Vescovi. Ma San Luca non fu il solo a sollevare il problema. Il divino Poeta nel suo Inferno (Inf. XXVIII, 139-142) punisce gli ignavi con la legge del contrappasso, cioè, colui che ha commesso un peccato lo sconterà per l’eternità nel modo inverso al suo peccato. Secondo, ancora, la religione cattolica, “chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Giovanni, 8,1-11). Lo disse Gesù in persona agli aguzzini che stavano per lapidare un’adultera. Ma proprio io, agnostico e senza il dono della fede, devo ricordare questo al direttore Boffa dell’Avvenire? E la CEI perché ha consentito che un cattolico direttore di un quotidiano cattolico, violasse così impunemente le norme religiose, pur non potendo non sapere i suoi trascorsi peccaminosi? L’adulterio e l’omosessualità non sono stati dichiarati e ribaditi anche di recente dalla Chiesa come peccati gravi? O questi sono stati declassati come peccati di serie C, mentre se Berlusconi, cadendo in trappola, ammira la scollatura di una donna di dubbi costumi, armata di registratore e inviata sul posto con mandato ad hoc, è un pubblico peccatore che merita il linciaggio morale? E perché la CEI si indispettisce tanto per essere stato scoperto da quale pulpito veniva la predica? E come mai questo singolare ma significativo sollevarsi a difesa del Boffi da parte di tutto lo schieramento di sinistra comunista atea e anticlericale? Comprendo l’imbarazzo della CEI derivante più dalla prova esibita dal Giornale sulla pretestuosità di natura politica dei violenti attacchi dell’Avvenire contro il capo del governo italiano, piuttosto che ad un sincero ed intimo stupore di apprendere il peccaminoso curriculum del direttore Boffo (assunto senza conoscere il suo trascorso?). Anzi, è evidente che, non avendo dato segni di amaro stupore, la CEI ha confermato le voci secondo cui quanto sopra lo si sapeva già nei meandri del Palazzo. Insoma, è evidente la coda di paglia della CEI. Ma c’è ancora qualche considerazione da fare: da sempre ma, in maniera più evidente negli ultimi anni, il peso del voto dei cattolici ha fatto sì che il Vaticano intervenisse sempre più pesantemente nella politica italiana, di volta in volta con rimbrotti, rimproveri, richiami o con suggerimenti politicamente vincolanti. Non nascondo la mia personale preoccupazione per queste reiterate azioni di interferenza che nessuna forza politica ha il coraggio di stigmatizzare con una ferma attestazione della laicità e della sovranità dell’Italia. Preoccupazione perché nel mondo islamico così si è pervenuti alla commistione tra Stato e fondamentalisti ,con l’ascesa al potere temporale di questi ultimi. E, peraltro, la nostra storia sul potere temporale dei Papi ce lo insegna e la storia ci insegna anche quanto siano pericolosi i corsi e ricorsi storici. Di fronte a questa vera e propria interferenza, i politici hanno finora risposto senza critiche od obiezioni con la parola “Obbedisco”. Questa acquiescenza, dovuta a mera opportunità politica, ha però indotto la chiesa a ritenersi immune e invogliata a tendere sempre più la corda. E’, perciò, la prima volta che un quotidiano di orientamento politico “non ci sta’” e non ci sta proprio perché la corda è stata troppo tirata e chi l’ha fatta mollare non è un politico ma un collega di chi l’ha tirata. Ciò ha suscitando stupore e indignazione in chi era abituato ad utilizzare la norma morale per fine politico. Ma era anche ora che qualcuno lo rilevasse. Orbene, se la CEI fa della norma morale e religiosa un utilizzo diverso e inappropriato, tanto vale rimanere nella norma morale così come intesa e ricordare alla chiesa che, secondo gli stessi principi religiosi appellati, per essere chiamati a diffondere prediche morali, al predicatore designato e abilitato, è richiesta una indiscussa moralità . Non per niente c’è il proverbio, riferito alle ipotesi inverse, “da quale pulpito viene la predica!”. Un’ultima considerazione, la revoca, evidentemente avanzata o, quanto meno, preventivamente concordata con Palazzo Chigi su iniziativa della CEI, dell’incontro tra Berlusconi e il Segretario di Stato vaticano, non mi sembra motivata da un indeterminato pericolo di strumentalizzazione, quanto dalla consapevolezza dei rappresentanti della chiesa di trovarsi ora nella situazione più debole per l’evidente imbarazzo di avere la coda di paglia.

La cina è vicina

Cina, morsa su telefonini e pc di Marcello Foa

I cinesi non pubblicizzano mai le proprie mosse e non solo perché controllano i media. Agiscono nell’ombra, con discrezione, applicando i principi del più grande stratega di tutti i tempi, Sun Tzu, che era cinese, come loro, e insegnava che le guerre si vincono senza combattere, perché i veri saggi agiscono per tempo accumulando un vantaggio strategico incolmabile, dissimulando le proprie. Discreti, felpati, possibilmente invisibili di fronte al rivale, che non deve insospettirsi. Provate a chiedere a un grande cinese se il suo Paese nutre mire imperiali e se ambisce a spodestare gli Usa nel ruolo di prima superpotenza mondiale. Risponderà di no, perché la storia delle antiche dinastie del colosso asiatico dimostra come, alla lunga, qualunque impero sia foriero di sventure. E non mentirà. Oggi la Cina non vuole sfidare l’egemonia americana. Preferisce assumere posizioni dominanti in alcuni settori chiave e prepararsi a portare colpi terribili all’Occidente. Ad esempio vietando l’esportazione di minerali rari dai nomi curiosi come il tulio, il lutrezio, il disprosio, il terbio, che per anni sono stati considerati marginali, al pari dell’euoropio, del neodimio, dell’itrio, del lantanio. Ma senza di loro non potremmo far girare l’hard disk dei computer, né i Blackberry, né gli Ipod, né potremmo guardare le tv al plasma. E avremmo qualche difficoltà a far partire le automobili ibride, visto che una Toyota Prius contiene ben 11 chili di neodimio.Il fatto è che la Cina è diventata praticamente l’unico produttore mondiale e intende vietare l’esportazione di alcuni di questi metalli preziosi e introdurre quote limitate per gli altri. La svolta, annunciata dal ministero dell’Industria e dell’Innovazione tecnologica, attende solo il via libera del Consiglio di Stato per diventare operativa. Uno schiaffo. In violazione delle leggi internazionali del libero scambio? Senza dubbio. Ma a quale scopo? Ottenere guadagni esorbitanti facendo salire alle stelle le quotazioni? Forse. Ricattare il mondo? Non lo si può escludere, ma non sembrano essere queste le motivazioni principali, che invece sarebbero strettamente legate alla trasformazione dell’economia cinese. È come se Pechino dicesse al mondo: fino ad oggi siamo cresciuti soprattutto grazie alle esportazioni, ma ora il motore sta diventando interno, con un mercato da un miliardo e 400 milioni di consumatori. E siccome la disponibilità di quei metalli è limitata dobbiamo riservarla alla nostra industria. E il mondo si arrangi cercando rifornimenti altrove. Già, ma dove? Oggi il 95% di questi metalli viene estratto in Cina, per lo più nella Mongolia interna. Fino a qualche anno fa esistevano giacimenti anche negli Stati Uniti, in Australia e in Sud Africa, ma sono finiti fuori mercato a causa della concorrenza dei cinesi, che estraevano a prezzi molto più bassi. Come prescrive Sun Tzu, Pechino ha vinto molto prima che i rivali si accorgessero delle sue mosse e sfruttando le regole del libero mercato imposte proprio dagli occidentali, che ora si trovano in grave imbarazzo, anche perché non sembrano ancora consapevoli della trappola in cui sono finiti.Solo il Giappone, da tempo, sta accumulando scorte ingenti per fronteggiare, almeno temporaneamente, i probabili tagli cinesi. L’America tace, l’Europa dorme e quando si sveglieranno sarà tardi per rimediare. Sì, riattivare le miniere dismesse è possibile, ma sostenendo investimenti ingenti e in tempi che non saranno brevi: fino al 2015 la maggior parte non sarà operativa. E comunque la produzione non sarà tale da coprire il fabbisogno, che con l’avvento delle tecnologie verdi rischia di aumentare in modo esponenziale. E quello dei metalli preziosi non è l’unico settore in cui i cinesi stanno assumendo vantaggi considerevoli. Negli ultimi otto anni mentre gli Usa si dissanguavano per finanziare la guerra in Irak, decisa impulsivamente, e lasciavano aperta quella in Afghanistan, i cinesi accentuavano la penetrazione in Africa, nei Paesi ricchi di petrolio e di materie prime, ancora una volta dissimulando le proprie intenzioni. L’interscambio tra il colosso asiatico e i partner africani è cresciuto del mille per cento in dieci anni, naturalmente in nome dell’amicizia fra i popoli e dell’aiuto allo sviluppo. Pechino ha stipulato accordi con grossi produttori di petrolio come la Nigeria, l’Angola e il Sudan; nell’America latina strizza l’occhio al Venezuela di Chavez; nel Golfo corteggia discretamente l’Arabia saudita e protegge l’Iran dalle pressioni americane. La Cina ha il passo lungo. E l’Occidente non riesce a contrastarla. Non ci sta nemmeno provando.

La risposta a Feltri

Non un’“informativa”, ma un’emerita patacca di Dino Boffo

Il mitico Feltri sventola il giorno dopo un foglio e dice che lui ha in mano i documenti. E, perdinci, cosa fa un giornalista quando gli arriva in mano un documento? Nell'Italia della sprovvedutezza e dell'ignavia, almeno lui agisce e pubblica, punto e chiuso. Già, ma perché prima che sia troppo tardi, non c'è qualcuno che si prende la briga di informarlo che quella che sventaglia come la provvida sciabola della giustizia è solo una traccia contorta e oscura che qualcuno ha confezionato e fatto girare in attesa che un allocco si presti al gioco? È sorprendente che proprio il Mourinho dei direttori, il più mediatico dei mediatici, il più elegantone degli eleganti, il principe dei furboni, non si sia peritato di sottoporre previamente a qualche conoscitore di cose giuridico-giudiziarie quel cosiddetto documento - e se si trattasse di una banale lettera anonima, degna di ritornare tra quella spazzatura da cui proviene? - per smascherarne eventuali aporie, incongruenze, o addirittura strafalcioni. Nella congerie di insinuazioni di cui si raccontava sul Giornale di venerdì, non avevo neppure fatto troppo caso a dove si diceva che sarei stato da tempo «già attenzionato dalla Polizia di Stato per le mie frequentazioni» (ora, a scriverla, mi manca il fiato). Le cose assurde erano talmente tante, che onestamente questa non mi aveva colpito più di altre. Fino a quando non mi ci ha fatto tornare Roberto Maroni allorché, con una telefonata per me assolutamente inattesa, ha voluto manifestarmi la sua solidarietà e il senso di schifo che gli nasceva dalle cose lette. Ma il ministro dell'Interno teneva anche ad assicurarmi di aver ordinato un'immediata verifica nell'apparato di pubblica sicurezza che da lui dipende, e che nulla, assolutamente nulla di nulla era emerso. È solo un esempio, appunto. Ma si potrebbe spulciare riga per riga di quel fantomatico documento (vera «sòla») e controbattere, e far emergere di quel testo anzitutto l'implausibilità tecnica, poi magari quella sostanziale. Lo faremo, se necessario. Fin d'ora però, a me non interessa polemizzare istericamente con Feltri, per allertare invece l'opinione pubblica su qualche altra porcata che puntualmente verrà fuori, e che magari Feltri stesso ha «prudentemente» tenuto per un eventuale secondo tempo. Poi, si sa, una perla cattiva attira l'altra, come le ciliegie. Rimane però il mistero iniziale: come avrà mai fatto il primo degli astuti a non porsi una domandina elementare prima di dare il via libera alla danza (infernale): questo testo che ho in mano è realmente un'«informativa» che proviene da un fascicolo giudiziario oppure è una patacca che, con un minimo appiglio, monta una situazione fantasiosa, fantastica, criminale? Perché, collega Feltri, questa domandina facile facile non te la sei posta? Ma se te la fossi fatta, sei proprio sicuro di avere vicino a te le persone e le competenze giuste per compiere i passi a seconda della gamba? Non sei corso troppo precipitosamente a inaugurare la tua nuova stagione al timone di quello che non è più un foglio corsaro ma il quotidiano della famiglia del presidente del Consiglio, che ti paga credo lautamente? Ad un certo punto, nella giornata di venerdì, nel sito del Giornale è comparso il testo di un lettore non certo mio amico (alfo.m., che ha trovato spazio anche sul sito dell'Uaar). Spulciando i vostri articoli, costui annotava «l'incredibile quantità di strafalcioni ed inesattezze giuridiche», e didatticamente li elencava (riproduciamo questa lettera, riquadrata, qui sotto). Peccato che quel contributo sia prontamente sparito dall'online, avrebbe potuto far aprire gli occhi a quelli ancora ingenui che in buona fede credono a quello che scriviamo, e non sanno invece con quanta leggerezza talora impegniamo le nostre truppe in campagne tanto veementi quanto malaccorte. Un divertissement, per noi lo scrivere, come per qualche volpone o volpina lo era - non più tardi di giovedì sera - aggirarsi per gli stand dell'ignaro Meeting menando vanto per l'imminente cannoneggiamento del tuo giornale. Non importa se il divertissment ammazza moralmente una persona, l'importante è il sollazzo. Una scuola di giornalismo anche questa. Già, ma attento, tu naturalmente sai più cose di me, e tuttavia potresti non esserti accorto che si sta restringendo l'area dei lettori che a noi credono sempre e comunque. L'area di quelli che scorgono, dentro la nostra sciagurata categoria, gli intemerati cavalieri senza macchia e senza paura. Quando anche costoro si desteranno, per quelli di una certa scuola sarà la fine. Peccato che nel frattempo - temo - avranno definitivamente ammazzato la professione. Per ora sappi che hai pestato una cacca ciclopica. Auguri.

Post scriptum: 1) Ho visto che i tuoi amici (Sgarbi, Capezzone, Renato Farina...) sono preoccupati per un'aggressione ai tuoi danni che vedono profilarsi all'orizzonte: essi hanno la mia stima, li condivido e li ringrazio, dobbiamo infatti riuscire a vivere in modo che non ci siano aggressori proprio perché non ci sono aggrediti, nello spirito di quella Perdonanza cui ci richiama Giuliano Ferrara. Non c'è bisogno infatti del conflitto violento neppure nella contesa più aspra, e da parte mia ti prometto che quanto di fondamentale non farà spontaneamente capolino davanti all'opinione pubblica, emergerà civilmente e pacatamente in un tribunale della Repubblica, cui i miei avvocati già lunedì si presenteranno per la querela.
2) Tu e, molto più modestamente io, siamo ormai direttori di lungo corso. Non so tu, ma io ho passato gran parte dei miei quindici anni da direttore a incontrare persone che volevano fare il giornalista, a verificare i loro percorsi, a ragionare sulle loro ipotesi interpretative. Non tutti i contatti sono finiti bene e, non so a te, ma a me è capitato che qualcuno di essi sia tecnicamente finito male, nel senso che alla fine io abbia ritenuto (indovinando, sbagliando? non lo so) che quel dato giovane collega, magari abile, non fosse tuttavia adeguato ad Avvenire. Ecco, permettimi un suggerimento: cerca in questi giorni di non fare del male al tuo giornale e ai tuoi lettori concedendo la ribalta a chi forse appare molto informato (si spiegherà anche lui in tribunale), ma potrebbe mirare soltanto a saldare qualche vecchio conto. Grazie.

Gli atti, QUI.

Integrazione

La lista dei musulmani Vogliono candidarsi ma nessuno ha idea di chi sia il sindaco

Altro che partito islamico. A giudicare dall’«utenza» dei centri cittadini, i musulmani che vivono a Milano rappresentano una nazione dentro la città, più che una lista, quella a cui pensa il direttore del centro di viale Jenner Abdel Hamid Shaari, che ha confermato: «Sto facendo un pensierino anche a una mia candidatura, sarà una sorpresa per molti». Ma fra i suoi fratelli quasi nessuno ha la minima idea di cosa sia il Comune o di chi sia il sindaco di Milano, per esempio. Questa sorta di «sondaggio» è stato fatto all’uscita del maggiore centro islamico di Milano, in via Padova, all’uscita della affollatissima preghiera di ieri. Il campione ovviamente non è scientifico, ma significativo: oltre 60 musulmani, regolari o no. Il primo risultato è che la gran parte degli intervistati, che pure dichiara di conoscere l’italiano, in realtà non capisce una parola della nostra lingua, o comunque non è in grado di comprendere la domanda: «È giusto fare un partito di musulmani? Lei lo voterebbe?». Questo forse anche per la comprensibile scarsa dimestichezza con nozioni che non in tutti i Paesi sono naturali, come elezioni e democrazia. Qualcuno non capisce ma ci prova: «Il partito dei musulmani? Qui dentro questa porta». Trentadue domande, comunque, cadono nel vuoto. Sette persone rimandano ad altri: «Chiedi all’imam», «chiedi a chi sa meglio l’italiano», o «a chi sa di politica» dicono in tanti. A una ventina l’idea (vaga) di un partito non dispiace affatto: «È giusto», «va bene». Sei vogliono i Fratelli musulmani, la formazione egiziana ispirata all’Islam. Qualcuno non si fida: «In Egitto ho famiglia, non parlo di politica». Un tunisino ha le idee chiarissime. Il suo obiettivo è un partito «di opposizione sociale». Dunque «un partito di immigrati, non religioso, come in Francia alleato con i comunisti». «Un partito per i diritti dei musulmani, è giusto», gli fa eco un altro, disposto però a votare anche per gli italiani «se difendessero i musulmani». Inutile dire che al primo posto dei diritti tutti mettono la moschea. Nessuno o quasi, comunque, ha la benché minima idea di chi sia il sindaco o di cosa faccia: sono 2 su 40 interrogati. Uno lo sa, l’altro conosce la signora «Liza Moratti».

sabato 29 agosto 2009

Il commento

L'aggressione come strategia di Giuseppe D'Avanzo

Chi abusa del suo potere, prima o poi, non tenterà più di affermare il principio della propria legittimità e mostrerà, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta di quel potere sia la violenza, la violenza pura. Sta accadendo e accade ora a Silvio Berlusconi che, da sempre, dietro il sorriso da intrattenitore occulta il volto di un potere spietato, brutale, efficiente. Era nell'aria. Doveva accadere perché da mesi era in incubazione. Avevamo la cosa sotto gli occhi, se ne potevano scorgere le ombre. Sapevamo, dopo il rimescolamento nell'informazione controllata direttamente o indirettamente dall'Egoarca, che in autunno sarebbe cominciata un'altra stagione: un ciclo di prepotenza che avrebbe demolito i non-conformi, degradato i perplessi, umiliato gli antagonisti, dovunque essi abbiano casa. Dentro la maggioranza o nell'opposizione. Dentro la politica o fuori della politica. Nel mondo dell'impresa, della società, della cultura, dell'informazione. Nessuno poteva immaginare che l'aggressiva "strategia d'autunno" avrebbe provocato l'inedita e gravissima crisi tra il governo italiano e la Santa Sede aperta dalla rinuncia del segretario di Stato Tarcisio Bertone di sedere accanto al presidente del Consiglio in una cena offerta dall'arcivescovo dell'Aquila nel giorno della "perdonanza". Perdono mediatico chiedeva Berlusconi al Vaticano e l'aveva ottenuto. Nella sua superbia, l'uomo deve aver pensato che Oltretevere lo avrebbe assolto e "immunizzato" anche per il rito di degradazione che, nello stesso giorno, il Giornale dell'Egoarca ha voluto infliggere al direttore dell'Avvenire, "colpevole" di aver dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per l'esempio offerto da chi frequenta minorenni e prostitute, di aver usato parole esplicite per censurare lo stile di vita del capo del governo. Anche contro la Chiesa, Berlusconi ha voluto mostrare la prepotenza del suo potere e la Chiesa ha chiuso la porta che gli era stata aperta. Nelle ore di questa sconosciuta e improvvisa crisi tra Stato e Chiesa, quel che bussa alla porta di Berlusconi è soltanto la realtà che, per fortuna, alla fine impone le proprie inalterabili condizioni. Per cancellarla, nientificarla, l'Egoarca ha pensato di poter fare affidamento soltanto sul potere ideologico, egemonico e mediatico della sua propaganda, sull'accondiscendenza dei conformi e la pavidità dei prudenti sempre a caccia di un alibi. La "pubblicità" avrebbe dovuto rimuovere ogni storia, ogni evento (dalla "crisi di Casoria" alle stragi di migranti nel canale di Sicilia) sostituendoli con la narrazione unidimensionale e autocelebrativa delle imprese di chi ha il potere e, in virtù di questo possesso, anche la "verità". Forse, si ricorderà la conferenza stampa di Berlusconi di agosto. Il racconto vanaglorioso di un successo ininterrotto, attivo in ogni angolo della Terra. Se le truppe di Mosca si sono fermate alle porte di Tbilisi scongiurando un conflitto Russia-Georgia, il merito è di Berlusconi che ha evitato l'inizio di una nuova Guerra Fredda. Se Barack Obama ha firmato a Mosca il trattato per la limitazione delle armi nucleari, il merito è di Berlusconi che ha favorito "l'avvicinamento" della Casa Bianca al Cremlino. Se l'Alleanza atlantica è ancora vegeta, lo si deve al lavoro di persuasione di Berlusconi che ha convinto il leader turco Erdogan a dare il via libera alla candidatura di Rasmussen. Se "l'Europa non resterà mai più al freddo", il merito è di Berlusconi che ha convinto Erdogan e Putin a stringersi la mano dinanzi al progetto del gasdotto South Stream. Nel mondo meraviglioso di Silvio Berlusconi non c'è ombra né crisi. Non c'è recessione né sfiducia. Non c'è né sofferente né sofferenza. Non ci sono più immigrati clandestini, non c'è crimine nelle città, non c'è più nemmeno la mafia. Regna "la pace sociale" e "nessuno è rimasto indietro" e, per quanto riguarda se medesimo, "non c'è nulla di cui deve scusarsi". Grazie ai "colpi di genio" di Berlusconi, anche i terremotati delle tendopoli all'Aquila sono felici perché "molti sono partiti in crociera e altri sono ospitati in costiera e sono tutti contenti". Questo racconto fantasioso deve essere unidimensionale, uniforme, standardizzato, senza incrinature. Deve far leva su un primato della menzogna a cui si affida il compito di ridisegnare lo spazio pubblico. Soprattutto deve essere protetto da ogni domanda o dubbio o fatto. A chi non accetta la regola, quel potere ideologico e mediatico riserverà la violenza pura, la distruzione di ogni reputazione, il veleno della calunnia. Guardatevi indietro. E' accaduto costantemente in questa storia che ha inizio a Casoria il 26 aprile, in un ristorante di periferia dove si festeggiano i 18 anni di una ragazza che, minorenne, Berlusconi ha voluto accanto a cene di governo e feste di Capodanno. Della moglie del capo del governo che dice "basta" e chiede il divorzio perché "frequenta minorenni" e "non sta bene" saranno pubblicate foto a seno nudo, le si inventerà un amante. Lo stesso rito di degradazione sarà imposto al giovane operaio che testimonia le modalità del primo contatto tra il 73enne capo del governo e la minorenne di Napoli; alla prostituta che racconta la notte a Palazzo Grazioli e le abitudini sessuali del capo del governo; al tycoon australiano che edita un Times troppo curioso; al fotografo che immortala l'Egoarca intossicato dalla satiriasi con giovani falene a Villa Certosa; all'editore di un giornale - questo - che si ostina a chiedere conto a Berlusconi, con dieci domande, delle incoerenze delle sue parole nella convinzione che è materia di etica politica e non di moralità privata rendere disponibile la verità in un pubblico dibattito. A questa stessa degradazione è stato ora sottoposto il direttore del giornale della Conferenza episcopale. Berlusconi non si fermerà. Dal cortile di casa, questo potere distruttivo - che ha bisogno di menzogne, silenzio, intimidazione - minaccia di esercitarsi in giro per il mondo aggredendo, dovunque essi siano, in Francia, in Spagna, in Inghilterra, negli Stati Uniti, i giornali che riferiscono della crisi dell'Egoarca, della sua irresponsabilità e inadeguatezza. Sarebbe ridicolo, se non fosse tragico. Quel che si intravede è un uomo solo, circondato da pochi - cattivi - consiglieri, prigioniero di se stesso, del suo delirio di potenza, delle sue favole, incapace di fare i conti con quella realtà che vuole annullare. E' un uomo, oggi più di ieri, violento e pericoloso perché nella sua crisi trascinerà lo Stato che rappresenta. Come ha fatto ieri, inaugurando il conflitto con la Santa Sede. E domani con chi altro? Non ci si può, non ci si deve rassegnare alla decadenza di un premier che minaccia di precipitare anche il Paese nel suo collasso.

Sotto coi moralisti

Ezio Mauro paga la casa in nero. Un altro finto moralista di Gianluigi Nuzzi

Sono passati otto anni ma non è cambiato niente. La signora Dima Girardi è di quei trentini dalla memoria lunga, la schiena dritta e la voglia di verità. Così ancora oggi, a quasi 95 anni, il cruccio si ripete ogni volta che l’arzilla vecchietta alza gli occhi al cielo su Roma. «Chissà se prima di morire verranno individuati gli autori della truffa. Di chi ha rubato i miei risparmi». Sarebbe una truffa come mille altre, ai danni di anziani se non fosse per i nomi che la signora chiama in causa. La storia è divisa in due vicende contigue con altrettanti protagonisti. La signora infatti ce l’ha sia con il direttore de La Repubblica, Ezio Mauro, che accusa di averle pagato in nero addirittura 830 milioni di vecchie lirette per aggiudicarsi il super attico ai Parioli dove ora vive, sia con il professionista che avrebbe dovuto gestire questo gruzzolo di denaro fuori busta e che, invece, sarebbe sparito con la cassa. Ma andiamo con ordine.

Casa da favola: La signora conta diverse proprietà immobiliari nella capitale e per questo da anni ha incaricato una persona di fiducia, il commercialista romano Bernardo Cerrone, di seguire e gestire le sue proprietà. Ma il rapporto si è infranto quando la donna si è sentita gabbata dal professionista. Per andare poi in procura e presentare una denuncia che coinvolge, seppur indirettamente ma con interessanti risvolti, anche chi avrebbe dato i soldi sottobanco, appunto il direttore di piazza Indipendenza. «Nei primi mesi del 2000 – ricostruisce la signora negli atti giudiziari – il Cerrone mi disse che aveva trovato un acquirente per l’appartamento di mia proprietà in via Ceracchi 29 a Roma e che ero intenzionata a vendere. Condusse lui stesso le trattative e poco tempo prima della stipula mi comunicò che l’acquirente era disposto a pagare un prezzo di due miliardi e 150 milioni». Si dirà, un prezzo salato ma la casa è di quelle da favola: al quarto piano c’è un ampio salone, cucina e diverse camere circondate da uno splendido terrazzo che si affaccia sui Parioli. Rampa di scale e al quinto piano troviamo un’altra camera, un soggiorno veranda e alcuni appartamenti che corrono lungo tutto l’appartamento. Un affare?

Due testimoni: La signora Girardi è furente: «Il giorno in cui venne stipulato il contratto definitivo – si sostiene nella querela – il Cerrone mi disse che una parte del prezzo (830 milioni) sarebbe stata versata “in nero”. Espressi alcune perplessità, ma quest’ultimo mi disse di non preoccuparmi poiché si trattava di una prassi costante nelle vendite immobiliari e che comunque era una condizione a cui l’acquirente non voleva rinunciare, aggiungendo che, trattandosi del noto giornalista Ezio Mauro, era persona assolutamente affidabile». Vero o falso? La versione di Dima Girardi, circostanziata alla provvista in nero per comprare la casa (e non tanto l’aspetto della truffa che il tribunale ha archiviato) trova conferme in due testimoni rintracciati da Libero e che hanno seguito la vicenda in quelle settimane di passione finanziaria. «Feci l’operazione – dice il testimone T.A. – con i protagonisti che mi dicevano che la casa era stata pagata in parte in nero». Da parte sua, Girardi continua: «Ricevuti gli 830 milioni in assegni – sottolinea la signora – li consegnai al dottor Tommaso l’Aurora persona di mia fiducia, affinché li custodisse in attesa di utilizzarli per l’acquisto di altro appartamento per mio nipote». Passa qualche giorno, siamo a fine giugno del 2000, e «L’Aurora mi chiamò dicendomi che il Cerrone gli aveva richiesto la consegna degli assegni affermando che, per accordi presi con l’acquirente, e per evitare di andare incontro a grane di natura fiscale, avrebbe dovuto “far girare” la somma percepita “in nero” su alcuni conti correnti in sua disponibilità in modo da impedirne la riconducibilità al Mauro. Solo al termine di questa operazione, definita dal Cerrone “di pulizia” avrebbe provveduto a versare la somma sul mio conto corrente. Avendo allora piena fiducia nel Cerrone autorizzai il dottor L’Aurora ad aderire alla richiesta». Libero è riuscito a rintracciare anche i documenti dell’operazione finanziaria. Vediamoli. Il primo documento è del 23 febbraio del 2000. Si tratta del contratto preliminare d’acquisto, firmato nello studio legale Ripa di Meana dalle parti: Ezio Mauro e la moglie Elena Girardi, come acquirenti, e Luigi Meneghini, cognato della venditrice, appunto la signora Dima Girardi. Vi è poi un secondo atto, l’atto definitivo di compravendita dell’appartamento che viene firmato quattro mesi dopo, il 26 giugno, davanti al notaio Carlo Giubbini Ferroni. Ebbene, nell’atto preliminare si legge che «il prezzo di vendita viene stabilito ed accettato di comune accordo tra le parti in due miliardi e 150 milioni». Ma nel rogito notarile di giugno, la somma scende precipitosamente a «un miliardo e 300 milioni». Ottocentocinquanta milioni di vecchie lire in meno. Una somma assai vicina a quei 830 milioni indicati come “nero” versati da Mauro secondo la Girardi. Uno sconto? La vicenda non è chiara, visto che nella sua denuncia la signora allega in copia numerosi assegni che proprio Mauro avrebbe firmato e che andavano a costituire l’extra.

La telefonata: Sta di fatto che quando Cerrone chiede gli assegni di Mauro, stando sempre alla versione della donna, la signora Girardi si fida e glieli fa consegnare. E iniziano i pasticci: Cerrone trova la casa per il nipote della signora e le dice che oltre agli 830 milioni ricevuti da Mauro ne servono altri 300 per comprare il nuovo appartamento, per alcune spese e per il suo onorario. Lei si fida ancora e firma il modulo bancario per ritirare la somma. Cerrone paga la casa e tutto sembra filare via liscia. Ma nel marzo del 2001 la Girardi riceve una preoccupante telefonata dalla sua banca, il Credito bergamasco: non possono onorare un assegno per mancanza di fondi. Lei casca dalle nuvole: «I miei estratti conto, su consiglio del Cerrone, erano domiciliati presso lo studio dello stesso». La donna scopre quella che vive come una truffa: «Cerrone aveva ritirato gli 830 milioni, il 6 luglio è inspiegabilmente riuscito a ottenere altri 685 milioni in assegni circolari addebitandone l’importo sul mio conto corrente». Su quest’ultimo aspetto il mistero si fa più fitto. E vale la pena di raccontarlo anche se ci allontana per un attimo dall’argomento centrale ovvero dalla provvista in nero per la casa ai Parioli. Alla banca infatti si mostrano tranquilli e mostrano una copia di un fax con in calce l’autorizzazione firmata dalla donna e la richiesta all’emissione degli assegni circolari, «ma la firma non è la mia».

Caos giornalistico

venerdì 28 agosto 2009

Loreena McKennitt

Quando si dice...

... che tutto il mondo è paese. La parentopoli dell'ONU. Come se non si sapesse già...

Parentopoli alle Nazioni Unite: carriera solo per figli e cognati di Giuseppe Marino

Qualcuno dirà che un italiano che accusa gli altri di nepotismo è un paradosso, è l’uomo che morde il cane. Il bello è che l’italiano in questione, furente perché il suo lavoro all’Onu gli è stato scippato per darlo alla figlia di un pezzo grosso, l’ha morso davvero un uomo: a giugno scorso negli uffici dell’Undp, l’agenzia che si occupa di cooperazione allo sviluppo, quelli che dispensano aiuti al Terzo mondo, aiutando a quanto pare anche la propria famiglia. Così bene che i nostri baroni universitari avrebbero di che imparare. Ma partiamo dal morso che ha messo in subbuglio il Palazzo di Vetro. Nicola Baroncini, ex bancario lombardo da 5 anni sotto contratto all’Onu, lavora nell’ufficio di Ligia Elizondo, vicedirettore dell’Undp per l’area Asia Pacifico. Un incarico a tempo, ma Baroncini pensa di poter aspirare a quel posto. Almeno finché, riordinando la posta elettronica del suo capo, gli capita sott’occhio un messaggio di Alan Doss, potente sottosegretario da una vita all’Onu. Nella mail, Doss dice a Elizondo che «Becky è entusiasta di venire a lavorare da te». Una vera e propria profezia, considerando che è il 20 aprile, e il posto da assistente speciale verrà bandito solo a metà maggio. Doss chiede «un po’ di flessibilità sui tempi» per favorire «un vecchio servitore dell’Undp». L’intoppo è la fastidiosa regola anti-nepotismo dell’Onu che impedisce l’assunzione di figli e coniugi in incarichi in cui sarebbero coordinati dall’altro coniuge o da genitori. Ma Doss sta per passare a un prestigioso incarico in Congo lasciando libero il passo alla figlia. La selezione non riserva sorprese. C’è pure il classico candidato civetta che rinuncia per un altro posto. Rebecca Doss entra in servizio il 1° luglio, stesso giorno in cui il padre lascia il posto. Quando Baroncini va dai superiori per protestare sbandierando la mail di Doss finisce chiuso in una stanza dove viene tenuto una mattinata intera. E quando chiede energicamente di parlare col console italiano, arrivano le guardie. «Mi hanno spruzzato lo spray al peperoncino», racconta Baroncini. E lui, tentando di difendersi, azzanna una delle guardie. Al processo in corso gli viene offerto di patteggiare, ma lui rifiuta: «Voglio che si ristabilisca la verità». Una bella grana per l’Onu, questo testardo italiano, che ha un cruccio: «Voglio solo la verità su come vanno le cose all’Onu: le regole anti-nepotismo vengono sistematicamente aggirate». Ha ragione Baroncini? Dal Palazzo di Vetro, che si va rapidamente opacizzando quando si toccano questioni simili, non negano, si limitano a dire che «stanno riesaminando il caso». Una cosa è certa: le Nazioni unite sono unite soprattutto da parentele. E se è vero che il pesce puzza dalla testa, il caso più clamoroso resta quello di Kofi Annan, l’allora segretario generale caduto nel discredito per lo scandalo «Oil for food», quello delle forniture all’Irak che sarebbero state «guidate» verso aziende amiche dal figlio di Kofi, Kojo Annan. Lo scandalo fu enorme, ma al di là delle ipotesi di mazzetta, c’è un aspetto poco dibattuto, almeno in Italia: ma possibile che le forniture umanitarie all’Irak assediato dalle sanzioni dovessero essere gestite dal figlio del segretario generale? E non è affatto un caso isolato. Perché Annan restò per un po’ al suo posto, anche se col significativo nomignolo di «anatra azzoppata», ma un altro funzionario Onu, Alexander Yakovlev, lasciò il proprio posto di corsa: la commissione d’inchiesta lo accusò di aver intercesso per far assumere il figlio presso una delle ditte fornitrici del programma «Oil for food». Naturalmente, nella successiva campagna elettorale per la nomina del successore di Annan il tema della parentopoli diventa caldo. Un candidato arriva a denunciarlo apertamente: «È necessario sradicare il nepotismo di cui siamo stati giustamente accusati», tuona l’indiano Shashi Tharoor. E altrettanto naturalmente non viene eletto. La scelta, come si sa, è caduta su Ban Ki Moon. E una cosa è certa: il politico sudcoreano non può fare della lotta al nepotismo una propria bandiera. Come potrebbe, visto che sua figlia Ban Hyun Hee lavora per un’altra agenzia Onu, l’Unicef, l’organizzazione che aiuta i bambini (inclusi quelli dei propri dipendenti, pur se cresciutelli)? E, per non farsi mancare nulla, c’è pure il genero, Siddarth Chatterjee. Anche lui lavorava agli uffici Unicef di Nairobi, ma dal 2007, da quando Ban Ki Moon è diventato segretario, che coincidenza, la carriera di Chatterjee è decollata come il jet del segretario generale. Prima viene nominato capo dello staff Onu a Bagdad, uno dei teatri più importanti di impegno delle Nazioni unite. In seguito Siddarth stupisce il mondo battendo 120 candidati alla guida di una più comoda struttura Onu in Danimarca che gestisce appalti miliardari, l’Unops. E siccome i colpi di fortuna non vengono da soli, subito dopo l’Unicef trasferisce sua moglie, nonché figlia del molto onorevole Ban Ki Moon. Dove? Ma in Danimarca, naturalmente. Che strano posto l’Onu, si parlano mille lingue, ma «Tengo famiglia» lo dicono tutti allo stesso modo.

Tony Blair

Successo al Meeting. Blair al popolo di Cl: “L’Europa sia fiera delle sue radici giudaico-cristiane” di Stefano Fossi

E’ uno storico, impetuoso campione del riformismo, Tony Blair. E fedele al suo carattere entusiasta e al suo profilo di leader è capace di mettere in comune le sue visioni, le sue convinzioni e le sue passioni e renderle vive e attraenti. L’ex premier inglese si è convertito al cattolicesimo alla fine del 2007 e in questo breve lasso di tempo ha fondato la Faith Foundation, ha tenuto un corso a Yale su “Fede e globalizzazione”, è diventato un testimonial dell’orgoglio cristiano e un fiero oppositore di quel minimalismo accondiscendente e spesso eccessivamente passivo che sembra caratterizzare certi ambienti del cattolicesimo europeo. E’ in questa nuova veste che l’uomo del New Labour si presenta al Meeting di Rimini e scalda il popolo di Cielle raccontando la sua conversione al cattolicesimo, la sua vita segnata dalla fede, e il suo impegno per la pace nel mondo e in particolare nel Medio Oriente. “È un onore vedere il mio nome associato all'iniziativa di Comunione e Liberazione. Sono davvero dispiaciuto di non potervi parlare nella vostra bellissima lingua. Provo ad impararla da poco tempo, ma è difficile...”. Accolto da un lungo applauso, un’ovazione condivisa da circa diecimila persone, l’ex ministro parla per un’ora leggendo, nella prima parte, una testimonianza del proprio avvicinamento alla Chiesa cattolica e soffermandosi sull’importanza che ricopre la fede e la Chiesa nella società attuale. In due passaggi Blair cita anche l' enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate” e non nasconde la propria emozione. Nell'ultima parte dell'incontro dal titolo "Persona, comunità e Stato", Blair risponde alle domande che gli pone il presidente della Fondazione per la Sussidarietà Giorgio Vittadini. E si concede anche qualche battuta, ricordando ad esempio un episodio che gli è accaduto in un viaggio a Tokio: "Ero seduto in ultima fila a una messa, quando la persona che aveva letto le letture disse: è tradizione che i visitatori stranieri si alzino e raccontino qualcosa di loro”. “Quindi - racconta Blair - dopo tanto tempo ho potuto dire: 'mi chiamo Tony e vengo da Londra”. Viste le temperature di questi giorni l’ex premier ringrazia anche “per avermi consentito di fare una sauna gratis”. Blair, naturalmente, non può esimersi dal raccontare la parabola della sua conversione al cattolicesimo. Come è avvenuto? – chiede Vittadini. “Francamente è tutta colpa di mia moglie”, replica Blair, ''con lei ho iniziato ad andare a messa. Ci piaceva andare insieme, a volte in una chiesa anglicana e altre in una cattolica. Indovinate, però, in quale andavamo di più? Man mano che passava il tempo, sentivo che la chiesa cattolica era la mia casa. E questo non solo per il suo magistero e per la sua dottrina, ma per la sua natura universale”. Intervenendo poi sul tema della globalizzazione e del rapporto tra società e fede, Blair si dice convinto che la fede “arricchisca l’idea di comunità”. Un concetto espresso anche da Papa Benedetto XVI nella sua enciclica, che “amplia la relazione tra singolo e comunità, ponendo la verità di Dio al centro: senza Dio l'uomo non comprende chi è”. A maggior ragione nell'era della globalizzazione, dove “il pericolo è quello di perdere l'identità e non comprendere che gli obiettivi devono essere comuni”. Discutendo poi sul ruolo dello Stato, Blair traccia una linea di continuità tra la sua eredità lasciata al Paese britannico e la sussidiarietà, parola da sempre cara a Comunione e Liberazione. “All'interno di questo processo si inseriscono la comunità, la Chiesa, il volontariato, che possono fare cose a volte meglio dello Stato. Il principio della sussidiarietà è molto importante". Raccontando della propria fondazione, che da anni lavora per l’ecumenismo e la comprensione tra differenti religioni, Blair si sofferma sul rapporto israelo-palestinese, anche nella sua qualità di rappresentante del quartetto che riunisce Stati Uniti, Onu, Russia ed Europa. “Sarà soltanto quando Israele e Palestina avranno "fiducia reciproca" che si risolverà la questione mediorientale. La fiducia reciproca comporta che gli israeliani devono sapere che la Palestina sarà gestita bene e che i palestinesi devono sapere che gli israeliani se ne andranno dai loro territori". Infine, parlando del momento dell’Europa e dei fenomeni migratori Blair lancia un invito-monito molto chiaro: "La multiculturalità e una delle più grandi sfide dei nostri tempi. Nei nostri Paesi abbiamo radici giudaico-cristiane e dobbiamo esserne fieri. Anche se siamo di fedi diverse e abbiamo le nostre identità, viviamo nelle stesse città e ci sono valori comuni che tutti devono rispettare". L’ultimo passaggio, forse il più applaudito, è quello sul rapporto tra Stato e Chiesa. Parole che fanno il paio con la sua battaglia contro il “laicismo aggressivo” che a suo dire sembra essersi diffuso in Gran Bretagna. “La voce della Chiesa cattolica deve essere ascoltata: per questo la Chiesa deve parlare in modo chiaro e aperto. Il sostegno chiaro e solido della Chiesa cattolica supporta i politici. La Chiesa può essere la voce spirituale che rende la globalizzazione uno strumento e non un padrone''.

giovedì 27 agosto 2009

Genova

Festa del Pd, Bersani conquista la platea. «Discussione unisce, non ho paura». Tra i passaggi più apprezzati quelli riferiti alla storia ed alle radici della sinistra e al conflitto di interessi

GENOVA - Sala gremita all’inverosimile, standing ovation all’inizio e alla fine del suo intervento, autografi, strette di mano e consensi. Pierluigi Bersani, candidato alle primarie del prossimo 25 ottobre per la segreteria del Partito democratico, conquista il pubblico della Festa nazionale di Genova.

L'INTERVISTA - Intervistato dal giornalista del Tg1 Andrea Montanari, l’ex ministro dello Sviluppo economico si è soffermato soprattutto sulla difficile congiuntura economica internazionale ma non si è sottratto alle domande sul confronto con il segretario del Pd Dario Franceschini.

SINISTRA - «Non posso fare il segretario del Pd se non posso usare questa parola, sinistra»: questo è stato l'attacco del suo discorso sul programma per la corsa alla segreteria del Pd e la platea della festa del partito di Genova gli tributa due minuti di fragorosi applausi, tanto che Bersani si commuove e si ferma, per poi spiegare cosa intenda per "sinistra". «Sinistra - spiega - non è una parola esclusiva. Sinistra è una parola che allude all’uguale liberta e dignità di tutti gli esseri umani. Non vedo un partito progressista che possa rinunciare a questa parola». Poi, Bersani aggiunge due aggettivi, che «ben si addicono», o «dovrebbero farlo», al Pd. «Democratico: ci vuole in Italia una sinistra che raccolga i grandi temi del civismo, perchè - spiega - serve nel Paese una riscossa civica. Per me sinistra democratica è questo. E poi liberale, perchè ’liberalizzazione’ è contrario di liberismo». Infine, i farò, a partire dal necessario recupero dell’identità del Pd. «Abbiamo lasciato troppo correre l’idea dell’eclettismo. Un partito - spiega Bersani - se vuole aggregare deve avere un’identità, un centro aggregatore. Un partito popolare, non classista, non elitario, non giacobino, che sta dove sta il popolo, che parla al lavoro, al lavoro, ai cittadini». Da ultimo, l’affondo sul ’collega’ e attualmente segretario Dario Franceschini. «Voglio bene a Franceschini - dice infatti l’ex ministro dello sviluppo economico - ma quando ha detto di essere il Pd e che ’sono Bersani e Marino che devono spiegare in cosa sono diversi’ non mi è piaciuto molto. Se in un anno abbiamo perso 4 milioni di voti - conclude infatti Bersani - il problema sarà un po’ tutti. Ciascuno di noi deve dire con precisione cosa pensa che non sia andato e cosa c’è da correggere nel percorso del Pd». Anche Franceschini.

SCISSIONE - Sugli scenari post-congresso Bersani si è detto sicuro: «Non ho assolutamente paura di scissioni, sono le prime primarie vere e misureremo il fatto che in un congresso e nella sua discussione si trova la solidarietà». «Non ci fa bene - afferma uno dei candidati alla segreteria Pd - cadere nei meccanismi mediatici sul chi è più giovane o più bello o democratico doc ma se con un mio collega di partito discuto di immigrazione, anche se abbiamo due idee diverse, dopo siamo più amici di prima»

IL PUBBLICO - Tra i passaggi più apprezzati dal pubblico, quelli riferiti appunto alla storia ed alle radici della sinistra, ai temi etici come il testamento biologico, alle liberalizzazioni, al conflitto di interessi e dal senso ultimo della politica. Prima del suo ingresso nella sala dibattiti Bersani ha visitato la sede genovese del Partito democratico ed ha partecipato ad un incontro con i pendolari liguri e di altre Regioni italiane per ascoltarne le problematiche e le proposte in merito alla situazione del trasporto pubblico.

Patemi d'animo finiani

Fini trova casa: la stessa del Pd di Marcello Veneziani

Lungamente sospirato, arrivò in un pomeriggio d’agosto all’altare della sinistra perduta, la Sposa del Partito Democratico, al secolo Gianfranco Fini. Due ali di folla che si allargano per far passare il Presidente della Camera con il suo velo invisibile che suscita tra i compagni commossi invisibili lanci di riso. Un tifo caloroso in platea dopo giorni di marcia nuziale su la Repubblica e le sue sorelle, in attesa euforica del Convertito, salutato come antifascista, anticlericale ma soprattutto antiberlusconiano. Poi la Sposa firma autografi ai compagni e si ferma a parlare con loro, come evita di fare negli incontri con il Popolo della libertà. Articolesse di elogi, attestati di ammirazione e fiumi di paragoni in suo onore con l’Orco feroce Umberto Bossi, con l’Assatanato Silvio Berlusconi, e con i sette nani del suo vecchio partito, i suoi luogotenenti costretti a un’indecorosa difesa del cadavere, la destra buonanima. Loro le bestie, lui la Vergine Rifatta, venuta a Genova, città tremenda per chi viene dal Msi, a miracol mostrare. Un tifo della madonna per la nuova sposa che non ha tradito le premesse, limitandosi a tradire i suoi elettori e il suo passato anche più recente. Stimolato da Mario Orfeo, nuovo direttore del Tg2, a lui assai caro e non a caso venuto da la Repubblica e da sinistra, Fini ha parlato da prete progressista della legge Bossi-Fini, quel suo omonimo bestiale e razzista di qualche anno fa. Poi ha parlato da laicista progressista del testamento biologico, con implicito disprezzo della pessima accozzaglia cattolico-conservatrice-tradizionalista che fino a pochi anni fa un suo omonimo cercava di rappresentare. Infine ha parlato da leader della sinistra soffusa contro la Lega, Berlusconi e la destra italiana. Con toni misurati, come s’addice al personaggio. Ma a Genova Fini ha perfezionato il suo lungo viaggio da Almirante a ET, l’extraterrestre. Non lasciamoci trasportare dall’euforia dei compagni, ricomponiamoci. Dunque, per cominciare, Fini ha fatto bene ad andare alla festa del Partito Democratico. È il presidente del Parlamento, ha un ruolo bipartisan e non può seguire la decisione, discutibile, di Berlusconi e del suo governo di disertare la festa perché i democratici hanno perfidamente alluso ai suoi festini. Fini ha fatto bene ad andarci, come farà bene ad andarci l’altra figura istituzionale, Schifani. Ha fatto bene Fini a mazzolare alcune posizioni radicali della Lega, l’infelice battuta - poi rientrata - sul ripensamento del Concordato con la Chiesa, insomma alcune cadute nel rozzismo. Fa bene Fini a difendere l’unità d’Italia, anche se lo fa in modo assai più moscio di Napolitano e Ciampi, con cadute nell’internazionalismo catto-progressista. E fa bene, dal suo punto di vista, a smarcarsi da posizioni di partito, fa bene a dialogare... Però che volete, a me fa qualche impressione vederlo ridotto al ruolo di Cristoforo Colombo della sinistra, scopritore genovese di un Partito che non c’è più. E mi fa impressione pensare che pochi anni fa parlai pubblicamente assieme a Fini proprio lì, a Genova, in quei luoghi precisi dove è riapparso dopo il lifting mentale. Era una festa di Alleanza nazionale e quel Fini lì mi scavalcò, come era ovvio, a destra. Sui temi classici della destra, immigrazione inclusa. O magari sulla legge anti droga, che Fini firmò con Giovanardi; ma evidentemente Giovanardi falsificò la sua firma, perché lui ora dice cose opposte. E così vale per il presidenzialismo, che piaceva da matti a Fini e alla sua destra, fino a pochi anni fa: ma ora il decisionismo è sparito e quel che conta per il Fini bis è il Parlamento. Fa impressione incontrare uno che gli somiglia tanto, persino con lo stesso cognome, che ora ti scavalca a sinistra e dice cose opposte a quelle che diceva, non da ragazzo, non da missino, ma da leader della destra moderna italiana del terzo millennio. Era vice di Berlusconi all’epoca in cui parlammo insieme al pubblico di Genova; ora ha fatto carriera e fa il vice di Napolitano o il fratello maggiore di Franceschini che è la sua versione parrocchiale, un Fini minore che ha studiato dalle monache.Sono contento che la sinistra abbia finalmente trovato un leader su cui non si divide ma che elogia compatta. È un buon auspicio per le primarie. Fino a ieri ero convinto che Pdl volesse dire semplicemente Partito del Leader, inteso come Berlusconi; e Pd volesse invece dire Partito del, ma non si sapeva di che cosa. Ora finalmente viaggia in Pdf, come Partito di Fini. Sono contento per loro, anche se le posizioni di Fini non sono nemmeno di sinistra, sono neutre come il sapone dei bambini; forse terziste, cerchiobottiste, e approdano nella terra di nessuno. Ma sono contento per la sinistra che ha trovato finalmente un leader con cui condivide l’assenza di idee. Meno contento sono per la destra, lo dico ormai da turista curioso e disinteressato. Ecco, vorrei chiedervi: chi è il leader della destra oggi in Italia? Non riesco a trovare una risposta. Mi arrampico e deliro: Ratzinger? Calderoli? Arisa? Non so, non mi sovviene nessun leader della destra, nuova, vecchia, surgelata. Intanto, auguri a Fini l’astronauta per il suo lungo viaggio verso Marte. Come i fascisti di una celebre satira di Corrado Guzzanti...

Pd

Sinistro de profundis di Davide Giacalone

Dario Franceschini vede “il rischio di un nuovo autoritarismo”, il che conferma l’opportunità che torni ad occuparsi dei romanzi. Non che i risultati siano incoraggianti, ma, almeno, saranno minori i danni. A me pare si stia correndo il rischio opposto: la dissoluzione dell’autorità, conseguenza d’insufficiente autorevolezza della classe politica. Sostiene, sempre Franceschini, che è pericoloso, per la democrazia, si sia insofferenti per il ruolo del Parlamento. Dimentica che in tutte le democrazie funzionanti l’esecutivo soffre un Parlamento forte, ma che non è il nostro caso, perché, a destra come a sinistra, lo hanno riempito d’incompetenti dotati di bella presenza, dopo averne svuotato il ruolo, espellendone la politica. Il rischio, insomma, è che la politica s’affolli di sparadichiarazioni senza costrutto e senza programma. Alla Franceschini, insomma.Il quale, però, manifesta un guizzo di vitalità e segnala una singolare variante del vuoto mentale, vale a dire la consapevolezza. Eccone le prova: “chi ci vota, oggi, non sa per cosa vota”. E che gli vuoi dire, ad uno che riesce a pronunciare parole simili, essendo stato il vice quando fu impostata la campagna elettorale ed è divenuto il capo grazie alla sconfitta? Niente, ti alzi, lo abbracci, e ti metti a piangere con lui. Ieri scrivevo che la festa democratica, in corso a Genova, mi sembrava un funerale. Non immaginavo si stessero già cantando il de profundis, da sé soli.Chi antipatizza per la sinistra ne gioirà, ma sbaglia. Un’opposizione sciancata e frastornata umilia il Parlamento e non rende più forte il governo. Se gli interessi ed i bisogni che non trovano soddisfazione nella maggioranza non riescono neanche a trovare rappresentanza nell’opposizione, succede che si liberano spazi elettorali, a loro volta preda o degli estremismi o della conflittualità interna alla maggioranza. La crisi dei democratici alimenta le ambizioni di un partito reazionario, che la sinistra accettò come alleato, l’Italia dei Valori, e, al tempo stesso, porta conflittualità nel governo. Così andando non avremo mai una sinistra di governo, quindi pragmatica, non ideologica ed anticomunista, di cui c’è assoluto bisogno, né avremo la stabilità dell’esecutivo. Mancando questi due ingredienti ci scordiamo le riforme istituzionali, come anche quanto servirebbe per trascinare l’Italia fuori da uno scivolamento all’indietro che dura da quindici anni, non da quindici mesi.Pertanto, Franceschini raggiunga pure Veltroni, riprendano la loro concorrenza fra romanzieri. Nel peggiore dei casi, s’abbioccherà il lettore, non l’Italia. La sinistra trovi la forza di liberarsi di due mostri che ne divorano l’onore e la credibilità: l’eredità comunista ed il giustizialismo fascistoide. Una sinistra libera da questo passato vergognoso saprà accompagnare la ripresa del cammino verso un Paese più serio, più ricco e più evoluto.